Storia del brodo, il focolare delle case contadine
Cosa c’è di più confortevole di un buon brodo in inverno? Di carne, pesce o vegetale, da abbinare a tortellini fatti in casa oppure da usare per un’infinita di ricette, senza dimenticare il piatto dell’infanzia per eccellenza: la pastina, un toccasana alla fine delle giornate più difficili. Una ricetta passe-partout che sa rendere felici grandi e piccini, da sempre fondamentale sulla tavola. Quella per immersione in liquidi caldi è infatti una delle tecniche di cottura più antiche: se ne trovano testimonianze nella Bibbia (“Prendi la carne e le focacce azzime, mettile su questa pietra e versavi il brodo”), Varrone la cita tra le cotture più pregiate per la carne (elixam), e più avanti nel Medioevo si trovano diverse testimonianze che raccontano dell’abitudine delle famiglie di appendere un calderone vicino al camino, dove di giorno in giorno aggiungevano i prodotti a disposizione per arricchire l’acqua. Un tempo, infatti, era consuetudine tenere il camino sempre acceso – il famoso focolare della casa – per scaldare e cuocere cibo in grandi quantità in modo da sfamare tutti, raccogliendo ogni prodotto dell’orto e recuperando i ritagli di carne meno pregiati.
Il brodo nella cucina francese e la nascita dei bouillons
Da piatto povero e democratico, il brodo col tempo è divenuto oggetto di studio degli chef più attenti. La Francia in questo ha fatto scuola, trasformandolo in un piatto prelibato, immancabile nelle case nobiliari e poi nelle cucine (non dimentichiamo che uno degli antipasti più famosi della tradizione è il consommé, un brodo ristretto e chiarificato attraverso l’aggiunta di albume d’uovo). Non solo: nella Parigi ottocentesca nacquero dei locali specializzati esclusivamente nella degustazione di brodo, i bouillons, che offrivano la possibilità di consumare in abbinamento anche la carne utilizzata per la ricetta. Primo bouillon ad aprire è stato quello di Pierre-Louis Duval, macellaio che nel 1855 decise di iniziare a vendere nella sua bottega lo stufato di manzo in brodo, piatto che divenne immediatamente popolare tra i lavoratori dei mercati generali di Les Halles. In una cinquantina d’anni, la città francese si riempì di questi ristoranti, fino a contare ben 250 bouillon sparsi nei diversi quartieri, locali semplici ed economici perfetti per confortare gli operai. Prima ancora, però, un fiero esponente dei brodi fu il cuoco Antoine Carême, al servizio di Napoleone, dello Zar Alessandro I e del banchiere James Mayer Rothschild, che all’argomento dedicò un trattato intero.
L’avvento del dado da brodo
Ha fatto la storia della cucina, il brodo, ma anche quella dell’industria alimentare: con la Seconda Guerra Mondiale negli anni ’40 arriva la tessera annonaria che fissa il limite di consumo massimo degli alimenti, e le norme di razionamento si fanno sempre più ferree. La carne la si può consumare solo il sabato o la domenica mattina, mentre per le più economiche frattaglie si aspetta il lunedì, il martedì o il mercoledì. In soccorso delle famiglie, specialmente quelle di città che faticavano a reperire i prodotti, arrivano i surrogati: l’Ovocrema che corrispondeva a 8 tuorli d’uovo, il karkadè come bevanda calda, insieme a caffè di cicoria e orzo. E il dado, venduto inizialmente in vasetti di vetro e poi sotto forma di cubetti, un estratto saporito che divenne molto popolare in tempo di carestia, ma che in realtà esisteva già da tempo. Torniamo in Francia, a Carême e il suo trattato sui brodi: qui si legge la ricetta della glassa di pollo in tavolette, che si narra fosse stata usata dal cuoco per fornire un pasto caldo a Napoleone anche durante i suoi spostamenti. Se ne legge anche in un’altra opera dello stesso periodo, “Del Viaggio ossia Istruzioni a’ Viaggiatori”, in cui l’autore consiglia di fare scorta di “tavolette di brodo secche”, fornendo le istruzioni per realizzarle a partire dalla carne.
I primi dadi da brodo industriali
In Inghilterra, intanto, un secolo prima il fisico e ingegnere Benjamin Thompson aveva creato una forma primordiale del dado da brodo, dapprima solidificando ossa e ritagli di carne per sostenere l’esercito del Duca di Baviera, poi costituendo delle mense per poveri dove veniva servito il cibo disidratato con l’aggiunta di grano. I cubetti di dado così come li conosciamo oggi, però, arrivano grazie alle grandi industrie europee, in particolare la svizzera Maggi, l’inglese OXO, e la tedesca Knorr. Nel 1847, il chimico tedesco Justus von Liebig sviluppò un sistema industriale per concentrare la carne in estratti, ma i costi della materia prima europea erano troppo alti per una produzione di massa: lo scienziato cercò allora in altri Paesi fino realizzare un brodo liquido e piuttosto viscoso commercializzato dalla compagnia del Regno Unito Liebig’s Extract of Meat, e con il marchio Oxo nel 1899. Nel frattempo, anche Carl Heinrich Theodor Knorr, proprietario di una fabbrica di caffè, aveva intuito l’urgenza di puntare sui cibi disidratati per sfamare gli operai, e così cominciò a essiccare condimenti e verdure cercando di preservarne sapore e nutrienti. Nel 1838 nacque la Knorr, tra le aziende pioniere dei cibi pronti, seguita qualche decennio dopo dalla Maggi, che guidata dal giovane Julius Maggi cominciò a offrire prodotti rivoluzionari come la zuppa pronta da cuocere, l’insaporitore liquido e infine, nel 1900, il dado per i brodi. Il dado più famoso d’Italia, invece - lo Star - arriva solo nel 1948, anno che segna l’inizio di una brillante carriera per l’azienda brianzola, costellata di intuizioni felici come la camomilla Sogni d’Oro, il tè in filtri Star Tea, e soprattutto il Gran Ragù, primo sugo pronto prodotto industrialmente in Italia. Una storia che continua ancora oggi, con sempre più opzioni da parte dei grandi marchi, dalle gelatine al granulare da sciogliere in acqua.
Il glutammato di sodio e l’umami
Prima prodotto della tradizione contadina, poi piatto prelibato destinato ai banchetti nobiliari, infine ridotto in tavoletta per sopperire alla mancanza di cibo e in seguito per venire incontro alle esigenze di una clientela sempre più frettolosa: è una storia lunga, quella del brodo, che si conclude con la grande distribuzione e l’introduzione di sostanze nuove. All’inizio si trattava di cubetti di verdure e pezzi di carni disidratati, ma col tempo la ricetta del dado è cambiata: tra gli ingredienti principali si trovano sale e glutammato, componente che ha spesso diviso l’opinione pubblica. Ma cos’è, esattamente, il glutammato? Tecnicamente, si tratta del sale di sodio dell’acido glutammico, amminoacido isolato per la prima volta nel 1866 dal chimico tedesco Karl Heinrich Ritthausen a partire dal glutine trattato con acido solforico. Nel 1908, il collega giapponese Kikunae Ikeda ritrovò la sostanza in un brodo di alga kombu, alimento non particolarmente saporito ma capace di esaltare il gusto di qualsiasi altro ingrediente. Il ricercatore brevettò così un metodo per la produzione in serie di sali di acido glutammico: il glutammato, appunto. È stato sempre lui a dare una definizione a quel gusto intenso così particolare, l’umami, termine che in lingua giapponese significa “saporito”. Il successo del glutammato è approdato ben presto nei Paesi occidentali, che lo hanno sfruttato come esaltatore di sapidità nei prodotti confezionati, dadi in primis.
a cura di Michela Becchi