Panna, farina e un pizzico di sale: un impasto denso e cremoso, da mangiare in purezza o usare per condire primi e secondi piatti. È la mazza frissa, specialità della Gallura, spesso sconosciuta anche nella stessa Sardegna al di fuori della zona. Un piatto antico e goloso, nato dall’ingegno dei pastori e ancora oggi proposto nei ristoranti del territorio.
Mazza frissa, il pasto dei pastori della Gallura
È difficile rintracciarne le origini: la mazza frissa è una ricetta povera che risale alla notte dei tempi, e sulla sua provenienza si dice di tutto. Secondo alcuni sarebbe nata grazie ai pastori che mettevano a rassodare gli ingredienti di notte per trovare poi la crema pronta il giorno dopo, altri ritengono che sia legata alla tradizione della festa di San Giovanni, quando si diceva che il piatto portasse dei sogni premonitori. C’è poi chi sostiene si tratti di una ricetta di recupero, nata per utilizzare la panna avanzata: pochi ingredienti a basso costo, sempre disponibili nelle case di campagna, per creare un piatto buono e nutriente.
La mazza frissa nei ristoranti della Gallura
«Solitamente si preparava con quello che rimaneva dopo che si metteva a bollire il latte» racconta Antonello Columbano del ristorante Lu Branu ad Arzachena, «si aggiungeva la farina di semola per rassodare il tutto, e poi alla fine un goccio di miele… la facciamo anche noi ancora così, non è un dessert ma un antipasto, al massimo un primo piatto». Sempre ad Arzachena, anche l’agriturismo La Colti propone la mazza frissa tra gli antipasti, «come una quenelle, piatto fisso in carta insieme ai nostri salumi» spiega Gabriele Manca, «cerchiamo di essere il più fedeli possibili alla ricetta originale, aggiungendo anche formaggio fresco».
Mazza frissa e capesante
Il bello dei piatti così antichi è proprio questo: ognuno li fa a modo suo, e sono tutti giusti. Da Rocca Ja a Castelsardo si può provare la mazza frissa in tanti modi, persino sulla pizza: «La serviamo come classica terrina tra gli antipasti, poi la usiamo per condire la pizza oppure gli gnocchi di farina di semola, altrimenti le capesante» dice Giorgia Spezziga, «chi vuole assaggiarla in purezza può farlo anche così, con un po’ di pane carasau». Una ricetta che esiste da sempre «nessuno sa quanti anni abbia, si faceva nelle case dei pastori con il latte appena munto, mucca o pecora a seconda del periodo». E poi c’è la versione con il miele «che diventava pure un dolce», sempre buonissima, «il nostro obiettivo è quello di portare avanti la tradizione e tramandare ricette come questa. Una volta provata, è difficile da dimenticare».