
C’è un aroma che attraversa generazioni e continenti: quello della apple pie appena sfornata. La sua forma è semplice: un involucro di brisée dorata e friabile racchiude un generoso ripieno. Per molti italiani, però, l’immagine più vivida dell’apple pie arriva dai fumetti, con Nonna Papera che la lascia raffreddare sul davanzale mentre Qui, Quo e Qua già si leccano i baffi. Ma se la torta di mele dei fumetti Disney è entrata nel nostro immaginario, la sua storia viene da molto più lontano, con radici che affondano in Europa e rami che si intrecciano con l’identità statunitense. La ricetta classica è quella proposta nel programma sulla cucina a stelle e strisce Uazz’America, disponibile sulla piattaforma gamberorosso.tv, in chiaro sul canale 257 del digitale terrestre, e sui canali Sky 133 e 415.
Contrariamente a quanto si pensi, l’apple pie non è nata Oltreoceano, bensì Oltremanica. Le sue origini risalgono infatti all’Inghilterra medievale, dove una ricetta del 1381 mescola mele, fichi secchi, uvetta e zafferano in un guscio di pasta. Lo zucchero? Un bene di lusso, praticamente assente. A portare la apple pie negli Stati Uniti furono i coloni europei, ben prima dell’arrivo del frigorifero, come modo ingegnoso per non sprecare la frutta. In assenza di metodi di conservazione, si cucinavano mele e ortaggi in vari modi per preservarne sapore e nutrimento. All’inizio, le mele venivano semplicemente cotte in forno e adagiate su una base simile alla pasta brisée, che fungeva da contenitore. Col tempo, si aggiunse anche una copertura superiore, sigillando il ripieno tra due strati di pasta: dando vita così all’apple pie nella sua forma classica: una torta semplice, domestica, rassicurante. Durante la Seconda Guerra Mondiale, l’apple pie fu persino arruolata nella propaganda patriottica. “Sei americano tanto quanto la apple pie” divenne un modo di dire comune. E ancora oggi, dire as American as apple pie equivale a evocare casa, ricordi, tenerezza.
Nel nostro immaginario italiano, la regina indiscussa dell’apple pie è Elviry “Grandma Duck” Coot, inventata dall’autore della Disney Al Taliaferro ispirandosi a sua suocera, e in seguito adattata da Carl Barks e da molti altri fumettisti, nota in Italia attraverso il settimanale a fumetti Topolino come Nonna Papera. Le storie Disney diffuse in Italia dagli anni Cinquanta in poi ci mostrano la nonna di Paperino e la sua apple pie, che diventa presto simbolo della cucina a stelle e strisce, e quintessenza del comfort food: fumante, perfetta, sfornata in continuazione per nipoti e amici. È lì che molti bambini italiani hanno conosciuto per la prima volta la apple pie.
Ma dietro l’apparente semplicità della apple pie si nasconde un’arte: scegliere le mele giuste è fondamentale. Le varietà più utilizzate nella tradizione americana sono la Granny Smith, per il gusto acidulo e la capacità di tenere bene la cottura, e la Golden Delicious, più dolce e aromatica. In molti usano una combinazione delle due, irrorate di succo di limone per arrestare l’ossidazione della polpa. L’obiettivo è un ripieno che in cottura non diventi una purea indistinta, ma resti strutturato, con le mele a fette ancora riconoscibili, morbide ma non sfatte. Anche il guscio di pasta brisée o frolla, a seconda della zona di produzione, ha la sua importanza: la vera apple pie ha due strati di impasto – sopra e sotto – friabili ma robusti, capaci di contenere il succo delle mele senza inzupparsi. Nel New England prevale a più burrosa frolla, nel Midwest è più comune la brisée. Tocco finale, spennellare il guscio superiore con uovo sbattuto per ottenere un effetto lucido e dorato. E poi c’è la cannella, spezia regina del ripieno. Ma non solo: nelle versioni più ricche, al ripieno si aggiungono noce moscata, chiodi di garofano o scorza di limone per esaltare il profumo delle mele. In alcune zone degli Stati Uniti si inseriscono anche uvetta e noci pecan, mentre nella variante olandese – la Dutch apple pie – il topping diventa una copertura sbriciolata, simile a un crumble. Per legare bene il ripieno, un trucchetto è aggiungere uno o due cucchiai di amido di mais. Dopo la cottura in forno, è d’obbligo farla raffreddare.
Una fetta di apple pie chiama una coccola in più. L’abbinamento più classico è mangiarla à la mode, ovvero con una pallina di gelato alla vaniglia, meglio se artigianale e profumato alla bacca. Il contrasto tra il caldo del dolce e la freschezza del gelato è semplicemente irresistibile. Un insolito abbinamento è con il formaggio cheddar anch’esso artigianale e preferibilemtne clothbound, ossia affinato in un telo di mussola. Per chi preferisce abbinare la apple pie ad una bevanda, l’ideale è un tè nero speziato, come un chai con note di cannella, zenzero e cardamomo, che amplifica il profumo del ripieno. Ottimo anche un tè affumicato tipo Lapsang Souchong, per un contrasto più deciso. Nei mesi freddi, la combo perfetta è con un sidro di mele caldo, magari aromatizzato con scorza d’arancia, anice stellato e chiodi di garofano. Il suo gusto dolce e leggermente acidulo accompagna la torta senza sovrastarla. E per chi ama osare? Un bicchiere di Calvados o un bourbon morbido, da sorseggiare lentamente, per trasformare l’apple pie in un vero dessert da meditazione.
Che arrivi da una cucina del Midwest, dal davanzale di una fattoria nel New England, o dalle pagine di Topolino, la apple pie ha qualcosa di universale: sa di casa, di pomeriggi lenti, di affetto. È un dolce che non ha fretta, come le cose fatte con amore. Forse è proprio questo il suo segreto. Non un semplce dolce da credenza, ma una tenera madeleine d’infanzia spensierata.
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