La scritta al neon rosa schocking campeggia felice sulla parete centrale fin dal 2018, quando era ancora una caffetteria. Oggi si apre solo di sera, e davanti a Feminist è apparsa anche la parola Trans. Ché le intenzioni, qui, si chiariscono all'ingresso: non si giudica, ma non si accetta chi lo fa. Il femminismo è intersezionale e le persone transgeder non solo sono le benvenute, ma servono anche ai tavoli. E se negli anni '90 il Sottomarino Giallo era il locale gay di tendenza a Milano, oggi questa definizione è ormai superata: il rifugio della comunità queer è il Pop, inclusivo anche nei prezzi.
Pop, il bar transfemminista e inclusivo di Milano
Ma che significa bar transfemminista? «È un posto in cui le persone si sentono a casa». Fedya Crespolini sa bene quanto sia importante: «Sono una lesbica butch» si affretta ad aggiungere «e milanesissima. Da ragazza avevo qualche punto di riferimento, pochi locali e molto diversi dal Pop, che invece dà spazio a dibattiti, talk, presentazioni di libri. È frequentato dalla comunità LGBT+, ma non è solo un locale queer». Perché qui, alla base di tutto, c'è l'impegno politico, la lotta per i diritti civili. Sono parole relativamente nuove ma che è ora di imparare: con il termine queer, più genericamente, si intendono tutte le persone che si distanziano dalle categorie tradizionali di uomo e donna, e dalle etichette sessuali, che si tratti di gay, lesbica, etero… un mondo libero che non ha bisogno di essere ingabbiato in una definizione per essere riconosciuto.
Nessun* femminist* è perfett*
«Il concetto di femminismo va costantemente aggiornato, quello che sposo oggi - e che si riflette nel bar - è un femminismo intersezionale», parola coniata dall’attivista Kimberlé Crenshaw nell’89 per indicare l’intersezione di più identità sociali e le loro possibili oppressioni: una donna bianca eterosessuale, per intenderci, non subisce la stessa discriminazione di una donna nera o omosessuale. «Ai clienti chiedo sempre quale pronome preferiscano usare e sono tutti invitati a partecipare ai dibattiti».
Con l’obiettivo di confrontarsi in piena sincerità, senza il bisogno di dimostrare un'apertura mentale forzata: «Fare a gara a chi è più femminista non ha senso… nessuno di noi è immune al patriarcato o al razzismo, siamo cresciuti con una certa mentalità, stiamo decostruendo degli stigmi ma questo processo non è automatico». E neanche facile: «Per esempio, una volta c’è stata una discussione sulla grassofobia, la nostra è una clientela informata e attenta, eppure erano tutti sotto shock: volersi migliorare significa anche ammettere di essere in difficoltà con alcuni argomenti e chiedere aiuto a chi ne sa di più». Al Pop si chiacchiera di tutto. Sex work «un argomento tabù per molte persone», prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili, politica, veganesimo e antispecismo. La settimana del Pride si aprirà con i talk di Cara, sei maschilista!, un bel progetto di comunicazione che si impegna a evidenziare il sessismo interiorizzato in ognuno di noi attraverso podcast, post Instagram e un libro.
L'inclusività è anche economica
Chiunque può partecipare: non c’è obbligo di consumazione e i prezzi sono popolari. Fin troppo, partendo da 5 euro per un drink base, «mantenere prezzi simili non è semplice, litigo con le bollette però il costo della vita a Milano è diventato insostenibile e non voglio causare altri grattacapi ai ragazzi». Specialmente i più giovani, che rappresentano gran parte della clientela del Pop: «Sono perlopiù ventenni non binari che hanno lasciato il paese e ora si ritrovano a dividere dei letti in case vecchissime a cifre folli. Come posso chiedere a un ragazzo venuto in città per studiare di pagarmi 12 euro un cocktail, quando sostengo di essere un locale inclusivo?». L’inclusività, oggi, è prima di tutto economica. E con questo, presto o tardi, dovremo fare i conti tutti noi del settore.
Come torni a casa?
Ma al Pop le donne si sentono più sicure? «Sì, ma non solo loro. Direi tutti e tutte... tutt*. Un giorno, quando ancora facevo caffè, è venuto un uomo sulla sessantina che continuava a guardarsi intorno. Alla terza tazzina ho capito che era in difficoltà, abbiamo chiacchierato e ho scoperto che non si sentiva a proprio agio con il suo genere ed era in cerca di un confronto, così gli ho dato dei contatti utili». La sicurezza, comunque, nel locale di Fedya viene al primo posto, «sento sempre le mie clienti chiedere alle altre come tornano a casa, tante si dividono un taxi o fanno dei pezzi di strada insieme, ci si assicura che tutti siano al riparo».
E lo stesso fa Fedya con i suoi dipendenti: «Chiudo prima del bar di fronte, non voglio che ibaristi corrano dei rischi tornando a casa». Specialmente chi appartiene a una categoria più discriminata, «quando ho assunto le prime persone transgender ci sono state delle reazioni contrastanti... anche per questo ho voluto aggiungere la scritta Trans. Di lavoro ce n'è per tutti qui, si va a chiamata, l'età dei dipendenti va dai 20 ai 46 anni, per molti è un secondo lavoro... mi piace pensare che sono quella che gli paga l'affitto assurdo di questa pazza città».
Pop - Milano - via Alessandro Tadino, 5 - instagram.com/pop.milano/