“Ma che ci si fa con una così? L’amore? Ma a quella le viene in mente che dopo le vengono le occhiaie”. Questa la dichiarazione incriminata di Paolo Crepet contro le donne vegane, un concentrato di sessismo e specismo (che, lo ricordiamo, vanno a braccetto) che gli ha garantito una shitstorm mediatica non da poco. “Ho sbagliato” ha dichiarato dopo pochi giorni a Rai Radio1 a "Un Giorno da Pecora", la sua è stata “una frase infelice sull’infelicità”. Magari fosse così semplice, come la mette lo psichiatra, che aggiunge: “Se non sono stato capito evidentemente non sono stato capace di esprimermi chiaramente. Chiedo scusa, ho assolutamente sbagliato, e chiedo scusa a tutti coloro che si sono sentiti offesi”.
Crepet e il miglio, "non proprio l'immagine della passione"
Per farsi perdonare, il sociologo mangia anche in diretta il miglio, l’alimento preso di mira durante lo slancio maschilista pubblicato sul canale YouTube “Love for Life” e ripreso da Selvaggia Lucarelli lo scorso 3 ottobre. Cibo "bullizzato" insieme alle donne vegane, in particolare le più giovani, “questi sfigati di ventenni” aveva detto il cultore della pop-filosofia. E ha spiegato perché avesse preso a esempio questo ingrediente, “non è proprio l’immagine della passione”. Il simbolo della sessualità? “Una fantastica spaghettata”. Come spesso accade, i tentativi di giustificazione risultano più maldestri dello scivolone. A cominciare dalla definizione che lui stesso ha dato alla dichiarazione, “una frase infelice sull’infelicità”. Ma di quale infelicità parla? Delle vegane, di chi non mangia carne e non sa cosa significhi passione? E poi il cibo anti-sesso. Un plateau di ostriche con un calice di Champagne probabilmente rappresenta meglio la sfera della sensualità (perlomeno, nei migliori cliché) ma forse lo psichiatra non conosce le leggende che ruotano attorno al miglio, nell’antichità considerato cibo prediletto dalle donne in gravidanza, alimento protettore della fertilità. Dicerie, certo, ma che - per rimanere sul piano concettuale caro a Crepet - di certo non pongono l'ingrediente nella sfera anti-sesso.
Gli uomini mangiano la carne e altri stereotipi di genere
Il punto, però, è un altro. Delle dichiarazioni di Crepet si potrebbe continuare a parlare a lungo. Partendo dallo stereotipo della virilità maschile, in forte contrapposizione con il concetto di dieta vegana: lo ha dichiarato da poco anche uno studio dell’Università di Würzburg, in Germania, che ha dimostrato che l’alimentazione è una questione di genere, e infatti gli uomini sono meno inclini ad abbandonare la carne per non essere considerati meno mascolini. Che cibo e sesso siano due mondi che si parlano e si toccano non è una novità, lo conferma anche l’ultima moda delle pasticcerie erotiche. Le leggende sugli alimenti afrodisiaci (che non esistono) circolano da decenni, ma andare a rafforzare il luogo comune dell’“uomo vero” che griglia bistecche sulla brace scolandosi un boccale di birra (e che non piange, non mostra sentimenti e guadagna mediamente di più – quest’ultima, purtroppo, è pura realtà) è quanto di meno auspicabile ci sia. La dieta vegana parte da un presupposto etico, semplice eppure ancora così incompreso: rispetto verso gli animali e rifiuto dello sfruttamento di chi è più debole. E il senso di giustizia, almeno quello, non ha genere.
Il cibo vegano non è "particolare"
La verità è che il tempo dei cosiddetti "nazi-vegani" è finito. E che nessun movimento che si batta per tutelare una categoria marginalizzata - sia esso il femminismo, l'anti-specismo o qualsiasi altro -ismo - può essere definito "esagerato", perché di "esagerazione" nella rivendicazione dei diritti non ce n'è traccia. E forse, oggi più che mai, ci si trova spesso di fronte alla situazione opposta, chi mangia carne che prende di mira chi non lo fa (meme e battute di ogni tipo dilagano tra le pagine social dedicate all'alimentazione vegetale). Nonostante le (legittime) critiche ricevute, infatti, Paolo Crepet ha anche dei sostenitori. Tra la valanga di commenti a corredo del primo articolo ce ne sono moltissimi a favore. Citiamo il più emblematico: “Diciamo che per accettare certe particolarità bisogna essere molto ma molto innamorati. E che, se lo sapessi prima, non so se mi innamorerei”. Partiamo dal principio: pietanze vegane non possono, ancora oggi, essere considerate “particolari”. Se seitan, tofu, tempeh e altri alimenti dai nomi inconsueti fanno ancora paura, piatti come gli spaghetti al pomodoro, la caponata, la farinata, la pizza Marinara e la ribollita sono tutt’altro che bizzarri. Non sarà che l’attenzione che negli ultimi anni la cucina ha assunto a livello mediatico (e non solo) ha fatto dimenticare il fulcro della tavola? Convivialità significa condividere i pasti, vero, ma non necessariamente i gusti. La passione per il cibo – lo sappiamo bene – influenza più aspetti della vita privata, ma davvero una scelta alimentare diversa può compromettere una relazione? Basta abbandonare i prodotti animali – che, ormai lo sappiamo, è un’azione consigliabile e consigliata da scienziati e nutrizionisti – per risultare meno attraenti?
Eppure, l’album (con l’omonima canzone) di successo dell’85 degli Smiths si chiamava “Meat is murder” (la carne è omicidio), non “meat is sexy”. “Ci stiamo abituando alla vita vegana, moriremo eleganti”. Aveva concluso Crepet nel video incriminato. Forse eleganti no, ma le occhiaie, a furia di leggere questa sequenza di cliché, verranno davvero.