Storia della gelatina alimentare
Un tempo si utilizzava un brodo di ossa, concentrato e fatto freddare, talmente denso da risultare gelatinoso e venire usato in Medio Oriente come collante per le pelli. Oggi la gelatina alimentare – chiamata anche colla di pesce – si presenta sotto forma di sottili fogli essiccati, da ammollare in acqua e aggiungere alle preparazioni dolci o salate per creare budini, dolci al cucchiaio o anche solo per dare consistenza agli alimenti. Ma prima di arrivare all’attuale versione commerciale, sono stati diversi gli esperimenti culinari e non solo, fatti per ottenere degli addensanti. Nell’antico Egitto, per esempio, una sorta di gelatina ricavata dalla cottura delle carni veniva usata per realizzare le pitture ornamentali delle tombe, mentre a partire dal II secolo d.C. comincia a essere impiegata anche in cucina, onnipresente nei ricettari rinascimentali delle classi aristocratiche perché considerata un bene di lusso.
Com’è fatta la gelatina alimentare
Col tempo è divenuto un prodotto alla portata di tutti, tanto da rappresentare una delle principali derrate di cui fare scorta durante le guerre napoleoniche dell’Ottocento e durante la guerra d’Algeria del 1830, perché ricca di proteine. Per realizzarla, infatti, occorre il collagene degli animali, in particolare quello dei tessuti connettivi e delle ossa di suini, bovini e, in passato, anche delle lische dei pesci. Il nome colla di pesce deriva proprio da un’antica procedura originaria della Russia, dove la gelatina veniva prodotta a partire dalla vescica natatoria dello storione (pesce famoso per le sue uova da cui si ottiene il caviale) che veniva fatta essiccare, ma si tratta di una pratica ormai in disuso. Le gelatine in commercio sono oggi prodotte principalmente dalla cotenna del maiale, insieme a ossa e cartilagini anche di bovini. I fogli sono trasparenti, inodori e insapori: la loro unica preziosa funzione è quella di addensanti.
L’aspic, simbolo degli anni ‘80
Fra le preparazioni più famose che impiegano la gelatina, c'è l’aspic, termine che indica una pietanza fredda composta da carne, pesce o verdura racchiusi in un involucro di gelatina, e che in francese significa “aspide” (il nome è probabilmente legato alla forma degli stampi di una volta, che ricorda quella di un serpente arrotolato). Inventore ufficiale della ricetta è lo chef di Napoleone, Marie-Antoine Carême, che la annovera fra gli chaud-froids (letteralmente “caldo-freddo”), delle preparazioni cucinate calde ma servite fredde. Scenografico e vistoso, l’aspic è stato uno dei piatti cult degli anni ’80 e inizio ’90, anche nella variante dolce alla frutta. Prepararlo è semplice, basta solo avere un po’ di pazienza e attendere i tempi di addensamento della gelatina: punto forte del piatto è la trasparenza che permette di intravedere gli ingredienti all’interno e creare così effetti colorati e originali.
La carne in scatola con la gelatina
Altro prodotto fondamentale preparato con la gelatina è la carne in scatola. I primi esperimenti risalgono a inizio Ottocento, in seguito agli studi di Nicolas Appert, padre della sterilizzazione dei barattoli e del sottovuoto, ma è solo nel 1876 che inizia il commercio della carne in scatola in Argentina grazie all’invenzione dell’apriscatole. In Italia è il colonnello don Ettore Chiarizia a brevettarla nel 1929 per l’esercito, anche se prima di lui già Giuseppe Lancia aveva realizzato delle confezioni speciali per le truppe piemontesi durante la Guerra di Crimea. Marchio simbolo della carne in gelatina è la Simmenthal, fondato nel 1881 dal ristoratore Pietro Sada, seguito dal figlio Gino Alfonso che a inizio Novecento diede vita alla produzione industriale.
Jelly, la gelatina alimentare inglese
La gelatina è molto usata anche nel Regno Unito, dove è conosciuta con il nome di jelly, da non confondere con lo stesso termine americano, con cui negli Stati Uniti si indica invece la confettura di frutta. Quella colorata alla fragola è lo snack tipico dei bambini inglesi: generalmente si compra una versione commerciale, un blocchetto di gelatina concentrato da diluire con acqua calda e mangiare con il cucchiaio per merenda insieme a una tazza di tè, ma la si può fare anche in casa, partendo da frutta, acqua, zucchero e gelatina. La jelly è anche la base per tanti dolci tipici, come il trifle, dolce dall’aspetto barocco tradizionalmente composto da diversi strati di pan di Spagna imbevuti nello Sherry o altri vini liquorosi, crema pasticcera, panna montata e frutta (secondo molti, è stato l’ispirazione per la nostra zuppa inglese), ma che oggi si realizza più comunemente con la gelatina di fragola posizionata fra uno strato e l’altro di dolce e crema. Immancabile poi la jelly nelle jaffa cakes, tortine morbide ripiene di gelatina all’arancia e ricoperte di cioccolato, ormai disponibili anche in tante varianti commerciali.
Le opzioni vegetali, dall’agar agar alla pectina
Per chi segue una dieta vegetariana o vegana, non mancano le alternative addensanti senza derivati animali. Per esempio, l’agar agar, prodotto ad alto contenuti di mucillagini e carragenina - una sostanza gelatinosa - ricavato dalle alghe rosse e ricco di minerali. Lo si trova venduto in barre, a fiocchi o in polvere, e per utilizzarlo basta diluirne circa 5 grammi in 1 litro di acqua. Per solidificare impiega circa un’ora a temperatura ambiente e, proprio come la colla di pesce, è inodore e insapore. C’è poi la gomma xantana, ottenuta dalla fermentazione di un carboidrato e presente sotto forma di polvere, da sciogliere in acqua e utilizzare come additivo e addensante. Ancora, la gomma di guar, prodotto dai semi dell’omonima pianta leguminosa tipica dell’India e del Pakistan, e la pectina, composto estratto dalla frutta e impiegato soprattutto nella preparazione di marmellate e confetture.
La ricetta dell’aspic di fragoline
- 350 g di fragoline di bosco
- 100 g di zucchero
- 150 g di Porto
- 350 g d’acqua
- 6 g di gelatina in fogli
- 1 baccello di vaniglia
- Scorze di limone
Preparazione: 10 minuti + 6 ore di raffreddamento.
Fate ammollare la gelatina in acqua fredda. Raccogliete lo zucchero in una casseruolina con 300 g. d’acqua, due belle scorze di limone e il baccello di vaniglia diviso in due longitudinalmente. Fate bollire per qualche minuto quindi ritirate lo sciroppo dal fuoco, unitevi la gelatina ben strizzata e mescolate fino a quando è completamente sciolta e ben distribuita. Lasciate intiepidire quindi filtrate lo sciroppo e unitevi il Porto.
Riempite 4 piccoli stampi con le fragoline e versatevi la gelatina fredda ma ancora liquida. Fate rassodare in frigorifero (assolutamente non nel freezer) per almeno 6 ore. Al momento di servire tuffate gli stampini per un attimo in acqua bollente, asciugateli e rovesciateli sui piatti. Potete completare il dessert con una pallina di gelato di fragola.
La ricetta della panna cotta
a cura di Michela Becchi