«Taja ch’è rosso». È lo slogan dei cocomerari notturni, un’istituzione a Roma fino a qualche tempo fa, prima che cominciassero a chiudere. Qualche baluardo c’è ancora, come Vito er Trasteverino con il suo «cocomero sopraffino» oppure il cocomeraro di Cinecittà, in via Pelizzi, ma certo la tradizione non è più sentita come un tempo. «Taja ch’è rosso», il grido delle serate d’agosto, a cercare riparo dall’afa romana, grandi fette zuccherine su piatti di plastica, il barattolo con i vecchi coltelli per dividere il tutto, le sedie bianche attorno ai tavolini, qualche ombrellone per gli avventori pomeridiani, quando l’aperitivo si faceva così. Altro che birra e Campari.
I cocomerari notturni di Roma
Di chioschi di angurie ce ne sono anche altrove, ma quello delle serate dal cocomeraro è un mito tutto romano. È la nostra limonata a cosce aperte: gambe divaricate e testa bassa per non sporcarsi con l’acqua del frutto, il simbolo di una stagione, dei pranzi di Ferragosto. I signori più anziani erano soliti tenere anche la buccia, «con questa ti ci lavi la faccia», bella pulita fino all’osso, attenti a non sprecare neanche un grammo della polpa umida. I semi sono parte del gioco: esistono varietà che ne sono prive, ma vuoi mettere una fetta sbucciata a mano, un seme per volta? Ognuno, poi, ha la sua tecnica di taglio: chi divide la fetta in tanti quadratini con il coltello, chi affonda direttamente la faccia. A ognuno il suo, il cocomero è democratico.
I punti fermi dei quartieri
Popolare anche nel prezzo, almeno fino a qualche anno fa. Le fette già tagliate venivano vendute a 1 o 2 euro, poi tutto è aumentato, e così anche questa semplice specialità, soprattutto nella versione ridotta in cubetti e servita nel bicchiere, che arriva a costare anche 5 euro al pezzo (ma in fondo, sono baracchette che vivono solo di questo). Negli anni Ottanta c’era Straccaletto a Piazza dei Condottieri. Il re dell’estate, scriveva Roberto Gressi in un vecchio articolo de L’Unità, «uno dei mille cocomerari romani». Oggi di concorrenza ce n’è ben poca e stilare una lista dei posti ancora attivi è diventato impossibile. Da sempre, poi, i cocomerari sono punti di fermi dei vari quartieri, non si trovano su Google. Bisogna conoscerli tramite passaparola, imbattercisi per caso mentre si è alla guida: sono ai lati delle strade, quasi sempre in zone periferiche. Poi, certo, ci sono le eccezioni, c’è anche chi ha creato una pagina Facebook, o perlomeno ci ha provato… ma parliamo del più pittoresco e pasoliniano dei chioschi: la comunicazione social in questo caso non serve.
La festa dei cocomeri all'isola Tiberina
Per noi romani esistono da sempre, e in realtà in parte è così. Negli anni ’60 c’è stato il boom dei cocomerari, ma già a inizio Novecento i primi carretti su strada iniziavano a fare capolino ai vari angoli della Capitale. Il frutto è fondamentale in città: all’isola Tiberina il 24 agosto c’era anche la festa di San Bartolomeo, con le opere degli artisti esposte in bella mostra e il lancio dei cocomeri nel Tevere. Le persone si tuffavano nel fiume per accaparrarsi il dolce frutto, usanza presto caduta in disuso perché troppo pericolosa.
Che poi, i cocomerari vendono anche altro. Vaschette di macedonie, meloni e altra frutta di stagione, oltre ai cocomeri interi e a pezzetti. Le vecchie guardie rivendicano tutte l’invenzione dei cubetti, ma in fondo questa antica tradizione non ha padri né città d’origine. Solo seguaci, fan accaniti, seppur sempre meno: nel 2019 il quartiere di Casal Bruciato si era mobilitato con una manifestazione sulla Tiburtina per salvare Zeppetto, uno dei cocomerari storici, rimasto per oltre 50 anni. «Zeppetto» era il soprannome che Augustro Proietti si era guadagnato infilando un bastoncino di legno (zeppetto, in dialetto romano) in ogni quadratino intagliato sull’anguria per farlo assaggiare ai clienti.
La lunga estate romana
Colori pop, spiedini di frutta variopinti, spesso lucine agli angoli della tenda per accogliere i clienti a notte fonda, l’odore intenso di frutta e zucchero, asfalto caldo e sedie di plastica traballanti. Gli slogan, quelli non possono mai mancare, in rima e in romanaccio doc: «Se trova solo da Pasquale il cocomero speciale» recita l’insegna sulla Portuense. È la lunga, folcloristica, caldissima estate romana. Forse non il lato più nobile e gourmet della città, magari un poco grezzo, ma sicuramente autentico. È una cartolina dai contorni sfocati, consumati dagli anni, una foto ingiallita che però resta sempre appesa. I cocomerari notturni, la movida senza alcol, quando bastava la compagnia.
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