«Restiamo amici» è una frase che di solito non promette nulla di buono. Ma quando si parla di sobrietà vale la pena fare un'eccezione, perché è veramente possibile avere rapporti spensierati e felici senza alcol. Sembra assurdo doverlo specificare, ma non è poi così superfluo. Ho forzatamente – e felicemente – rinunciato all’alcol da un po’ di mesi e, in occasione del Sober Ocotber, l’iniziativa per ridurre le bevute durante il mese di ottobre, ho raccolto un po’ di riflessioni sul tema.
Quanto bere (o non farlo) influisce sulle relazioni
Prima di cominciare, un buffo aneddoto per comprendere quanto ancora sia profondo lo stigma verso chi non beve (i protagonisti della storia mi perdoneranno per questa condivisione). Due anni fa, durante una festa di compleanno, un ex collega – parliamo di persone con una cultura del bere – ha chiesto al gruppo: «Riuscireste a stare con un astemio?». La risposta univoca è stata un fragoroso "no": pena, la perdita di una socialità condivisa irrinunciabile per la coppia, oltre alla noia. Dapprima ho riso, poi però questa reazione mi ha destabilizzata: davvero rinunciare all’alcol significa abbandonare le relazioni? Spoiler: in parte, sì, ma solo quelle di un certo tipo. Eppure, oggi le nuove generazioni sono molto più inclini a rinunciare all'alcol, anche solo a sperimentare la sobrietà. Questo vorrà pur dire qualcosa... o no?
Cosa ho imparato smettendo di bere
L’alcol aiuta solo se il rapporto non è stabile
Parliamoci chiaro, a un primo appuntamento un bicchiere può contribuire a rompere il ghiaccio. Si tratta, però, di un incontro tra due estranei: quando si è con un caro amico o il proprio partner, se la conversazione arranca, la colpa di certo non è del mancato vino. Chiediamoci, con un po' di onestà intellettuale, con quante persone saremmo in grado di passare un’intera serata, anche fino a tardi, senza toccare un goccio d’alcol e divertendoci lo stesso: alle volte, la risposta non è molto rassicurante.
La sobrietà può essere divertente
Ho passato diverse serate "ad acqua" insieme a mio marito e altre persone che fanno parte della mia quotidianità. Mi sono resa conto che le chiacchiere tra amiche erano le stesse di sempre, a prescindere dalla bevanda: gli uomini indecisi, le relazioni, le unghie, i traumi, le paure, la Nutella vegana e l’ansia del futuro. Fiumi di parole che scorrevano veloci mentre loro aprivano la seconda bottiglia e io riempivo la caraffa d’acqua. Oppure cene in casa, tra giochi da tavola e risate, scontri frontali tra il mio bicchiere di limonata e i loro calici di rosso. Due anni fa, ho persino avuto un addio al nubilato sobrio in famiglia e non avrei potuto immaginare serata più divertente.
La pressione sociale: o bevi o sei fuori
Una delle mie migliori amiche e più grande sostenitrice (è grazie a lei che sono diventata vegetariana) soffre di diabete di tipo 1 e ha da poco concluso con successo la maratona di Berlino. Per farlo, si è allenata come un’ossessa e ha smesso di bere. E pensare che un tempo eravamo compagne di aperitivi a distanza, ci scrivevamo frasi senza senso a Capodanno, brindavamo in videochiamata durante la pandemia. Da quando ha abbandonato (non del tutto, ma in gran parte) l’alcol, ha iniziato a lamentare una certa pressione sociale durante le uscite. «Con te sarebbe diverso, non mi farei problemi».
Non era la prima volta che mi sentivo dire una cosa del genere: ci vuole più confidenza nel trascorrere una serata sul divano con una camomilla, che nell'aspettare l'alba sbronzi. Il punto, però, è che anche se non si comprende il motivo per cui una persona non voglia bere, bisogna imparare a rispettare quel limite.
Rispettare i limiti (ed evitare figuracce)
La questione dei limiti non è da sottovalutare. Insistere con le domande o spingere qualcuno a bere non è mai una buona idea. Intanto, la persona in questione potrebbe non voler condividere la motivazione. Potrebbe nascondere una malattia o magari una gravidanza, potrebbe aver sofferto di alcolismo o potrebbe avere qualche piccolo disturbo gastrico che non vuole condividere. Più in generale, non ci si dovrebbe giustificare quando si rifiuta un bicchiere di vino: alle volte, si può semplicemente non essere dell’umore giusto.
«Eh, ma il piacere…»
Chi lo ha detto che bere debba piacere a tutti? L'arroganza con cui il più delle volte ci si approccia all'argomento, simulando espressioni di sgomento di fronte a chi ammette di non amare il vino, di certo non aiuta la persona in questione ad avvicinarsi al prodotto. Giudicare i gusti altrui, in generale, è sempre controproducente e ciò che è un piacere per alcuni potrebbe essere una tortura per altri.
La dura verità: il nostro corpo sta meglio senza alcol
Un bicchiere ogni tanto non fa male, ma bere abitualmente – pur senza arrivare ad accessi – sì. O almeno, così sembrerebbe stando ai segnali inviati dal nostro organismo: un detox porta tanti benefici, gli effetti si sentono già dall’inizio, un po’ come quando si smette di fumare. Lo so, sembra esagerato, ma è quello che accade alla maggior parte delle persone che abbandonano l'alcol per un po': per esempio, io non ho più avuto episodi di reflusso gastrico, piccolo ma fastidioso disturbo che accomuna tante persone (specialmente tra chi fa il mio mestiere): trangugio pomodori come fossero patatine, bevo spremuta d’arancia di prima mattina e il Riopan è ormai un lontano ricordo.
Non ero solita alzare il gomito, ma bevevo settimanalmente, spesso più di una volta (e più di un bicchiere a uscita). Una dose considerata «normale» che però incideva sulla mia salute, pur non rendendomene conto. C’è da considerare anche tutto ciò che l’alcol comporta: stuzzichini, pasti più abbondanti del solito, cotture più pesanti. Raramente si beve un bicchiere «a pasto», piuttosto si va nei locali e si accompagna il calice con troppo cibo, o peggio, troppo poco: un mix che al nostro stomaco non va molto a genio.
Amo il vino, ma ancor di più la sua idea
Ho imparato presto ad apprezzare il vino. Negli ultimi tempi, i miei gusti erano cambiati e bevevo esclusivamente naturale (fatta eccezione per cene o drink offerti a casa di altri), oggi sto vivendo una sobrietà imposta ma felice, e alle volte le amiche mi chiedono se non mi manchi un bel calice di bollicine. La verità? Non molto. Se penso a qualcuno dei rifermentati o macerati che amavo, l’idea non mi dispiace ma non mi viene voglia. Desidero, piuttosto, un boccale di birra (inglese!) al pub: quella zaffata inconfondibile che emerge dalla pinta, i grandi sorsi per rilassarsi dopo una giornata storta. E, lo ammetto a malincuore, la sigaretta accesa poco dopo.
Mi manca quella che con mio marito chiamavamo «la birretta defaticante», la bevuta infrasettimanale per lasciare il lavoro alle spalle e cercare di affrontare al meglio i giorni successivi (spesso, avveniva di lunedì, oppure mercoledì, il giorno più stupido della settimana). Ma in questi mesi di astinenza ho capito che del sapore della birra potrei farne a meno: mi piace l’esperienza del bere, più della bevanda in sé, tutti i rituali che comporta. Mi piace l’odore dei pub, mi piace tenere il posto al bancone per la mia amica ritardataria, mi piace sapere di avere un locale di fiducia dove tornare.
Eliminare qualcosa per essere felici
Quando vivevo in Inghilterra, per un lungo periodo non ho bevuto la birra: al pub (format che ho sempre amato) ordinavo vino di pessima qualità oppure una tazza di tè con i biscotti. Il tè, di sera, al pub inglese. Stavo bene, non mi mancava nulla. Ero inconsapevolmente arrivata alla conclusione a cui sono giunta di nuovo solo dopo aver rinunciato all'alcol: tutto ciò che amo posso averlo a prescindere dalla bevanda. Certo, alcuni luoghi per chi non vuole (non può o non ama) bere sono «scomodi»: le enoteche di vino naturale, per esempio - che prima frequentavo di buon grado - oggi non le trovo molto allettanti. Di sicuro non parteciperò più alle fiere di vino, ma nulla mi impedisce di godermi una cena tra amiche o un aperitivo.
Non credo nei buoni propositi, specialmente quando si parla di «vizi»: non so dire se ho voltato definitivamente le spalle al vino, non mi sono imposta alcuna regola per il futuro. Ma so che, se e quando berrò, sarà solo perché ne avrò davvero voglia e non per pura socialità. Quel che è certo è che non sempre serve aggiungere qualcosa per stare bene: alle volte, togliere è la chiave della felicità. Che si tratti di un bicchiere di troppo o un rapporto che non funziona.