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Dulcamara

Cari chef, una grande materia prima non basta a fare un grande piatto

Menu che menzionano ingredienti e relativi produttori sono sempre benvenuti, ma esibire un pedigree di provenienze solo come lasciapassare di imprecisioni non è accettabile

  • 28 Aprile, 2025

«Della materia prima non ti parlo neanche» mi disse qualche anno fa un ristoratore. Intendeva che dal suo punto di vista era superfluo sottolineare che per i suoi ristoranti sceglieva i migliori prodotti: quella secondo lui era la base di partenza, come avere i fornelli in cucina o i tavoli in sala. Sosteneva infatti che un buon ristorante senza ottime materie prime semplicemente non poteva essere un buon ristorante. Fine del discorso. Per lui una selezione seria non era un tema, lo erano i piatti, il menu, la proposta complessiva, insomma tutto quel che arriva dopo l’approvvigionamento.

La carta d’identità dei prodotti

Mi tornano spesso in mente le sue parole, leggendo sui menu la provenienza degli ingredienti usati. È una cosa che non mi dispiace, a dire il vero: da una parte valorizza il lavoro del produttore, che proprio grazie alla visibilità e alle commesse del ristorante può resistere al gioco al ribasso di certi circuiti commerciali; dall’altra dà conto del lavoro dietro le quinte, fatto in quelle lunghe ore in cui si è all’opera lontano dagli occhi dei clienti, talvolta anche nei giorni di riposo passati a cercare, viaggiare, assaggiare.

Capisco perfettamente che tanti si servono di queste carte d’identità per posizionarsi nel mare magnum dell’offerta ristorativa, per giustificare qualche prezzo più alto, per senso di appartenenza a una comunità gastronomica, talvolta per moda, marketing o per millantare di essere chi non si è, in ogni caso comunicare il proprio approccio, far conoscere l’investimento, economico e di tempo (che poi sono la stessa cosa) che ci sono dietro a un certo tipo di lavoro, non è da condannare. Al contrario. Mi lascia sempre perplessa, però, chi esibisce un pedigree come un lasciapassare che giustifica delle imprecisioni – «sa, i prodotti artigianali non sono sempre uguali… è il loro bello» – e dovrebbe automaticamente validare la bontà del ristorante.

Tra un buon prodotto e un buon piatto, c’è il cuoco

Non credo che un buon prodotto renda automaticamente buono un piatto; lo dico per esperienza personale, da cuoca scarsa quale sono. Di contro conservo nella memoria una lista di magnifici piatti casalinghi che non vantano nobili natali ma vincono a mani basse al confronto con altri. E non è perché la nostalgia è un grande condimento ma perché dal prodotto al piatto finito c’è di mezzo la ricetta, e insieme a quella anche la mano dell’esecutore, il gusto personale, l’emozione. Cose – quelle sì – capaci di aggiustare qualche imprecisione di base. Perché cucinare non è solo fare la spesa, né (come dice un grande chef) significa toccare il meno possibile la materia prima. Cucinare è un’altra cosa.

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