Ristoranti in carcere. Da Uccelli in gabbia a InGalera
L'esperienza con le cene “in attesa di giudizio”, all'osteria degli Uccelli in gabbia, è ripresa dopo l'estate, registrando il buon riscontro di pubblico per un progetto inizialmente concepito come temporaneo, e invece avviato a consolidarsi a ogni appuntamento che passa. Così il ristorante gestito dai detenuti all'interno del carcere di Rebibbia, inaugurato lo scorso giugno, continuerà a esistere grazie all'impegno della cooperativa Men at Work, al lavoro per favorire la riabilitazione dei detenuti e stimolare il dibattito sul senso della pena e il valore del lavoro in carcere. Alla fine di settembre si è chiuso il primo ciclo di cene in cortile, che riprenderanno con la bella stagione nel 2020. Ma presto l'osteria troverà una “sistemazione” invernale per onorare l'appuntamento con le cene del venerdì. Del resto l'efficacia e la fattibilità di un progetto di ristorazione nato in seno alle molteplici ramificazioni dell'economia carceraria sono ampiamente dimostrate dal modello più longevo del genere, il ristorante InGalera aperto nel 2015 all'interno del carcere milanese di Bollate, dove l'attività è tuttora gestita dalla cooperativa sociale ABC. Discorso valido pure per Liberamensa a Torino, tavola del carcere de Le Vallette.
Il valore del lavoro in carcere
Ecco perché, mentre si moltiplicano e si approfondiscono le realtà gastronomiche che esplorano le potenzialità del lavoro in carcere per contrastare il rischio di recidiva e garantire una vita più dignitosa ai detenuti (vedi pure la recente evoluzione di Cotti in Fragranza a Palermo), anche altre città d'Italia potranno presto beneficiare di tavole carcerarie che si confrontano con i limiti di fare impresa tra le mura di un istituto penitenziario con l'obiettivo di abbattere la barriera di pregiudizi che spesso si rivela più insormontabile di quella fisica.
La pizzeria sociale nel carcere di Salerno
A Salerno, all'interno della Casa Circondariale Caputo, l'esperimento è stato avviato da qualche giorno. E i detenuti si confrontano con una pizzeria sociale ribattezzata La pizza buona dentro e fuori. Al momento, però, i dieci pizzaioli in erba, che iniziano un percorso di formazione professionale guidati da maestri esperti, serviranno solo i compagni di cella. Ma l'investimento di 25mila euro, raccolti grazie ad amici e sostenitori del progetto, ha permesso di ristrutturare il locale che prima ospitava un deposito con l'idea di concretizzare l'opportunità di aprire la Pizzeria Sociale anche al pubblico esterno.
Brigata del Pratello. L'osteria dei giovani detenuti di Bologna
Speranza che sta per realizzarsi a Bologna, dove i ragazzi del carcere minorile Siciliani si apprestano a entrare in servizio come cuochi e camerieri dell'Osteria formativa Brigata del Pratello, allestita all'interno dell'Istituto di pena. Il progetto è promosso da FOMAL, ente impegnato nella formazione professionale per la ristorazione e dal 2010 al lavoro nel carcere del Pratello, con il sostegno della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e della Regione Emilia Romagna. L'osteria lavorerà sulla formula delle cene evento con cadenza mensile, a partire dall'appuntamento di giovedì 10 ottobre, che segna la nascita della Brigata del Pratello. In realtà i ragazzi al lavoro frequentano già da mesi il percorso formativo che porterà una decina di loro a prestare servizio in cucina e sala affiancati da chef (Mirko Gadignani) e maitre professionisti.
Si parte con una cinquantina di coperti (tante le presenze istituzionali per l'evento inaugurale, ministro Bonafede compreso), in previsione di aumentare il carico di lavoro in funzione della richiesta. Fino a dicembre 2019, però, le cene si svolgeranno esclusivamente su invito, per rodare il sistema. Da gennaio 2020, invece, tutti potranno prenotare online per vivere un'esperienza unica all'osteria di via del Pratello 34, nella sala allestita con sedie colorate, vasetti di piante aromatiche su ogni tavolo e tanta semplicità, nel corridoio che un tempo costeggiava il chiostro del monastero quattrocentesco trasformato in carcere.
a cura di Livia Montagnoli