Con pochi soldi e tanta volontà trasformano un vecchio negozio in una grande pizzeria. La storia di una famiglia coraggiosa

14 Mar 2025, 17:58 | a cura di
La storia della pizzeria 'O Scugnizzo ad Arezzo coincide con l'evoluzione della pizza napoletana iniziata oltre un ventennio fa

Via De’ Redi è una stradina del centro storico di Arezzo, a due passi dalla passeggiata modaiola di Corso Italia, a pochi minuti dalla suggestiva Piazza Grande che, con le sue sovrapposizioni architettoniche e i portici medievali, offre il degno proscenio per la frequentatissima Fiera Antiquaria.  La viuzza, seppure gremita di insegne che propongono ogni tipologia di cucina, non è stata conquistata dai grandi brand: troppo piccoli i locali. L’offerta “No logo” è  originale e contemporanea, lontana dalle atmosfere autentiche ma molto vicina al disegno cosmopolita dei centri storici delle  città europee più trendy. La suggestione ci porta allo stile dei bistrot parigini o alle birrerie storiche di Praga.

Di certo via De’ Redi non ricorda Spaccanapoli eppure, proprio qui a circa cinquecento chilometri di distanza c’è la pizzeria n. 538  dell’Associazione verace pizza napoletana – Forno a gas -. Nulla all’ingresso evoca le origini. Non uno scudetto azzurro, un logo, un corniciello scaramantico: niente di niente se non fosse per l’essenziale vetrofania in rosso che  annuncia l'ingresso de ‘O scugnizzo. I toni e i materiali del locale in stile industriale giocano con il rosso e i grigi alleggeriti dal tocco vintage delle belle cementine del pavimento e dal legno della libreria-cantina a vista. Alle pareti foto del patron Pierluigi Police insieme al figlio Gennaro, che segue le sue orme mentre, la parete accanto al forno a vista,  fa da Wall of fame dove sono esposti i (tanti) riconoscimenti ricevuti, la targa AVPN e gli attestati Tre Spicchi della Guida Pizzerie d'Italia Gambero Rosso che l’attività colleziona dal 2017.

La famiglia Police. Da sx Maria, Gennaro, Laura, Pierluigi e Simona

A febbraio   ‘O scugnizzo ha compiuto 25 anni. Un anniversario simbolico che racconta una bella storia di spirito imprenditoriale, sacrifici e integrazione alimentata dall’amore della famiglia. Oggi, dopo alcuni giorni di riposo,  il pizzaiolo si racconta.

Perché proprio Arezzo?

Alla domanda Pierluigi risponde con enfasi ed emozione. E’ un torrente straripante di storie e parole commosse scandite al ritmo della sua vita: un susseguirsi di casualità e opportunità rincorse per rispondere all’esigenza di dover lasciare Mondragone, la cittadina in provincia di Caserta dove Pierluigi è nato e dove aiutava il padre nel negozio di abbigliamento. Ma il commercio era in crisi e arrivò il momento di seguire il suggerimento di un amico che gli segnalò un negozio di mozzarelle di bufala che si cedeva ad Arezzo. Pierluigi e Maria, attuale moglie, partono nel 1995 all’avventura come moderni emigranti, senza valigie di cartone ma con un bagaglio di entusiasmo e solide speranze. Le cose nella realtà però non erano così entusiasmanti. Il negozio “era un vecchio locale arrangiato che puzzava di formaggio e sciatteria” – ricorda l’imprenditore -. Ma proprio da quell’aspettativa deludente parte la loro storia.

I fatti andarono così

Maria fu colta da una crisi di sconforto poi si rimboccò le maniche e aiutò, l’allora fidanzato, a sistemare e riavviare il vecchio negozio di latticini ad Arezzo. Il commercio andava maluccio: vendere le mozzarelle ai toscani, amanti dei formaggi stagionati, era un’impresa impossibile. La coppia per sopravvivere doveva lavorare per terzi. Un giorno Maria che intanto faceva la postina, dice a Pierluigi: «Perché non fai il pizzaiolo?». Il fidanzato interdetto risponde: «Ma che dici? Mica è un mestiere che si può improvvisare!». La  donna testarda ma propositiva rilancia: «Ho un cugino a Pescopagano (Caserta) che ha la pizzeria, potresti imparare da lui. Certo che non è proprio il massimo… il locale  è un capannone che apre solo d’estate e vende soprattutto polli allo spiedo ma almeno impareresti le basi».

Così i due decidono di prendersi una settimana di ferie per andare al Sud dallo zio dove Pierluigi avrebbe imparato a fare la pizza. Dopo sette giorni, rientrano ad Arezzo. Il neo-pizzaiolo era distrutto dalla mole di lavoro che lo zio gli aveva affidato ma felice perché aveva una ricetta e un compito: allenarsi con le palline di impasto per familiarizzare con il disco di pasta. Sempre lei, Maria che intanto faceva la stiratrice, gli procurò un lavoro da pizzaiolo durante una sagra dove il fidanzato poteva fare pratica.

Arriva il primo vero incarico da pizzaiolo ma il proprietario del locale non ama la pizza napoletana e il lavoro salta. Pierluigi non si perde d’animo e con il sostegno della banca apre Masaniello, pizzeria e ristorante di pesce. Ogni settimana il neoimprenditore parte per  Mondragone per procurarsi le materie prime. In sala c’è Maria con la sorella, in cucina la madre. Finalmente l’attività ha successo ma la squadra familiare di “ristoratori per caso”, non riesce ad affrontare la mole di lavoro.

Nel ‘99 Pierluigi apre Rugantino con un socio, sempre con  la madre-cuoca che, essendo romana, è più ferrata in questo tipo di cucina.  La società vacilla subito, il socio non collabora. La  decisione è di vendere Masaniello per affrontare i debiti degli investimenti fatti. Nel 2000 Rugantino si trasforma nella pizzeria ‘O scugnizzo. L’attività oggi è gestita in famiglia con Pierluigi e il figlio ventiquattrenne Gennaro al forno, la moglie Maria prepara i dolci napoletani e aiuta in sala insieme alla cognata Simona, sommelier. Talvolta, quando il personale scarseggia subentra il jolly: Laura, la figlia quindicenne della coppia.

La sala interna

In principio era napoletana

Negli ultimi vent’anni la pizza napoletana si è evoluta e diffusa come poche altre specialità locali affermandosi nel mondo allo stesso livello della migliore proposta culinaria. Poi è andata oltre aprendo la strada ad altri stili e interpretazioni, superando il concetto di cibo povero e ristorazione di serie B. Eppure,  bisogna sempre considerare i gusti gastronomici dettati dalle tradizioni locali. Una canzone recita “come si cambia per non morire” ed è quello che è accaduto   alla pizzeria  napoletana n. 538. Pierluigi studia i gusti locali, seleziona le materie prime dell’eccellenza toscana per proporle attraverso un contenitore di pasta morbida ma non troppo con quel leggero crunch che solletica il ricordo dell’irrinunciabile crostino. Dimentichiamo il disco floscio, quella dei Police, padre e figlio, è un disco di pasta contenuto dallo stile contemporaneo con un cornicione pronunciato senza sproporzioni. Il morso è fragrante  e resistente, l’impasto risulta ben idratato, con il profumo del grano che  rilascia la farina di tipo 1 spinta al massimo dalla lievitazione indiretta che arriva fino a 36 ore.  E sul disco glocal di Pierluigi danzano gli ingredienti più golosi di Campania e Toscana: la mozzarella di bufala esalta i salumi locali, il tartufo, l’olio evo e le carni da allevamento allo stato brado della Macelleria Fracassi a cui sono dedicate tre piccole chicche golose: le nuvolette “Fracasse”. Tris di montanarine fritte ricoperte con tre interpretazioni di ChianinaNero, Ragù  e Spezzatino.

A sostenere la propensione strong del menu, la carta suggerisce un’intrigante selezione di birre in bottiglia e alla spina affiancate da una scelta di vini ragionata e non banale che Simona abbina con garbo e professionalità. Pochi ma eccellenti i classici dolci napoletani prodotti da Maria completata da una proposta al cucchiaio di aziende selezionate.

La pizza fritta

Il menu, tra grandi classici e novità, è ricco e invitante, sintesi di creatività e selezione accurata delle materie prime. Simbolo della ricerca è la pizza dedicata all’Alleanza Slow Food che contiene, oltre alla Provola Affumicata di bufala, tre presidi: Salsiccia Rossa di Castelpoto piccante, Papaccella napoletana, e Conciato romano. Una citazione extra va al ripieno fritto napoletano con ricotta e provola affumicata di bufala, salame di grigio del Casentino, ciccioli di maiale, pepe, pomodoro San Marzano. Una bomba  di gusto esaltata da un guscio resistente e leggero come una tempura che invade il palato  con la ridondanza del ripieno fuso. Come a Napoli. Meglio di Napoli. Solo Proust con la sua madeleine può comprendere. E i napoletani veraci. Ma torniamo in Toscana.

La Marfisa

Per amore di Arezzo

Ormai Pierluigi, dopo quarant’anni in Toscana, è di fatto più aretino che napoletano e al feeling con l’elegante cittadina,  ha voluto dedicare la Marfisa, una fusione golosa tra le due città ispirata all’eroina incompresa dell’omonimo poema cavalleresco di Pietro Aretino pubblicato nel 1535. Già Matteo Maria Boiardo nell'Orlando innamorato e Ludovico Ariosto nell'Orlando furioso parlano di questa donna, sorella gemella di Ruggiero, allevata con lui dal mago Atlante. Da bambina venne rapita dagli arabi diventando una donna guerriera, determinata  a sterminare i peggiori nemici.  Si scontrerà con tanti cavalieri fino al duello con il fratello Ruggiero, ignari entrambi della loro identità fraterna. Il mago Atlante, infatti, rivelerà loro le origini solo in seguito e Marfisa, a suon di spada, più volte soccorrerà il gemello. Se nell'opera Di Pietro Aretino l'amazzone resta un po’ nell'ombra,  la pizza a lei dedicata, elogia la sua anima eroica e contemporanea. Cavolo nero, mozzarella di bufala Dop, lardo di grigio del casentino della Macelleria Fracassi, crema di aglio dolce, olio evo Moraiolo de “Le Ghiaie”: questi gli ingredienti del banchetto per festeggiare il solido matrimonio tra la famiglia Police e la città di Arezzo.

‘O Scugnizzo pizzeria | Via de' Redi, 9/11 - Arezzo | Tel. 0575 33 33 00

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