Senza noce moscata la besciamella non sarebbe la stessa. E probabilmente neanche le altre preparazioni che ne contemplano l’uso, previsto pure dall’Artusi per impreziosire la farcia di vari tipi di pasta ripiena. In effetti, con il suo aroma dolce, intenso e pungente, la spezia grattugiata dona alle ricette una diversa stratificazione di gusto — quel je ne sais quoi — che le rende speciali. Un sapore presente nella cultura gastronomica italiana come in quella di diversi paesi occidentali, sebbene proveniente da terre assai remote. Lo scenario che fa della noce moscata un ingrediente diffuso in tutto il globo non è però ascrivibile semplicemente alla contemporanea globalizzazione dei mercati, che propone in genere beni facilmente reperibili e accessibili. Si tratta in realtà di un quadro consolidato da secoli, eredità del colonialismo e frutto di antiche rotte commerciali che hanno introdotto le spezie nel Vecchio Continente. Dietro il privilegio moderno di poter attingere nella cucina di tutti i giorni a questo raffinato nocciolo aromatico si nasconde infatti un passato doloroso, intrecciato alla lotta per il monopolio delle risorse e fatto di guerre e sangue.
La storia della noce moscata
Secondo una delle ricostruzioni più accreditate, la noce moscata deve il proprio nome alla capitale dell’Oman, la città di Mascate, fra le prime sponde a partire dalle quali la si inizia a commercializzare. A dispetto della denominazione, essa risulta originaria delle Molucche, un gruppo di isole indonesiane parte dell’Arcipelago malese, situate nel punto del Pacifico in cui Asia e Oceania si incontrano. Nella miriade di arcipelaghi e isolotti delle Maluku, una microzona in particolare si è distinta per la sua coltivazione: le Banda Islands. Minuscole isole vulcaniche, a malapena percettibili sulla cartina, eppure passate alla storia perché “maledette” dalla loro stessa fonte di sussistenza, le spezie; specialmente la noce moscata che, per vari secoli, valendo quanto e forse più dell’oro, attira le mire espansionistiche degli europei. Ne diventano ostaggio anche gli abitanti di Pulau Run, isola che sino all’Ottocento rappresenta l’unica terra in cui fioriscono gli alberi tropicali da cui origina. Altrove non mancano piantagioni (nelle altre Banda o in Papa Nuova Guinea), ma le varietà ivi coltivate sono differenti da quella rotonda, la noce moscata per eccellenza, ora esportata in ogni angolo del mondo.
Caratteristiche della spezia
Dalla forma ovale e arrotondata, di lunghezza e spessore intorno ai 2-2,5 cm, la noix de muscade — nutmeg per gli anglosassoni — è il seme decorticato, poi essiccato, ricavato dai frutti (simili all’albicocca) della Myristica fragrans, albero sempreverde dell’Indonesia in grado di crescere fino a 20 metri di altezza e raggiungere il proprio culmine produttivo solo dopo 25 anni. Da non confondere con il rivestimento esterno del seme, una retina rosso brillante chiamata macis, altra spezia ambita riconducibile alla pianta, ma più delicata e meno conosciuta.
La scoperta europea
Almeno dal XIV secolo si registra presso le sponde bandanesi la presenza regolare di mercanti malesi, giavanesi e cinesi, implicati altresì nelle importazioni di riso, sago, sale, paglia o stoffa, essenziali al fabbisogno degli isolani. Successivamente, transitano per le acque delle Molucche anche quelli mediorientali, attirati dalla ricchezza indonesiana. Sono per l’appunto i viaggi e le testimonianze degli arabo-persiani a catalizzare l’interesse dell’Europa verso le Isole delle Spezie, ciò che innesca quella serie di spedizioni nell’Insulindia che si rivelerà capace di stravolgere per sempre una civiltà. Quando i portoghesi raggiungono il Mar di Banda nel 1512, l’arcipelago è ormai porto-gateway principale per il traffico della noce moscata, di cui peraltro detiene il monopolio. Questi primi esploratori europei tentano di inserirsi ripetutamente nel mercato ma i loro tentativi vengono respinti in pochi decenni dalla forza autoctona. Nel 1599 è la volta invece degli olandesi che, arrivati nella regione, costringono i popoli locali a una strenua difesa della propria potestà sulla filiera della spezia.
Nel frattempo cresce la brama europea per la noce moscata, moda «esotica» del XVI secolo, ricercata dai ceti abbienti non solo a scopo culinario, ma anche per le presunte doti curative. Una sorta di medicina naturale considerata idonea a risolvere mali di ogni tipo, certamente raffreddori e mal di stomaco. Feticcio che fra i ricchi si diffonde persino come svago cui assuefarsi: c’è chi ne abusa date le proprietà allucinogene.
Lotta per il monopolio
Le spezie che raggiungono il continente europeo vengono vendute a peso d’oro. Il loro valore lievita sui mercati d’Occidente per mano di intermediari e mercanti. Congiuntura dell’epoca che induce diversi soggetti a mettersi in proprio per rivolgersi direttamente alla fonte di produzione, siccome nessuna delle potenze intende rinunciare a trarre il massimo profitto dal circuito in questione. Proprio in questo contesto nasce la Compagnia Olandese delle Indie Orientali (Voc), fra i principali attori dell’esplorazione coloniale nel sud est asiatico, ma soprattutto una delle due forze a contendersi a lungo il controllo sulle preziose risorse indonesiane. Concepita nel 1602 dagli stati generali delle Province Unite come un’impresa economica utile a conquistare l’indipendenza dalla corona asburgica, che da ribelli le aveva estromesse dal mercato imponendo un embargo sugli scambi commerciali con i lusitani, attua subito la politica del commercio armato — “legittimata” dal principio giuridico del mare liberum — volta a strappare il monopolio delle spezie ai popoli indigeni e alla concorrenza europea per arricchirsi. Le Molucche diventano dunque teatro in cui olandesi e inglesi si inseguono per assicurarsi noce moscata, macis o chiodi di garofano, a discapito del dominio marittimo portoghese che nella regione si fa progressivamente meno penetrante.
C’era una volta l’arcipelago delle Banda
La narrativa dominante intorno alla noce moscata si è a lungo concentrata sulla corsa europea alle Isole delle Spezie trascurando dimensioni del racconto che vadano oltre l’ennesimo triste caso di violenza coloniale e depauperamento. Affrancandoci per un attimo dall’assunto secondo cui «la storia la scrivono i vincitori», e prendendo in considerazione un approccio diverso, come quello asiacentrico dello studioso Roy Ellen, si può allora scoprire che i bandanesi dell’epoca pre-coloniale sono molto più di un popolo baciato dalla “fortuna” di abitare territori naturalmente ricchi. Oltre che abili navigatori, si distinguono soprattutto in qualità di esperti commercianti, con un innato fiuto per gli affari che li conduce in poco tempo a coltivare attivamente la noce moscata e acquisirne ipso facto il controllo sul mercato, pur non essendo i soli a disporre del microclima ideale alla produzione. Ma già dai primi secoli del secondo millennio i porti delle Banda costituiscono uno snodo commerciale cruciale per il passaggio di beni primari derivanti tanto dai territori vicini quanto dalla Cina. Non a caso la ricerca dell’antropologo britannico si spinge a considerare l’impatto prolungato sull’economia globale del circuito di scambio e interdipendenza insulare cui essi fanno capo. Da quanto scrive nel suo On the Edge of the Banda Zone, il nome stesso delle isole, che deriverebbe da una parola d’origine persiana che significa «emporium», si addice perfettamente alla metamorfosi dell’arcipelago in hub di un vasto sistema di commercio che interessa anche la Papuasia.
Il genocidio dei bandanesi
Nel XVII secolo, i forestieri che entrano in contatto con le isole Banda riscontrano delle vere e proprie polity all’interno delle quali i rapporti con l’esterno sono mediati dagli Orang Kaya, governatori locali — affini alla figura del magnate — il cui status dipende dal potere commerciale acquisito. Con gli olandesi però la via della mediazione non sembra percorribile. Dall’inizio fanno uso della forza per imporre condizioni unilaterali di scambio: commerciare la noce moscata soltanto con loro. La promessa di monopolio viene tacitamente violata dagli isolani che, dietro tariffe o scambi di merce più convenienti, preferiscono negoziare liberamente con malesi, giavanesi, makassaresi, cinesi, arabi, e poi inglesi, giunti presso l’arcipelago nel 1603. I bandanesi infatti non intendono sottostare alle condizioni della Voc. Tuttavia, il vano tentativo di respingerla, come l’uccisione su Banda Neira di alcuni ufficiali della compagnia, che avrebbe dovuto fungere da monito per gli altri, finisce invece con il costringere gli Orang Kaya dell’isola a sottoscrivere nel 1609 un accordo di pace che riconosce non solo l’autorità olandese, ma anche una parte fissa del raccolto annuale di spezie alla stessa. Man mano che la compagine delle Province Unite estende il suo controllo sull’area costruendo fortezze (in sostanza avamposti commerciali), si intensifica la contesa con l’altra compagnia di bandiera, la East India Company (Eic), presente ormai stabilmente nelle isole di Ai e Run. È proprio agli inglesi che a un certo punto si rivolgono i nativi, logorati dalle pesanti obbligazioni e aggressioni di Amsterdam. Non è un caso se nel 1616 gli abitanti di Pulau Run, in cambio di protezione, siglano un contratto con il Regno d’Inghilterra in cui viene riconosciuta la sovranità di re Giacomo I e sancita l’esclusiva britannica sulla noce moscata. Finiscono così sotto assedio pure gli inglesi, che assieme agli indigeni restano a difesa della loro neo colonia per 4 anni, cioè sino all’assassinio dell’ufficiale responsabile delle operazioni, Nathaniel Courthope.
La successiva ritirata della Compagnia inglese delle Indie orientali rappresenta un ostacolo in meno all’egemonia della Voc, ma non l’unico; l’inesauribile resistenza degli abitanti è vista come una minaccia agli affari della compagnia, quanto basta a convincere il suo governatore generale, Jan Pieterszoon Coen, della bontà della propria teoria: soggiogare le genti banda e sostituirle per controllare meglio il commercio della noce moscata. Nel 1621 vengono allora perpetrati degli attacchi su larga scala in direzione dell’isola più grande, considerata focolaio della resistenza, l’odierna Banda Besar. La distruzione delle imbarcazioni, il saccheggio di villaggi come Selamon e la decapitazione per mano di mercenari giapponesi degli orang kaya (pronti alla cospirazione) consegnano una volta per tutte il monopolio delle spezie alle Province Unite. Decimata la popolazione da guerra, fame, malattie e disperazione, l’arcipelago viene ripartito dai colonizzatori in 68 piantagioni, monoculture che sfruttano la conoscenza botanica dei superstiti schiavizzati, oltre che il lavoro degli altri prigionieri, importati dai colonizzatori per garantire la coltura di una pianta rivelatasi tanto funesta; tant’è che, secondo lo storico americano Vincent Loth, dei 15 000 bandanesi esistenti prima degli assedi coloniali, ne sono sopravvissuti a fatica mille. Una pulizia etnica ricordata ancora oggi come il Massacro di Banda.
Lo scambio del millennio
La dipartita dell’Eic da Run alla fine non rende meno travagliato il possesso dell’isola da parte degli olandesi, costretti dopo il 1620 a fare i conti con la resistenza locale. E nonostante il taglio successivo di tutti gli alberi di noce moscata, pensato dalla Voc per disincentivare il loro ritorno, gli inglesi continuano a rivendicare la propria colonia d’oltremare, verso le cui sponde correvano un tempo i mercanti sfuggiti alla furia decapitatrice olandese. Il Trattato di Breda del 1667 però chiude la questione anglo-olandese, almeno provvisoriamente, soddisfacendo la pretesa monopolista delle Province Unite e concludendo «l’affare immobiliare del millennio» (Ian Burnet): Pulau Run e Suriname — fondamentali nella produzione di noce moscata e zucchero — vengono scambiate per l’isola di Manhattan. L’intesa fra i due paesi, più che uno scambio, garantisce lo status quo, cioè la formalizzazione dei territori acquisiti illegalmente l’uno dall’altro; gli olandesi conservano i due vecchi possedimenti del Regno d’Inghilterra necessari al consolidamento della supremazia commerciale, mentre agli inglesi è conferita Nieuw Amsterdam, un insediamento olandese su Manahatta (come la chiamavano i nativi americani), occupato nel 1664 dalla flotta britannica e ribattezzato di lì a poco New York, in onore dell’allora duca di York, il futuro re Giacomo II. Su quel territorio paludoso e ‘infruttifero’, “venduto” secondo la leggenda dalle tribù indiane dei Lenape ai Nuovi Paesi Bassi per il valore di 60 fiorini, adesso si erge una metropoli cosmopolita, la città globale dominante che tutti conosciamo.
«La maledizione della noce moscata»
Il riconoscimento formale di Run come colonia olandese nel 1667 rafforza la presa della Voc sul traffico di noce moscata nelle Molucche, convincendo il mondo intero che a fare l’affare erano state più che altro le Province Unite. Eppure, l’evoluzione successiva dimostra progressivamente il contrario. La comparsa sul mercato di altri prodotti quali tè, caffè o tabacco, così come quella di nuovi cibi e modi per prepararli, destabilizza la primazia delle spezie, beni simbolo del lusso coevo per cui scema piano piano il desiderio di sborsare un salasso. Per giunta, nonostante i decenni di controllo soffocante della compagnia, qualcuno riesce a esportare in sordina la coltura della noce moscata; non a caso, il contrabbando dei bandanesi sopravvissuti favorisce la circolazione dei suoi semi, mentre con la riconquista delle isole durante le guerre napoleoniche gli inglesi trapiantano la Myristica fragrans e altri alberi di spezie nelle colonie di Penang, Ceylon, Bengkulu, Singapore e Grenada (la bandiera di quest’ultima raffigura appunto una noce moscata). Congiunture che portano al crollo del valore della spezia e del sistema economico su cui si reggeva l’arcipelago bandanese, decretando così la fine del monopolio dei Paesi Bassi.
Oggi le Banda sono ben lontane dallo splendore dei secoli pre-coloniali. Su Pulau Rhun gli abitanti continuano a coltivare sia chiodi di garofano che noce moscata, ma l’isola manca di infrastrutture fondamentali, oltre che di elettricità — disponibile solo poche ore la sera grazie a un generatore — e una qualche copertura telefonica o di rete. Come le altre isole, venuto meno l’interesse spasmodico per le sue risorse naturali, è finita nel dimenticatoio. La loro fama è durata giusto il tempo di fare le fortune degli europei con la produzione della più preziosa delle spezie, la noce moscata, per gli isolani una sorta di maledizione.