Salvini è il peggior food influencer del made in Italy. Cosa insegna il caso Rummo

29 Gen 2024, 16:44 | a cura di
Dopo il caso Rummo, il ministro Salvini perde mordente sui social con i suoi post legati al cibo e alla sua italianità. Ma come nasce il suo viscerale rapporto con il mangiare? E perché è così trash?

È stata la sua cifra politica da sempre: attenzione alla pancia. E cosa è più pancia del cibo? Matteo Salvini lo sa bene. E da sempre usa il cibo come elemento di avvicinamento verso i suoi fan e follower sui social, ma anche in diretta nelle manifestazioni cui partecipa. Il Capitano sa bene che col cibo si acchiappa. E sa bene che il cibo catalizza, attira passione e al tempo stesso crea avversari. Divide e costringe a schierarsi: il food è la benzina dell’umanità, il carburante, la base della nostra esistenza e dunque della nostra quotidianità. Ed è così che oggi si sta specializzando come il peggior food influencer sul mercato dei social.

Il cibo come randello e come carezza

Da anni Salvini utilizza il cibo come medium politico: posta una foto di pizza trash, una immagine non curata, “sporca e unta”, ricca di grassi e molto poco glamour, la pizza che incontriamo noi semplici cittadini ai tavoli delle pizzerie e non quella che esce sulle pagine di riviste e siti.
Salvini usa il cibo in modo viscerale. La sua campagna contro la carne coltivata e i novel food, da una parte tocca l’immaginario di un italiano medio che prova disagio di fronte all’idea di mangiare i grilli ridotti a farina o una polpetta fatta dal prodotto di una crescita cellulare in provetta. E dall’altra tocca anche la pancia di una rete agricola che non è sempre o in tutto pronta a scegliere la difficile strada della sperimentazione e delle nuove tecnologie, del futuro, ma che si preoccupa del presente, del suo limitato orizzonte oltre il quale preferisce non immaginare per non “sprecare” energie.

È un refrain nella storia dell’umanità: ci sono i visionari, quelli che immaginano come e cosa sarà e che cercano le novità e ci sono i conservatori, quelli che puntano a conservare lo status quo osteggiando ogni cambiamento che lo modifichi. Questa è anche un a contraddizione che attraversa il mondo agricolo e della produzione agroalimentare. Ci sono i grandi innovatori, i ricercatori (da Leonardo a Cavour, fino alle startup nel campo dell’agricoltura di precisione passando per nomi come Nazzareno Strampelli e il senator pugliese Raffaele Cappelli) e c’è il popolo di chi la terra la lavora che spesso fatica a cogliere il senso delle novità tecnologiche.

Il "caso Rummo" e il boicottaggio della pasta italiana

Il rapporto di Salvini col cibo coglie in pieno questa contraddizione: è il mezzo per toccare la pancia di chi fatica ogni giorno. Si perde per strada gli innovatori? E chissenefrega, tanto sono molti meno. E poi una scelta va fatta. Il piatto sciatto, senza trucchi, fotografato con la luce della cucina di casa è quello su cui punta Salvini. E ovviamente fa infuriare chi ci vede “solo” un piatto. La cosa in genere funziona bene per il leghista. Ma da qualche tempo l’aria ha cominciato a cambiare. Ne è un segnale l’ultimo video sulla visita al pastificio Rummo dove Salvini ha stigmatizzato le farine di insetti esaltando invece la grande pasta made in Italy. Beh, in molti non hanno digerito l’uso di un marchio come Rummo per la passerella mediatica del ministro e sui social è salita un’onda di protesta, una campagna di boicottaggio dei prodotti con quel marchio: il che ha messo in difficoltà proprio quell’azienda che nel 2015 aveva invece commosso il Paese a seguito dei disastrosi danni dovuti all’alluvione del Sannio.

Anche la vicenda del video della pesca nello spot di Esselunga ha creato qualche problema al leader leghista che ha voluto marcare la distanza rispetto a quello spot “buonista” e troppo aperto ai cambiamenti sociali usando un contro-video in cui preferisce acquistare castagne piuttosto che pesche. Già perché quello spot ha conquistato anche la premier, Giorgia Meloni, che al suo alleato non ha risparmiato una bordata.

Il punto, però, non è solo l’uso del cibo come medium di propaganda politica. Il cibo è anche un tassello utile a capire chi ne parla: è infatti un elemento molto legato alla sfera emotiva e alla dimensione della soddisfazione e dell’affetto. Chi ne fa uso – come Salvini – per parlare al suo popolo, per far politica, punta a scomunicare i salami vegani e gli hamburger vegetariani per intercettare il consenso di chi prova rabbia di fronte al vortice implacabile del mondo che cambia e si evolve in modo continuo e velocissimo senza lasciare il tempo per capire e condividere. Con il bacio al culatello nella cella di stagionatura, Salvini tocca la pancia di chi cerca terreni semplici e intimi per vivere la quotidianità senza troppe domande, senza cercare spiegazioni complesse. E ne cerca il consenso attraverso il cibo che è quanto di più vicino alla pancia.

Le campagne del grano e le sirene dell'autarchia

Erano tempi diversi e il paragone può sembrare stridente. Ma questa strategia comunicativa di Salvini risuona vagamente delle campagne di Mussolini per il grano, quando il Duce si faceva fotografare a torso nudo durante la trebbiatura. Anche quello era cibo ed era pancia. Era l’aspettativa e l’idea del cibo che ne sarebbe nato, era l’orgoglio italico, era l’occhiolino a un popolo essenzialmente ancora molto agricolo, era l’esaltazione di una bandiera che doveva far digerire una politica di autarchia che avrebbe reso molto più difficile averlo, quel cibo. Dunque, un messaggio che diceva: ti accarezzo la pancia per farti digerire una scelta che sarà contro di te. Esalto il grano italico e lo sventolo come identità e orgoglio di un Paese che sta decidendo di chiudersi al mondo e ai mercati e quel grano dovrà razionarlo, un Paese che di cibo in realtà ne avrà molto meno e a un prezzo molto più caro.

Fondamentalismo gastronomico

Invece di sostenere l’innovazione e spingere i suoi fan a capire il futuro e ad affrontarlo, punta a conquistare consenso sapendo bene che quella chiusura al progresso potrà dargli dei voti, ma sicuramente indebolirà il Paese perché sarà sempre una spanna indietro agli altri competitor sul fronte della scienza e dell’innovazione (e quindi della competitività) e perché priva la stessa agricoltura delle possibilità di diversificazione e razionalizzazione nelle produzioni. Tanto che qualche mese fa, quando l’Ue autorizzò l’uso alimentare delle farine di insetti, furono diverse le associazioni degli agricoltori (esclusa Coldiretti che ha scelto la linea oscurantista a 360 gradi) che espressero posizioni aperte e possibiliste in quanto quella decisione apriva scenari nuovi di business per i loro stessi associati, gli agricoltori. Come dice il professore Alberto Grandi commentando gli ultimi sommovimenti dei paladini della Carbonara filologicamente corretta (che non esiste), questo fondamentalismo gastronomico è segno di una estrema fragilità del nostro Paese. Questo vale anche per la cassouela e per le polente sciatte di Salvini.

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