Scendendo l'angusta scala a chiocciola, sembra quasi di sentirli suonare dal vivo. Immaginate: sono gli anni ’60, quattro giovani ragazzi che stanno per cambiare la storia della musica strimpellano da Dio in un seminterrato umido e pieno di fumo. La musica c’è ancora oggi, le tribute band si danno il cambio e quegli artisti che tentano di discostarsi dal repertorio finiscono per cedere all'unanime richiesta. Una voce, forte e chiara, si eleva dal pubblico: «Facci Hey Jude». «È troppo presto per quello, non sono ancora abbastanza ubriaco». Alla fine, però, Hey Jude arriva sempre. Siamo al Cavern Club, come potrebbe essere altrimenti?
Matthew Street, numero 10
Il posto è affollatissimo, l’aria pesante, il bar microscopico. Prendere da bere in questo monumento musicale di Liverpool è un’impresa, ma qui non serve una birra per stare bene. Al civico 10 di Mathew Street, dove nel 1957 Alan Synter ebbe la felice idea di aprire il suo club, non si viene di certo per l’offerta gastronomica. L’alcol è mediocre, l’odore di legno vecchio si fonde con quello della birra nei bicchieroni di plastica. Si sgomita un po' per ordinare, ma i prezzi sono accessibili. Ma se pure così non fosse, che importa? Siamo al Cavern. Si viene accolti da una piccola insegna al neon rossa, l’ingresso costa 5 sterline, le pareti sono tappezzate fin dall’ingresso con foto e ricordi dei Beatles, ma anche di altri grandi artisti che si sono esibiti sul piccolo palco (tra gli altri, i Rolling Stones, The Who, i Queen, Elton John).
Quando John incontrò Paul
Che poi, non nacquero mica qui i Fab Four. L'incontro fortunato accadde sempre quell’anno, però, il magico ’57: era il 6 luglio, i Quarrymen si stavano esibendo nella chiesa di St Peter, un diciassettenne di nome John Lennon guidava il gruppo. Un ex componente della band gli presentò un ragazzo di quindici anni che alla chitarra se la cavava piuttosto bene: suonò Long Tall Sally di Little Richard, lasciando senza parole il giovane cantante. Il ragazzo si chiamava Paul McCartney e quello fu l’inizio della più bella delle storie musicali. L’anno dopo si aggiunse George Harrison, poi arrivarono Stuart Sutcliffe (al basso) e il chitarrista Pete Best. Fu solo nel 1962 che nacque il quartetto che tutti conosciamo, con l'ingresso di Ringo Starr. Un anno dopo, l'album Please Please Me veniva al mondo, e nulla sarebbe più stato lo stesso.
Al Cavern Club, comunque, i Beatles finirono quasi subito. Synter lo aveva chiamato così in omaggio a Le Caveau de la Huchette, un piccolo jazz club francese di cui si era innamorato e che aveva voluto replicare nella sua città. Certo, mai avrebbe immaginato un simile successo, almeno non fino al 9 febbraio 1961, quando i Beatles salirono per la prima volta su quel piccolo palco.
Se mai ci fosse stato un quinto Beatle...
Lo stesso di sempre, basso e contenuto, posto in fondo alla sala principale di questo ambiente scuro e in stile industrial. L’ingresso, invece, è cambiato: costruito in principio nella cantina di un magazzino, nel 1973 il club fu distrutto, riaperto solo quattro anni dopo la morte di John Lennon, nel 1984, con i mattoni originari. Camminare sul pavimento del Cavern è una passeggiata nella storia ma la magia comincia già prima di entrare, quando si varca Mathew Street.
Liverpool è la città della musica, non solo dei Beatles. Da ogni locale emergono prepotenti le note che hanno segnato le epoche, proprio come accadeva un tempo, come successe nel ’61, quando l’imprenditore Brian Epstein si fermò ad ascoltare il gruppo. Fu amore a prima vista, divenne il loro manager, convinto com'era che quei quattro ragazzi avrebbero potuto in poco tempo diventare la più grande band al mondo. Un fan sfegatato che ci aveva visto lungo: «Se mai ci fosse stato un quinto Beatle, quello sarebbe stato Brian» avrebbe detto Paul molti anni dopo.
Erano solo quattro ragazzi di Liverpool
Al Cavern i Fab Four si sono esibiti per 292 volte, quasi sempre all’ora di pranzo. Al tempo le band esordienti suonavano perlopiù per intrattenere i lavoratori che si fermavano a mangiare un boccone. E neanche si poteva bere: fu solo nel 1967 che il locale ottenne la licenza per servire alcolici… ma qui, l’offerta è sempre stata qualcosa a corredo. La musica, prima di tutto. Oggi ci si viene nel pomeriggio, il calendario delle esibizioni è sempre fitto di appuntamenti, ad agosto la Beatle Week raduna fan da tutto il mondo, ma al Cavern Club ogni giorno è festa.
Si canta insieme, ci si abbraccia tra sconosciuti, si finisce per essere catturati nei video altrui. I tavoli sono impossibili da accaparrare, osservare i tesori lasciati dalle star nel tempo e racchiusi nelle teche di vetro alle pareti mantenendo in equilibrio il bicchiere di birra è un'impresa ardua. Poi, però, tutto si ferma. Hey Jude arriva. E non ricordi più da quanto sei in piedi, in quell'aria viziata di un seminterrato senza finestre, né quante canzoni hai già cantato a squarciagola. E non puoi fare a meno di chiederti come sarebbe stato in quei magici anni Sessanta, di fronte a quei quattro ragazzi di Liverpool. La nostalgia di un qualcosa mai vissuto in prima persona, ma che pulsa ancora forte tra queste mura.
Poi si alza un coro, un grido d'amore lungo quattro minuti, lanciato al vento con accenti diversi, tutti uniti nel segno della buona musica, della folle passione per quel quartetto che vivrà in eterno.
Naaa-naaa-naaa-na-na-na-naaaaa... na-na-naaaaa....