Quando pensiamo alla Scozia, l’immagine di un individuo che indossa la tipica gonna e suona la cornamusa si fa subito vivida. Al massimo, c’è qualche cinefilo cui viene in mente Braveheart, il colossal in cui il patriota William Wallace si arma contro gli inglesi alla conquista dell’indipendenza. Stereotipi che sono rappresentazioni del modo in cui guardiamo il mondo, ciò che crediamo “distante”. Non può farci male dunque allargare gli orizzonti, e magari scoprire che non siamo poi tanto diversi. E a volte sono le cose più banali a segnalarcelo. Si pensi alla bondiola, l’insaccato emiliano simile al cotechino, che ha nell’haggis scozzese una sorta di cugino di secondo grado. Si dice infatti che il cibo sia un formidabile passepartout, una chiave universale che consente di avvicinarci a culture che riteniamo decisamente più lontane di quello che in realtà sono. Eccone giusto un esempio. Affonda le proprie radici nella tradizione gastronomica gaelica.
Haggis, l’insaccato della tradizione scozzese
Gonfia e tondeggiante, ricorda almeno nella forma la bondiola italiana. L’haggis è un insaccato “strong”, di carattere, prodotto con il quinto quarto, in tal caso delle interiora di carne ovina: cuore, fegato e polmoni. Le frattaglie di pecora vengono macinate con grasso di rognone, cipolla, farina d’avena, spezie e sale. Questo composto, bagnato da brodo, va a costituire l’interno del salsicciotto, il ripieno racchiuso dallo stomaco dell’animale o da un budello (non per forza naturale). Come il cotechino, richiede 3 ore circa di cottura (bollito allo stesso modo). Trascorso il tempo, si lascia raffreddare nella sua acqua per almeno 15 minuti. Poi si fa asciugare per bene e si porta in tavola con un'incisione che ne faciliti la sporzionatura. Una volta tagliato, si può decidere pure di ‘ripassare’. Altrimenti, si serve nei piatti a generose cucchiaiate. In genere, viene affiancato da un contorno classico a base di patate e rape rutabaga, una purea di tuberi bolliti che gli scozzesi chiamano neeps and tatties. In abbinamento, non può mai mancare un bicchiere di whisky, distillato nazionale con cui si prepara anche la salsa d’accompagnamento, capace di smorzare il sapore deciso dell’Haggis.
Storia e curiosità sull’haggis
Una simpatica leggenda narra di qualche forestiero convinto dell’esistenza di una fantomatica specie animale con cui si produce il salume, l’haggis. Invece è solo un altro unicorno scozzese, una creatura mai esistita come il mostro di Loch Ness. La storia che ha portato alla nascita di questa ricetta in realtà è semplice, frutto dello spaccato agreste a nord del Regno Unito. Si ritiene che sia una specialità legata alla transumanza: i pastori delle Highland nel tragitto stagionale verso le montagne si portavano dietro tale preparato fatto con gli scarti delle pecore macellate perché non si sarebbe deperito con il passare dei giorni. Altre ricostruzioni ne fanno una tradizione culinaria ancestrale affermatasi per necessità. Tempi duri e miseria costringevano i più poveri ad accettare i tagli meno nobili dai clan gaelici possidenti, ai vertici della antica società rurale locale.
La notorietà dell’insaccato si attribuisce a uno dei più celebri poeti di Scozia, Robert Burns. È lui a tesserne le lodi nel suo Address to a Haggis, componimento di fine Settecento. L’importanza dell’autore per il paese è tale che ancora oggi ne viene onorata la memoria: si indice ogni 25 gennaio, giorno del compleanno dello scrittore, il Robert Burns Day. Celebrazione nazionale in cui si tiene il Burns Supper, cerimonia dai toni solenni in cui l’Haggis viene trasportato su un vassoio d’argento e affettato con un coltello speciale. In contesti formali, la poesia viene recitata durante la "liturgia" per ricordare che è una preparazione adatta a tutti, al di là delle origini umili con cui si è diffusa. Della ricetta, parte del dna degli scots, oggi compaiono pure delle varianti. Una è la haggis pakoria, la versione fritta proposta nei locali in cui si fa una cucina indiana o internazionale. Praticamente, la tradizione sulla tradizione. Inoltre, come per il cotechino e lo zampone in Italia, anche l'haggis viene prodotto a livello industriale. Sugli scaffali dei negozi si trova precotto (o ready to eat) e inscatolato.
Oltre i confini nazionali
Una legge americana del 1971 vieta importazione e vendita di haggis. Il commercio del salume negli anni Settanta fu reso illegale dal regolamento federale per la presenza del polmone di pecora (15% nella carne), dando così un grosso dispiacere alle comunità scozzesi che abitano negli Stati Uniti. Le cose potrebbero però cambiare. Secondo il Telegraph, il più grande produttore di haggis sta valutando una formula diversa per poter lanciare l’insaccato overseas. L’idea dell’azienda Macsween sarebbe quella di sostituire il polmone con il cuore di pecora. Una strategia simile ha funzionato in Canada, territorio in cui la distribuzione è ora consentita. Nel paese membro del Commonwealth britannico il divieto è stato aggirato immettendo sul mercato un prodotto contenente come “scarti” solo cuore, fegato e grasso di agnello. La domanda crescente ha portato il colosso a rimodulare le linee di export anche degli altri continenti. Ma sapete cosa ha spinto la Macsween a un tale dispiegamento di risorse? Neanche a dirlo, la prospettiva di nuovi utili annuali; in Usa, la possibilità di guadagnare almeno 2 milioni di sterline in più. Quindi no, quella dell'haggis non è una storia di solo artigianato.