Gli odori sono ricordi potentissimi e profondi. Arrivano quando meno te lo aspetti e ti colpiscono all’improvviso. Il profumo dell’hummus tiepido, per esempio, riporta a una terrazza coperta, all’ora del tramonto: l’aria fresca sul viso e il richiamo del muezzin alla preghiera. Siamo in Siria e quella terrazza si affaccia sulla famosa grande moschea di Aleppo e sul suo minareto, distrutti entrambi dalla guerra e ora in via di ricostruzione. Uno dei piatti più celebrati dalla cucina mediorientale, l’hummus, forse il più amato, certamente il più conosciuto nel mondo e anche il più discusso. Conosciamolo meglio in occasione della Giornata Internazionale dell’Hummus che si festeggia il 13 maggio.
Si fa presto a dire hummus
La base è certamente negli ingredienti principali, i ceci (la parola hummus in arabo vuol dire proprio cecio) e la tahina fatta di semi di sesamo, ma poi in ogni paese del Medio Oriente ( o West Asia, come alcuni propongono di dire) cambiano le proporzioni. Ognuno ha il suo segreto, il suo stile, e sa dove andarlo a mangiare, cioè la perfetta hummusiya, il locale specializzato che di solito si trova all'interno dei mercati. Qui viene condito al momento. Alla base già pronta di ceci e tahina (che deve essere super cremosa), si aggiungono prezzemolo, a volte solo paprika, oppure olio, sale e limone, o ceci caldi interi, in alcuni casi mandorle o pinoli. Si accompagna con la pita sul posto oppure si porta a casa. Nei ristoranti è incluso tra le mezze, gli antipasti tradizionali libanesi. C'è chi lo mangia anche a colazione, per le sue proprietà di super food. “Una ricetta versatile che si presta a tante interpretazioni e per questo piace ovunque e ha successo anche da noi”, ci racconta Giulia Ubaldi, antropologa del cibo e fondatrice del Lac di Milano, il Laboratorio di Antropologia del Cibo, nella zona di Giambellino, che ospita tanti corsi di cucina internazionale e chef provenienti dalle comunità di tutto il mondo che vivono in città. Un bel luogo di incontro e di scambio intorno ai fornelli nato nel 2021. L'hummus è nel suo corso di cucina libanese di casa con la chef di Beirut Yara. “Come nelle case e nelle famiglie, lei utilizza anche gli ingredienti locali e italiani, prepariamo l'hummus classico di ceci ma anche quello con spinaci e basilico o con barbabietole rosa. Ogni volta poi ne svela di nuovi. È' uno dei piatti più amati e buoni che facciamo al Lac” conclude.
Hummus, un piatto conteso che dovrebbe unire
L'hummus è oggi un simbolo di pace e unione. E la Giornata Internazionale vuole celebrare proprio questo. Ma stando in Medio Oriente purtroppo il rischio dei distinguo è sempre dietro l'angolo e così negli anni l'hummus è stato anche divisivo, simbolo delle tensioni politiche nell'area: l'argomento del contendere, origine e paternità, tra arabi e israeliani. Giulia Ubaldi ci ricorda che nel 2006 proprio un film su questo argomento, West Bank Story, aveva vinto l'Oscar come miglior cortometraggio. Tra il 2009 e il 2010 ci sono state persino contese sul Guinness dei Primati, tra il Libano e Israele in cerca di un primato non solo numerico “sull'hummus più grande mai servito” ma anche di un primato sull’origine della ricetta: la cosiddetta guerra dell'hummus. A questo aveva cercato di rispondere il registra Trevor Graham con il documentario “Make Hummus not War”, per riportare l'attenzione sull'aspetto unificante. Come tutti i piatti più importanti di ogni cucina, se ne può tracciare una storia seguendo il percorso dell'ingrediente principale, i ceci, che hanno la propria origine nel Medio Oriente arabo.
La storia dell’hummus
In età moderna, la nascita di stati come Israele si è inserita in questo percorso attraversandolo, e facendo sua una ricetta già presente nell'area. Alcune comunità arabe leggono questo passaggio come appropriazione, soprattutto libanesi e palestinesi. Ma la cucina è una cosa viva, si muove con le persone e i popoli: i piatti vengono interpretati, amati e si diffondono ben oltre singole identità nazionali. Ha provato a tracciarne la strada con uno sguardo unificante e non divisorio lo chef israeliano Ariel Rosenthal che nel suo ristorante di Tel Aviv, Hakosem, serve migliaia di piatti di hummus al giorno. Il suo “On the Hummus Route” scritto con Orly Peli-Bronshtein, e pubblicato nel 2019 è uno dei lavori più completi sull'argomento. Vuole raccontare il percorso dalle grandi città Cairo, Gaza, Jaffa, Gerusalemme, Tel Aviv, Nazareth, Acri, Beirut e Damasco, ai ricordi familiari e personali. Come quelli di Claudia Roden (Cairo), Sami Tamimi (Gerusalemme) e la food writer palestinese Joudie Kalla (Jaffa). Pensiamo ai diversi stili di pizza che oggi ormai riconosciamo nel mondo. Anche da noi il dibattito è in corso. Una cosa è certa: più un piatto viene interpretato e discusso, più vuol dire che ha successo. E invece che rivendicarlo solo come proprio, se ne dovrebbe omaggiare la ricchezza di stili e interpretazioni.