L'estrattore primordiale: archeologia e attualità del brodo, dalle leggende alle ricette d'autore

3 Gen 2025, 16:24 | a cura di
Il brodo è la base della cucina, sin dagli albori della storia umana. Ha affascinato e impegnato filosofi e cuochi. Ma è stato anche “brodo di coltura” di tanti falsi miti che proviamo a sfatare

Le prime forme di cottura adottate dall’uomo in epoca preistorica usavano l’azione diretta del fuoco sui cibi. Per passare dall’abbrustolire la carne sulle braci a metodi più evoluti sono passate centinaia di migliaia di anni. Lo stadio successivo è stato quello della cottura mediata da un’altra sostanza, tipicamente un liquido nel caso della bollitura o un grasso nel caso della frittura. Naturalmente serviva un livello di tecnologia superiore, ovvero la possibilità di cuocere all’interno di contenitori che reggessero il contatto con il fuoco e che al tempo stesso ne trasmettessero il calore. La ceramica, il primo materiale usato a questo scopo, si diffuse durante il neolitico presso popolazioni stanziali: i contenitori in questo materiale erano infatti troppo pesanti e fragili per essere usati da gruppi che vivevano di caccia e raccolta e quindi nomadi o esmi-nomadi.

Come si faceva il brodo quando le pentole non esistevano

L’assenza di contenitori non esclude però la possibilità che si potessero lessare gli alimenti in altri modi. Esiste infatti un metodo, verificato tramite l’archeologia sperimentale, per fare bollire l’acqua anche senza avere i recipienti adatti, ma usando delle pietre roventi. Se si scava una buca nel terreno, si impermeabilizza con pelli, vesciche animali o altri materiali, è possibile fare bollire dell’acqua al suo interno inserendovi sassi precedentemente arroventati nel fuoco. Sostituendo i sassi man mano che si raffreddano con altri appena estratti dalle braci, si riesce a mantenere in ebollizione l’acqua piuttosto a lungo in modo da cuocere carni e vegetali.
La lessatura, a differenza della cottura diretta, ha il pregio di non disperdere i nutrienti – che vengono disciolti nell’acqua – e permette di cuocere a lungo i cibi a una temperatura meno elevata, rendendo disponibili anche le parti più fibrose o cartilaginee dei cibi. Si ottengono così due prodotti distinti: da una parte alimenti abbastanza teneri e facilmente assimilabili, dall’altra un liquido aromatico in cui sono disciolte diverse sostanze nutritive. Con il passare dei secoli questo “sottoprodotto” acquisterà un valore sempre maggiore in cucina, mentre cuochi, medici e chimici dibatteranno a lungo sulle sue proprietà.

Il brodo "antico", tra alchimia e medicina

Per la sua capacità di estrarre le fragranze dagli alimenti, in particolare dalla carne, il brodo è sempre stato un ingrediente molto utilizzato nelle cucine di tutto il mondo. Nel Medioevo italiano sono abbastanza rare le ricette in cui viene descritto il metodo per realizzarlo, ma una in particolare ha conosciuto grande fortuna: quella del “consumato”, ovvero l’antenato del più noto consommé francese.
Maestro Martino, il cuoco più famoso del Quattrocento, ne inserisce una descrizione nel suo ricettario e, come si intuisce dal nome stesso, il procedimento consiste nel cuocere la carne in acqua insieme a diverse erbe aromatiche e spezie (salvia, alloro, pepe, cannella e chiodi di garofano), facendola bollire sei o sette ore, fino a che il brodo non si sia ridotto alla quantità che serve per appena due scodelle. Un concentrato consigliato già all’epoca per gli ammalati.
La funzione medicinale dei brodi viene sottolineata nel secolo successivo anche da Bartolomeo Scappi, il celebre cuoco rinascimentale al servizio dei papi, che fa un passo oltre. Impadronendosi delle tecniche usate per la distillazione e sotto l’occhio vigile di un medico, estrae un prezioso brodo usando l’alambicco. Gli ingredienti sono delle sottili bistecche di petto di cappone inframezzate da altrettante fettine di limone prive della scorza con aggiunta di spezie e polvere d’oro. Una vera e propria operazione alchemica mirata a ottenere “un consumato [il quale] affermano i Phisici essere di gran sustanza”. Questo prezioso distillato fu realizzato da Scappi “nel 1564, l’ultimo di aprile per l’Illustrissimo, et Reverendissimo Cardinal di Carpi Ridolfo Pio”.

L’evoluzione francese e il valore gastronomico del brodo

Con l’ascesa della cucina francese, a partire dal secondo Seicento i brodi acquistano un valore gastronomico sempre più elevato. La rivoluzione in cucina iniziata Oltralpe elimina le spezie dalla dispensa, puntando invece sulle concentrazioni progressive di aromi di carne e vegetali.
Il classico brodo che facciamo ancora oggi veniva chiamato “brodo generale” e rappresentava solo la base per preparazioni molto più complesse, volte a ottenere un liquido sempre più carico di aromi a ogni stadio successivo. Partendo dal brodo generale si passa al consommé inserendo nuovamente carne fresca e ortaggi e rimettendolo sul fuoco: un vero e proprio doppio brodo. Diversi tipi di carne e procedimenti danno poi vita ad altre tipologie come il suage o il biondo di mongana, mentre se gli ingredienti vengono prima rosolati nel burro si ottengono i sughi di carne. Questi ultimi possono essere ulteriormente aromatizzati (con prosciutto e tartufo, per esempio) e addensati con il roux di burro e farina per dare vita ai coulis. Le varianti si contano a decine: un universo di sapori e profumi che rappresentano la spina dorsale della cucina francese più classica.

Brodo di capra, dragoncello e lampone di Niko Romito al Reale

Osmazoma, la quintessenza della carne

A cavallo tra XVIII e XIX secolo il brodo e i suoi derivati toccano uno dei massimi vertici di apprezzamento. Il pensiero comune era che tutti i nutrienti più nobili potessero trasferirsi dalla carne all’acqua durante una lunga lessatura. Una volta concentrato, il brodo rappresentava la quintessenza del nutrimento, mentre la carne e vegetali con cui era realizzato diventavano sottoprodotti di scarso valore.
La chimica organica stava muovendo i primi passi e una delle sfide fu quella di isolare i composti nutritivi del brodo. Nel 1806 il chimico Louis Jacques Thénard estrae una sostanza battezzata “osmazoma” (dal greco “profumo di brodo”) tramite una procedura di immersione a freddo della carne in acqua e successivo filtraggio. Non si trattava di un vero composto chimico, ma dell’unione di tutti i componenti della carne solubili in acqua. Scaldando la sostanza, le proteine e gli zuccheri innescavano la reazione di Maillard con i classici aromi di carne arrosto. Per le conoscenze dell’epoca, Thénard era riuscito a scovare una molecola in cui era racchiusa tutta la vera essenza della carne.
La scoperta fu salutata come un grande passo avanti per la chimica organica e per oltre un secolo, cuochi, gastronomi nonché chimici continueranno a parlare di osmazoma, attribuendogli proprietà nutritive straordinarie. L’entusiasmo si spegnerà solo con il progresso della disciplina che porterà a rivelare le vere e proprie molecole responsabili delle proprietà del brodo, come il glutammato, isolato dal giapponese Kikunae Ikeda nel 1909.

Liebig, Artusi e il primato della carne

Per tutto l’Ottocento la carne fu reputata l’alimento più importante per la dieta umana. Gli effetti erano sotto gli occhi di tutti: gli inglesi e gli americani stavano conquistando il mondo anche grazie alla loro dieta, mentre i popoli sottomessi mangiavano poca carne. L’alimentazione non forniva solo le energie necessarie, ma forgiava il carattere e le inclinazioni, per cui sembrava evidente che un esercito alimentato con molta carne potesse essere più efficiente.
Siccome i principi nutritivi si potevano trasmettere all’acqua durante la lessatura, a qualcuno venne in mente di concentrarli al massimo grado in una sostanza facile da conservare, trasportare e somministrare. Il primo fu Justus von Liebig, il celebre chimico tedesco inventore dell’estratto di carne. Mentre oggi si usa esclusivamente per le sue qualità aromatiche, nella prima metà dell’Ottocento molti credevano fosse un vero e proprio superfood. D’altronde le proteine erano state appena scoperte e queste ricerche rappresentavano la frontiera della chimica degli alimenti.

Cottura della carne da acqua fredda: una leggenda

Nel suo Researches on the Chemistry of Food del 1847, Liebig è il primo a sostenere l’esigenza di cuocere la carne partendo da acqua fredda per un buon brodo: “L’introduzione del pezzo di carne cruda in acqua già bollente è il miglior processo per la cottura della carne, ma il più sfavorevole per la qualità del brodo. Se, al contrario, il pezzo di carne cruda viene posto in acqua fredda e questa viene portata molto gradualmente al punto di ebollizione, si verifica, fin dal primo momento, uno scambio tra i succhi della carne e l’acqua esterna”.
Grazie all’enorme fama di Liebig, questo metodo venne insegnato in tutte le scuole di cucina ed entrò nel sapere popolare, diventando una legge indiscutibile.
Peccato non avesse alcun senso dal punto di vista scientifico.
In Italia, il metodo si diffuse anche grazie a Pellegrino Artusi che ne confermò la validità nel suo La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene del 1891: “Lo sa il popolo e il comune che per ottenere il brodo buono bisogna mettere la carne ad acqua diaccia e far bollire la pentola adagino adagino e che non trabocchi mai. Se poi, invece di un buon brodo preferiste un buon lesso, allora mettete la carne ad acqua bollente senza tanti riguardi”.

Sigillatura e altre sciocchezze

L’idea di Liebig era che la carne introdotta in acqua bollente creasse una barriera impenetrabile: “L’albume coagula immediatamente dalla superficie verso l’interno e in questo stato forma una crosta o guscio che non permette più all’acqua esterna di penetrare all’interno della massa di carne”.
Naturalmente non succede nulla di tutto questo, e la chimica moderna ha permesso di sfatare questo tipo di credenze. Sottoposto a lunga lessatura, un pezzo di carne rilascia una parte di proteine, grassi, collagene e altri composti esattamente nella stessa maniera, sia partendo da acqua fredda che acqua calda. Prima di Liebig nessun cuoco si era mai posto il problema: tutta la carne si lessava partendo da acqua fredda e l’unico accorgimento, se si voleva un buon lesso, era di togliere il pezzo di carne quando raggiungeva il grado di cottura ideale, senza lasciarlo bollire per ore come invece si fa per ottenere un brodo sostanzioso. Insomma, conta il tempo di lessatura, non la temperatura iniziale.
Questa idea della coagulazione la ritroviamo in un’altra bufala assolutamente pervicace, ovvero la sigillatura della carne quando si cuoce alla griglia o in padella. Spesso si sente dire che una bistecca deve essere sottoposta a un violento calore per “sigillare” o “cauterizzare” i pori della carne in modo che non perda liquidi e rimanga succosa all’interno. Se la bistecca viene migliore in questo modo è perché si sviluppano i composti aromatici dovuti alla reazione di Maillard, mentre l’interno non raggiunge alte temperature permettendo così all’acqua di non essere “strizzata” fuori dai tessuti muscolari che si contraggono durante la cottura. Ma la sigillatura non c’entra nulla e men che meno i pori delle bistecche (che non esistono).

Ghiaccio e fumetto per una migliore estrazione

A questa credenza se ne collega un’altra, molto diffusa ancora oggi nelle grandi cucine. Quando si fa un fumetto di pesce, ovvero un’estrazione degli aromi dai carapaci dei crostacei e da altre parti non edibili del pesce, una volta che sono perfettamente tostati si butta in pentola una buona quantità di ghiaccio tritato per fornire uno “shock termico”. L’abbassamento improvviso della temperatura dovrebbe favorire l’estrazione di tutti gli aromi, ma non è affatto chiaro il principio di funzionamento e nemmeno se sia realmente utile fare questa operazione, dato che non c’è nessuna sostanza realmente più solubile a basse temperature.
Spesso il ghiaccio viene utilizzato subito dopo la lessatura delle verdure per abbassare velocemente la temperatura, preservando croccantezza e colore, ma nel caso del fumetto la temperatura è destinata a rialzarsi fino all’ebollizione per diverso tempo, pertanto l’iniziale shock termico non avrebbe alcun effetto. Non solo non esistono prove scientifiche sull’utilità dello shock termico, ma non risultano nemmeno prove empiriche a sostegno di questo procedimento che ha tutta l’aria di una delle tante pratiche utilizzate in cucina senza un reale effetto.

Brodo & Brodi: alle spalle un grande futuro 

Per secoli il brodo ha rappresentato la base più importante per la cucina, grazie alla sua capacità di concentrare e miscelare i sapori. Oltre a questo, si faceva affidamento sul suo potere nutrizionale: una concezione che si è sgretolata con l’avvento della moderna scienza degli alimenti.
Un tempo la pentola di brodo in ebollizione era una presenza costante nelle case, mentre oggi è sempre meno presente; ma continuano le sperimentazioni per trovare nuove soluzioni, soprattutto nelle cucine dei grandi chef. Abbiamo ad esempio il brodo fatto con la moka di Massimo Viglietti (nella foto qui sopra), chef ligure da tempo stabilmente a Roma, oppure le estrazioni vegetali di Salvatore Tassa (e non solo sue) che rompono gli schemi raggiungendo nuovi traguardi nella scienza culinaria. Esistono decine di chef che si confrontano quotidianamente con il brodo per ottenere nuovi risultati: da Niko Romito con il suo “Assoluto di cipolle” al brodo di cicale di mare di Andrea Berton, fino alle cucine fusion ispirate ai corposi ramen.
Se l’uso casalingo si è ridotto e si sono smorzati gli entusiasmi dei nutrizionisti ottocenteschi, il brodo continua a rappresentare una sfida anche nella cucina moderna.

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