Ai fornelli bisogna fare attenzione. Bastano un approccio approssimativo o una svista per mandare in fumo l’intero pasto. Perciò diventano importanti pure pentole e utensili scelti; guai a utilizzare una padella per realizzare un risotto. È fondamentale ricorrere sempre allo strumento giusto. Come è vero che determinati materiali si prestano a una migliore “conduzione”. Si pensi all’acciaio Inox, non solo ottimo conduttore di calore, ma anche quel metallo che garantisce una più salutare preparazione dei cibi. Ad accompagnarci nella cucina di tutti i giorni non sono quindi solo i consigli degli chef, ma anche le raccomandazioni degli scienziati, tra chimici e medici nutrizionisti. C’è ancora dibattito sulla presunta dannosità delle componenti adoperate per la produzione delle padelle in teflon, con esperti preoccupati degli accumuli di PFAS. Mentre altre non le ritengono di per sé pericolose. Gli stessi dubbi vengono sollevati sull’alluminio: secondo alcuni, in particolari condizioni, è “controindicato” in cucina. Il rame, no. L’esatto contrario di quanto si credeva fino a pochi decenni fa.
Ma concentriamoci sull’alluminio, amato e odiato. Tra influencer, presunti esperti e persino qualche ristorante, si continua a utilizzarlo in cottura senza tenere conto delle indicazioni fornite dalle autorità competenti. I professionisti, ad esempio, sono chiamati a confrontarsi con le procedure HACCP (Hazard analysis and critical control points), un insieme di regole che norma l’utilizzo di prodotti, la conservazione, la cottura e l’etichettatura degli ingredienti, allo scopo di garantire la sicurezza alimentare. E per gli amatori? Le indicazioni ci sono ma in tanti non le conoscono.
Un esempio è la campagna informativa sul corretto uso dell’alluminio in cucina del ministero della Salute. Il lavoro svolto dal Comitato Nazionale per la Sicurezza Alimentare, un organo tecnico-consultivo che opera all’interno del ministero della Salute, è stato molto importante, in quanto ha messo per iscritto i rischi derivanti da un utilizzo improprio del metallo che, a determinate condizioni, può rilasciare le proprie particelle nel cibo e di conseguenza contaminarlo. Le raccomandazioni vi guideranno nell’uso della carta stagnola in modo che non prepariate più un pesce al cartoccio ‘sbagliato’.
Pesce “al cartoccio”, qui preparato con la carta da forno @bonnerecette
Insomma, l’alluminio — ciò di cui è fatta la carta stagnola — sarebbe un materiale potenzialmente tossico. La posizione del comitato citato è netta: è controindicato soprattutto nel caso di bambini piccoli, anziani e nefropatici, tutti quei soggetti con funzionalità renale ‘ridotta’. Nel parere n°19 del 3 maggio del 2017, chiamato ad esprimersi sulla Esposizione del consumatore all’alluminio derivato dal contatto alimentare, il CNSA ha difatti dichiarato: «L’alluminio […] è uno dei metalli con riconosciuta potenziale pericolosità per la nostra salute, anche considerando la presenza diffusa in molti alimenti e in molti altri prodotti di consumo. L’alluminio interferisce con diversi processi biologici (stress ossidativo cellulare, metabolismo del calcio, etc.), pertanto può indurre effetti tossici in diversi organi e sistemi […]. La via primaria di esposizione all’alluminio per la popolazione generale è quella alimentare […]. Attualmente, il principale fattore direttamente prevenibile è la contaminazione del cibo per contatto, ad esempio, per fenomeni migrazionali da utensili per la cottura o imballaggi […]. Alcuni studi effettuati con alimenti avvolti in fogli di alluminio e sottoposti a differenti tipi di cottura (in forno e grigliati sulla carbonella) hanno dimostrato che l’elevata temperatura comporta l’aumento della concentrazione dell’alluminio nell’alimento».
Nello stesso documento ministeriale, si afferma che a incrementare il rischio di contaminazione sono in particolare i «cibi acidi (ad es. quelli con acido citrico), o contenenti sale», in grado di agevolare la migrazione delle particelle. Si pensi a limone e pomodoro. Pertanto, da evitare a contatto con suddetti materiali. Fra l’altro, anche il tempo sarebbe una variabile rilevante. Tanto è vero che gli esperti in questione sconsigliano il contatto diretto prolungato. Ci ricordiamo le parole di qualche tempo fa dell’ex viceministro della salute Pierpaolo Sileri sui panini contenenti pomodoro, sottaceti, salumi, pesce sotto sale, ketchup o marmellate (magari anche caldi)? «Non incartate il panino di vostro figlio lasciandolo per ore all’interno della carta di alluminio. […] mi riferisco a un panino farcito con alimenti molto acidi o molto salati che possono entrare in contatto diretto con l’incarto di alluminio. In questi casi infatti la ‘migrazione’ non può essere esclusa […]». Va comunque detto che, al fine di ridurre i rischi accennati, alcune aziende produttrici fanno uso dell’alluminio anodizzato, in cui uno strato protettivo di ossido di alluminio sigilla la superficie e impedisce il rilascio di molecole della lega metallica. Il problema, invece, non si dovrebbe porre nel caso di prodotti industriali confezionati. Per legge, in linea con quanto prevedono le disposizioni comunitarie, l’alluminio è sempre preceduto da un materiale isolante, che impedisce la contaminazione. Così, in quelle vaschette da forno usa e getta che tutti conosciamo, oppure nelle più comuni lattine da soft drink, il metallo è solo e unicamente utilizzato come rivestimento esterno, decisamente a prova di contaminazione.
Modi e alternative per evitare possibili rischi di contaminazione esistono. Qui, ci permettiamo di consigliarne almeno uno: sostituire l’alluminio con la carta da forno, almeno in fase di cottura. Oppure, utilizzare quest’ultima come “isolante”, come fosse il ripieno in mezzo a due fette di pane. In genere, è quanto si fa nelle cucine professionali per garantire piatti salubri, preparati giovandosi anche della opportuna trasmissione di calore agli alimenti, caratteristica che ha fatto apprezzare la carta stagnola. Ci viene in mente il modo in cui lo chef pluristellato Enrico Bartolini prepara il celebre risotto rape rosse e gorgonzola, suo signature dish copiato ormai da molti (anche se prima di lui Gualtiero Marchesi ne faceva uno simile). Per questo piatto, le rape rosse sono cucinate al cartoccio. Sì, avete letto bene. Solo che qui, prima di avvolgerle con dell’alluminio, vengono arrotolate nella carta da forno e soltanto dopo infornate. Semplice accorgimento che consente di rispettare i parametri di sicurezza alimentare senza togliere nulla alla ricetta.
Anche se non vorremmo sentirlo, alla fine molti materiali rilasciano delle particelle. Per quanto riguarda pentole e padelle, non resta che scegliere quelle le cui componenti sono ritenute meno dannose. Il punto è che siamo ormai consapevoli di essere sovraesposti all’inquinamento, e quindi la scelta del “meno peggio” non è poi così rinfrancante. Eppure, anche gli esperti credono che non vi sia altra possibilità. A tal proposito, riportiamo le parole dell’oncologa e nutrizionista dell’Università La Sapienza di Roma, Debora Rasio:«[…] Potremmo sostituire i contenitori in plastica con gli equivalenti in vetro, mentre le pellicole con cui avvolgiamo gli alimenti con quelle analoghe di carta. Il problema è che ci vogliono sempre 30-40 anni per acclarare la pericolosità di un materiale. Hanno vietato ad esempio il teflon che è un contaminante persistente, neurotossico e cancerogeno, sostituendolo con materiali che sembrano avere effetti tossici simili. Anche le ceramiche antiaderenti, spacciate per sicure, possono rilasciare nanoparticelle capaci di penetrare nel nucleo delle cellule con effetti a lungo termine ancora sconosciuti. Bisogna quindi informarsi sulle padelle e andare alla ricerca delle più certificate. Evitiamo l’alluminio, che non deve venire a contatto con gli alimenti. È una neurotossina potente, a meno che non venga usato solo da conduttore (in quel caso andrebbe isolato nella fabbricazione delle pentole attraverso degli strati di acciaio inox)».
Tra conferme ed esortazioni la specialista ci offre uno sguardo diverso sulla questione, sostenendo che dovremmo tutti riconsiderare alcune «vecchie metodologie di cottura, con pentole d’acciaio, coccio (ovvero terracotta) e pyrex». A sorpresa suggerisce persino il buon vecchio rame, lega delle corti e appannaggio di pochi, in Italia ormai in disuso salvo qualche eccezione: «se ogni tanto utilizziamo una pentola di rame non è una cosa sbagliata. Rilascia un oligoelemento essenziale di cui oggi siamo spesso carenti».
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