La carenza di personale nel comparto della sala è stato l'argomento più dibattuto degli ultimi anni dopo la pandemia. I ristoranti continuano a trovare molte difficoltà nella ricerca di camerieri. Le motivazioni sono molteplici e non sempre facili da indagare. Ne abbiamo parlato con Rudy Travagli, restaurant manager del Gruppo Enoteca La Torre e nuovo presidente dell'associazione Noi di Sala che forma il personale con corsi in collaborazione con Gambero Rosso.
Negli ultimi anni si è parlato molto della crisi del settore di sala: dalla mancanza di personale, alla poca considerazione dei camerieri. Ma secondo lei è vero che la professione è bistrattata?
Sì, ma questo dipende dall’organizzazione che c’è in un ristorante.
Cosa intende?
Molti ristoranti sono malgestiti. Inoltre, esiste la figura del proprietario e non del ristoratore in sé, che fa il proprietario e basta, che non ha nemmeno gli uffici, come quelli del personale, dove può eseguire i lavori. Fa tutto lui, è tutto approssimativo, spesso si paga in nero il prodotto, la frutta, il vino e questo modus operandi lo si applica anche ai dipendenti.
E come vengono trattati i camerieri in questi ristoranti?
Spesso non vanno in pausa, non li fanno mangiare. Magari vengono pagati poco, pure in nero e in ritardo e lavorano anche quattordici ore al giorno. Questa dinamica è anche uno dei motivi che ha rovinato il settore.
Quindi i giovani non accettano più queste condizioni?
Esatto.
E come fa a saperlo?
Lo vedo quando nei nostri ristoranti (Gruppo Enoteca La Torre, ndr), proponiamo dei contratti regolari e i ragazzi rimangono sorpresi proprio perché fanno il confronto con le realtà di cui parlavamo prima. Ad esempio, ho avuto modo di fare vari colloqui, nello specifico ho valutato una volta un ragazzo di 23 anni che lavorava già da tempo nel settore e non aveva mai avuto un contratto regolare in vita sua.
E cosa dovrebbe prevedere un contratto regolare, secondo lei?
Tutto deve essere regolarizzato in base al ruolo e alle capacità. In Rinascente (gruppo Enoteca La Torre a Roma, ndr), ad esempio, assumiamo camerieri di livello base con contratti da otto ore al giorno e con uno stipendio che va da 1.300 a 1.500 euro. In Dogana, che sarebbe il nostro ristorante sul mare a Capalbio, oltre allo stipendio forniamo anche vitto e alloggio a nostre spese.
In ogni caso la mancanza di personale resta, così come l'emergenza di sala...
Da un lato i giovani non sono disposti più ad accettare queste condizioni irregolari, come dicevo prima, e come è giusto che sia, però c’è l’altra faccia della medaglia da prendere in considerazione.
Quale sarebbe?
Il personale manca anche perché il mondo sta cambiando. Dal Covid tutti hanno capito che c’è una vita fuori e tutti vogliono lavorare il giusto. Quindi è sacrosanto che i giovani abbiano delle pretese. Però devono avere anche la voglia di farlo.
Si spieghi meglio.
Tra i più giovani noto che non sempre c'è voglia di fare, alcuni, non tutti, vengono a lavorare svogliati. In alcuni ristoranti si inizia la stagione con una squadra e la si finisce con un'altra, o con meno personale perché in corso d'opera ci sono delle defezioni. Non parlo per tutti i ristoranti, parlo per la mia esperienza.
Non è severo parlare di "svogliatezza"?
Non voglio fare un discorso generalizzato, ma alcuni giovani hanno gli esempi sbagliati, come i TikToker o gli Youtuber. Anelano a fare quel lavoro. Magari rimangono a casa con i genitori anche in età adulta. Non tutti, ovviamente.
Andiamo sulla formazione. Pensa che il personale di sala, anche in ristoranti di alto livello, sia abbastanza formato?
No.
Dotarsi di personale poco o per niente formato abbassa la qualità di un ristorante?
Credo fortemente nella formazione. Un non professionista costa di più di un professionista perché, non essendo formato, può fare più danni: sbaglia a stappare una bottiglia e quella bottiglia va buttata, oppure sbaglia la gestione di una comanda e quel piatto viene buttato via. Un incapace fa danni, è vero che lo paghi meno ma in realtà ti costa di più.
Le scuole alberghiere non formano i camerieri del futuro?
Le scuole alberghiere sono in grossa difficoltà.
Per quale motivo?
Gli insegnanti spesso hanno problemi a relazionarsi con i ragazzi e quindi a portare a termine i loro programmi. A volte le distrazioni in aula sono tante, alcuni ragazzi non hanno voglia e le regole sono andate perse: non vanno vestiti nemmeno più in divisa, per esempio. E poi i professori sono stanchi. Credo avrebbero anche loro bisogno di un supporto esterno da parte di chi attualmente lavora sul campo, come maître e camerieri esperti.
Quindi si parte già male dalla formazione base, in questo settore?
La scuola dovrebbe essere lo strumento che ti forma e che ti manda preparato fuori. Invece, ti mandano fuori e dopo c’è il vuoto, e devi ricominciare da capo. Per quello era nata l’associazione Noi di Sala, di cui sono nuovo presidente, per sopperire alle mancanze delle scuole alberghiere.
E qual è lo scopo di Noi di Sala?
Far diventare questo lavoro non un ripiego e un passatempo, ma formare professionisti del settore.
A chi si rivolgono i corsi?
A tutti, non c’è limite di età. Giovani che finiscono alberghiero, ma anche a chi si vuole reinventarsi, abbiamo avuto anche adulti, come il caso di una signora di cinquant’anni che ha deciso di seguire il corso e ha cominciato, poi, a lavorare all’accoglienza da noi, a Villa Laetitia a Roma.
Quanto dura un corso a Noi di Sala?
Tre mesi per sedici lezioni.
Tre mesi di Noi di Sala possono coprire il buco di una scuola alberghiera?
Possono aiutare. Diamo gli strumenti per affrontare il mondo del lavoro.
E se i robottini sostituiranno i camerieri, come la mettiamo?
Il robottino è come avere un tavolino. Il nostro lavoro è basato anche sul fattore umano: un dialogo, un sorriso. Il fattore umano non è superabile.
Come vede l’evoluzione della professione tra dieci anni?
Ogni crisi porta a un cambiamento. Siamo fiduciosi.