«Un imprenditore nel mondo della ristorazione deve comprendere che il personale è fondamentale per il successo della propria attività: sono le persone il nostro vero patrimonio, la chiave per il successo. Il personale di una attività è la chiave perché funzioni: e non parlo di chef, anzi ho in mente più la sala!». Parla Roberto Calugi, direttore generale di Fipe, il “sindacato” degli imprenditori dei pubblici esercizi, interpellato dopo che la Camera ha approvato, in prima battuta, la proposta di legge sul salario minimo, nella sua versione rivista dalla maggioranza di Governo: ovvero senza i 9 euro minimi all'ora proposti dalle opposizioni, e con una delega al governo che rinvia la trattazione del tema molto più in avanti. Al direttore Calugi abbiamo chiesto lumi sulla posizione della Federazione.
Dottor Calugi, perché la Fipe non vuole la fissazione di un salario minimo?
Innanzitutto, perché il nostro contratto garantisce un salario superiore al minimo, ed è in assoluto il più rappresentativo. E posso dire che è applicato direi da tutti nostri iscritti. Sicuramente da tutte le grandi aziende. Ma se anche qualcuno volesse aggirarlo, dico anche che se c’è qualcuno che vuole fare sailing sul personale, vuol dire che si è perso qualche cosa…
Voi avete denunciato il dumping e di pirateria contrattuale, ovvero che una trentina di contratti di lavoro sono stati siglati da realtà poco o per nulla rappresentative…
Si, e si tratta di contratti che non tengono conto delle garanzie fissate dal nostro: sia in termini di salari minimi che di altre voci. Sono contratti che rappresentano poche persone. E che però sono applicabili come il nostro e quindi invitano alcuni imprenditori a scegliere condizioni che noi non approviamo e che anzi condanniamo dal punto di vista etico e che sono assai discutibili sul fronte della legalità.
Non sarebbe comunque una tutela, il minimo salariale per legge, prima che si risolva il problema della rappresentatività?
In parte sì, lo sarebbe. Ma avrebbero controindicazioni che riteniamo molto gravi: non si può ridurre tutto il tema contrattazione al salario minimo. Noi riteniamo che formazione e riposo, per esempio, siano voci fondamentali, centrali del nostro lavoro e che non possono essere messe a rischio.
Però ci sono imprenditori che non si attengono al “vostro” contratto e ne applicano altri più vantaggiosi per loro e meno per i lavoratori.
Purtroppo nel nostro Paese purtroppo non si fanno i controlli. Bisogna controllare e anche portare anche alla chiusura chi non può permettersi di applicare i contratti più rappresentativi della categoria. E dico un imprenditore deve capire che non può pensare di risparmiare sul personale: se pensa questo, vuol dire che si è perso davvero qualcosa.
C’è chi dice che dopo il dramma del Covid non si possano penalizzare e pressare troppo le aziende. Cosa ne pensa?
Il Covid ha portato enormi cambiamenti. Noi vogliamo rinnovare il nostro contratto e vogliamo farlo anche alla luce dei mutamenti indotti dal Covid: che non sono solo relativi all’aumento dei salari, ma soprattutto invece riguardano l’aspirazione a periodi più ampi di riposo dal lavoro. Tra 50 euro di aumento e due giorni di riposo invece di uno, molti preferiscono il riposo.
Questo però vale per chi abbia già un reddito più o meno soddisfacente.
Io credo che debba darsi nuovo senso (direi proprio dare senso tout-court) sia alla rappresentanza e alla rappresentatività per le garanzie da una parte, e dall’altra affrontare e migliorare aspetti importanti per noi: penso alle mance che possono essere anche una voce notevole del salario a fine mese specialmente nelle località turistiche e penso sia alla formazione – sempre più in primo piano – e alla assistenza sanitaria.