Che la pasta fosse qualcosa di magico, si era capito già dai tempi degli antichi letterati come Orazio e Aristofane, che la citano nelle loro opere. Un po’ di farina e acqua insieme e il risultato è la base di un prodotto modellabile in svariate forme: lunghe, strette, a cupola, piccolissime quanto delle briciole. «Bastano due o tre ingredienti per creare qualcosa che nutre, connette e racconta. Ogni forma ha una storia, ogni colore una festa, ogni impasto una memoria», spiega Alessandra Lauria, giovane pastaia di origini siciliane, ora cittadina del mondo, che da qualche anno ha messo su il progetto “Smile and make pasta”, una serie di laboratori per far mettere le mani in pasta (letteralmente!) ai bambini malati oncologici.
Un progetto benefico e solidale ha sempre dietro una storia di rinascita o solidale che tocca direttamente i fondatori. Ne sanno qualcosa Massimo Bottura e Lara Gilmore che, da genitori di un ragazzo autistico, hanno dato vita al progetto Tortellante di Modena, laboratorio terapeutico che insegna a persone con autismo a fare la pasta a mano; e ne sa qualcosa anche Alessandra Lauria ex bambina malata oncologica, ora 38enne, che da adulta ha voluto creare un progetto che aiutasse i bambini ad affrontare il malessere psicologico che c’è dietro la malattia oncologica: «A 10 anni mi venne diagnosticato un sarcoma raro e mi diedero tre mesi di vita. Dopo oltre 27 anni mi è stata data la possibilità di tornare nella stessa ludoteca del reparto di pediatria oncologica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano per contraccambiare i gesti solidali e i sorrisi che mi hanno dato con la clown terapia e che mi hanno fatto andare avanti, ma facendolo con dei laboratori di pasta». Alessandra Lauria oggi è il risultato di quell’esperienza in quel reparto, e se ha dedicato la sua vita alla pasta, è perché «non mi stanco mai della pasta: è un universo creativo senza fine».
Il progetto, già ben strutturo da qualche anno, ormai, nato anche grazie all’aiuto di un crowdfunding, ha allungato le gambe e da Milano si è spostato anche in altre strutture come Casa U.G.I e Casa Giglio di Torino che offrono assistenza, anche psicologica, e alloggio alle famiglie di bambini che sostengono cure oncologiche. I laboratori vengono allestiti con utensili e attrezzature per fare la pasta di ogni tipo «seguendo un calendario che rispetta la stagionalità, le festività e le tradizioni regionali italiane. Questo ci permette di variare e raccontare storie attraverso la pasta. Abbiamo creato paste ripiene, paste del Sud e del Centro Italia, così come paste “isolate”, tipiche delle isole come Sicilia e Sardegna. A Carnevale, ad esempio, abbiamo realizzato paste colorate», racconta Alessandra Lauria.
Si lavora tutti su in tavolo centrale comune e per ogni laboratorio ci si avvale di una pastaia diversa e persone dell’associazione già formate precedentemente. «I laboratori durano tra le due e le tre ore e la pasta prodotta viene poi consegnata ai bambini e alle loro famiglie, insieme a un vassoio e a un piccolo manuale con le istruzioni per cucinarla. In occasioni speciali, invece, mangiamo tutti insieme e collaboriamo con sponsor per creare eventi all’interno delle strutture», racconta Lauria. L’attenzione del progetto “Smile and make pasta” non è solo focalizzata sul fattore umano, ma anche sulla qualità delle paste prodotte e degli ingredienti utilizzati: «Utilizziamo farine di altissima qualità, spesso da grani antichi come la tumminia o il perciasacchi, rigorosamente macinati a pietra e con germe di grano vivo. Per noi è importante che siano il più naturali possibile, veri alimenti vivi, carichi di valore nutritivo e simbolico. Inoltre, tutte le paste che realizziamo sono vegane: un’ulteriore scelta di attenzione e inclusività», spiega Lauria.
La pasta è il risultato di un’unione (acqua e farina), come quella che crea tra i partecipanti ai laboratori di “Smile and make pasta”, la fondatrice del progetto racconta: «In uno dei nostri laboratori abbiamo conosciuto una mamma ucraina, in Italia per far curare la sua bambina. È capitato che lei fosse una chef e abbia insegnato anche a noi alcune tecniche di chiusura della pasta, come si fa nel suo paese. L’avvicinamento della madre a noi ha fatto sbloccare anche la sua bambina che si è sentita coinvolta nella realizzazione della pasta e parte di un gruppo».
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