Insalata di verdure grigliate e pane alle olive Citrale cunzate bruscato. Canocchie crude, pesche sciroppate e bisque di canocchie. “Se resiste 5 anni con questa cucina c'è la può fare... Calcolando che sono già 2 anni e mezzo, è sulla buona strada!”. È Peppe Barone, cuoco e maestro di tanti cuochi siciliani, a lanciare il giudizio tranchant sulla cucina della sua giovane figlia, Francesca, appena venticinquenne e ormai da sola alla guida della storca Fattoria delle Torri di Modica, faro nel sud-est dell’isola per la cucina siciliana d’autore e ben prima dei vari (e grandi) Sultano, Cuttaia o Craparo (solo per citare i “nuovi” ai fornelli nell’area geograficamente limitrofa).
E se le foto – in generale – non dicono mai molto dei piatti a livello del gusto, le immagini dei piatti di Francesca Barone dicono invece molto della sua cucina: la prima caratteristica che salta all’occhio è l’assenza di vivacità cromatica che da tempo ormai è una sorta di assillo per tutti i cuochi “fighetti” (ma non solo) del mondo (almeno quello occidentale).
La soprendente cucina di Francesca Barone
Abbiamo provato in una giornata torrida – e pressoché all’impronta, perché improvvisata senza alcun preavviso – la cucina di una giovanissima cuoca siciliana. E la sua capacità di muoversi tra sapori e consistenze con assoluta nonchalance ci ha colpiti davvero. Innanzitutto, ha avuto quasi un effetto straniante la semplicità con cui Francesca presenta i suoi piatti. Sembra di stare a casa, in famiglia; ma al tempo stesso sapori e aromi si impongono come non riescono quasi mai a fare al tavolo di casa: da una parte c’è la scarna semplicità delle verdure passate ai ferri, dall’altra ci sono i guizzi di consistenza e di profumo con la complicità del pane alle olive di una cultivar pressoché introvabile come la antica Citrale in salamoia condita con finocchietto selvatico.
E con la capacità di mantenere succhi e sapori. Un piatto ascetico e al tempo stesso ricchissimo in cui tutto è dato dalla qualità della verdura (peperoni, zucchine, cipolla, fagiolini e prezzemolo con un po' di olio e aceto) e dall’aromaticità di un a-side come la fetta di pane alle olive. Sembra un piatto uscito dal libro di gastrosofia dello “stravagante” (per l’epoca: siamo al 1930) conte Enrico Alliata di Salaparuta che raccontava di una cucina siciliana “tipica” ma dal punto di vista dei contadini, del popolo, e non da quello dei monsù e della classe agiata: fatta di erbe e radici e poco altro. “Di quel libro me ne ha parlato qualche volta mio padre – sorride Francesca – ne ho trovato una edizione in biblioteca e uno sguardo gliel’ho dato, ma non l’ho letto davvero. Dovrei approfondire”, si schermisce Francesca. Intanto, quella verdura grigliata si fa strada nella testa dei commensali fino a lasciare di sé l’immagine di una sorta di “caponatina” arcaica, ante litteram, senza il folklore della caponata!
Una Sicilia inedita fuori da ogni schema
La semplicità di questo suo piatto di ingresso introduce al prossimo che si fonda su un pesce-non-pesce poverissimo per definizione come la canocchia e sul suo connubio con uno dei frutti di stagione per antonomasia, la pesca. Non aspettatevi però emozioni in stile Caraibi, pesce e frutta: sempre colori molto scarni – potremmo dire: tinte naturali, ormai quasi introvabili! – ma sapori incredibilmente nuovi e “siciliani” di una Sicilia dove ti immagini terra e sole e mare “povero” e non il barocco succulento; dove il dolce e il salato si intrecciano ma non in agrodolce (luogo comune ormai della cucina isolana) bensì in un connubio appunto dolce-acido-salato spinto dalle consistenze e dai profumi del pesce crudo condito con il suo fondo cotto e accompagnato da albicocche sciroppate. Non è il solito carpaccio, non è “un crudo” nel senso in cui oggi chiunque lo intenderebbe. È un piatto vero e completo, per quanto semplice. Ci sentiamo un’assonanza con le ricerche di un altro grande sperimentatore-artigiano di queste terre, Corrado Assenza. “Beh, certo, so chi è e lo conosco – spiega la giovane cuoca – Ma non ho mai avuto confronti o scambi con lui. Dovrei incontrarlo, mi piacerebbe…”
Salto di generazione alla Fattoria delle Torri di Modica
Ma quindi – ci chiediamo – dove avrà mai imparato a cucinare questa ragazzina qui? Certo, il padre l’avrà indirizzata, ma poi? Dove ha preso questa maturità e questa nettezza che emanano dai suoi piatti nonostante la tenera età? Da quando è adolescente, Francesca frequenta la cucina del padre a Modica. Però ha fatto il liceo linguistico e solo dopo ha frequentato i corsi di cucina di Pollenzo. Poi, grazie anche al papà, ha fatto una serie di esperienze in cucine importanti: Davide Scabin, Massimiliano Alajmo e Martina Caruso in primis. E al Pocho di Marilù Terrasi a San Vito Lo Capo.
“In realtà, però, devo dire che il senso della mia cucina l’ho preso essenzialmente da mia zia: per me ha sostituito la nonna che è morta una settimana prima che io nascessi – racconta Francesca – La zia è il legame con la famiglia, con mio padre: sento molto il bisogno di un rapporto diretto con queste radici. Qui faccio un menu vintage accanto a quello più creativo: nel primo ci sono le ricette di mia nonna filtrate dal racconto di mio padre e quelle di mia zia che ama preparare cene per gli amici e prende spunti dai classici come Artusi. I colleghi professionisti mi hanno invece dato molto sul fronte della tecnica; mia zia rappresenta il lato emotivo dell’approccio alla cucina. Forse quella con Scabin è stata l’esperienza che mi ha scosso di più: avevo 20 anni ed era la mia prima volta in una vera cucina fine dining; lui era molto stravagante ai miei occhi. Con lui ho cominciato a chiedermi cosa fosse la normalità e cosa invece la stravaganza. Da Alajmo ho appreso invece soprattutto il senso della disciplina, dell’ordine e del rispetto”. E da Marilù Terrasi? “Beh, da lei ho imparato a chiudere i ravioli come dei colurgiones”, sorride Francesca. E con una battuta, da una parte introduce il piatto che sta per arrivare; dall’altra indica nella capacità di sincretismo e di apertura al mondo una delle caratteristiche forse più importanti della cucina isolana.
La maturità di Francesca sorprende e colpisce
È l’insieme di queste esperienze, sicuramente, ad aver costruito una attitudine così spinta verso la maturità in Francesca. Probabilmente merito anche del padre che invece di dirigerla e di guidarla a briglie strette ha fatto come gli orientali: c’è stato ma senza apparire, ha lasciato libertà di azione ma senza abbandonare, è stato presente ma con discrezione. Tanto che ha lasciato appunto Modica oltre due anni fa per andare a Milano e che, pur essendo rientrato in Sicilia, non si occupa del ristorante che è gestito ormai da Francesca e da sua sorella Carla, ventisettenne, responsabile di sala e di cantina. Francesca, quindi, non ha imparato dal padre, ma il padre ha fatto in modo che la figlia respirasse un po’ della sua stessa aria, che vivesse a contatto con la sua stessa congerie culturale.
Carla, l’altra protagonista della sala (e della cantina)
In questo contesto, si inquadra anche la presenza e il lavoro di una persona come Carla, la sorella di Francesca appunto, che rivela anche lei una maturità, un’autonomia e una consapevolezza non proprio ovvie alla sua età. Le chiediamo, infatti di portarci lei, di sua scelta, un vino che la rappresentasse e che avrebbe avuto fatto piacere farci bere lì, in quel momento e con quei piatti. Si presenta con una bollicina “naturale” francese: Savoie Brut Cuvèe Les Perles du Mont Blanc 2017 di Domaine Belluard – cantina savoiarda – e vitigno gringet. Singolare, no?, nel cuore di Modica! E in una situazione in cui chiedevamo proprio di fare esperienza di quella cucina e di quel posto. Eppure, la scelta è stata azzeccatissima: sia nella pulizia del vino che nella sua capacità di reggere i piatti e anche nel parlarci un po’ di Carla che quel vino ce lo ha aperto. Sincero, un po’ nascosto, pulito, asciutto, sempre più profondo man mano che si andava avanti con i piatti e nella gestione della temperatura. Come lei, appunto! Ma continuiamo a parlare della cucina di Francesca…
La sintonia e il dialogo tra cucina e cantina
Arrivano al tavolo i ravioli: scarni, essenziali, monacali… Francesca li chiama colurgiones, come quelli sardi, ma potrebbero essere dei ghioza orientali, dei casoncelli lombardi o una sorta di schlutzkrapfen altoatesini… Sono una pasta ripiena semplice, farcita di crema di peperoni (essiccati e in conserva) e frutta secca. Sono conditi con una salsa di latte di mandorla tostata accompagnata a una salsa di susine grigliate, guarniti con polvere di bucce di peperone e pomodoro. Come sopra: salato e dolce e acido, sapori netti, essenziali, guizzi di aromi, profumi, sapori. Dicevamo: un po’ straniante, come il vino che ci ha proposto Carla, ma al tempo stesso molto in linea con l’esperienza che stavamo facendo di quella cucina e di quel luogo al di fuori di convenzioni e stereotipi e luoghi comuni.
L'altra Sicilia di Alliata di Salaparuta
Essenziale, monacale, spartano anche il tonno rosso – fantastico – che arriva dopo e proviene direttamente dal mare di Messina: leggermente scottato e accompagnato da insalata di cavolo cappuccio con yogurt di capra dell’azienda Albacara. Sopra: cubetti di cachi verdi (colti nel giardino del ristorante) conservati sotto sale e di cachi gialli conservati sotto aceto, il tutto guarnito con origano cubano coltivato nel giardino dove è stato appena colto. Un’erba particolare che profuma di origano e lavanda con sfumature di coriandolo. Torna ancora quell’intreccio di esperienze e culture che è la Sicilia e che comunque sfugge a definizioni e stereotipi. Ma che al tempo stesso, come quel libro di Enrico Alliata, è profondamente Sicilia pur non seguendo nessuno dei sentieri main stream che poi hanno costruito il colore e l’immaginario della Sicilia in una cartolina cui tutti ormai siamo abituati. Anzi, assuefatti. Ecco, una cucina di disintossicazione mentale potremmo definire questa di Francesca. Che, soprattutto per una giovane chef di 25 anni (e di questi tempi) non è certo poco.
Le ricette di Francesca Barone
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Il carciofo, ricco di ferro, si presta a numerose preparazioni. Ecco come lo ha declinato la chef
Lampuga, melograno e castagne
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I Gyoza sono dei ravioli tipici della cucina orientale e molto amati anche in occidente, sempre sfiziosi e perfetti sia a pranzo che a cena.
Maritozzo, latte, panna e cioccolato
Per iniziare bene la giornata con una golosissima prima colazione o concedersi una "dolce" pausa per la merenda.