In questi giorni gli occhi sono puntati sui reali inglesi, Re Carlo e Regina Camilla, in visita di Stato in Italia. Dopo la tappa di Roma raggiungeranno anche Ravenna. Il 9 aprile il Re ha tenuto un discorso a Montecitorio di fronte a deputati e senatori, in cui ha ricordato anche Giuseppe Garibaldi e la sua impresa dell’Unità d’Italia, raccontando una curiosità: «Quando Garibaldi venne nel nostro Paese, il popolo fu contagiato da una Garibaldi-mania: fu creato addirittura un biscotto in suo nome, il massimo segno di onore per noi», ha raccontato Re Carlo III.
Poco conosciuti in Italia, ma famosi in Inghilterra i biscotti Garibaldi (Garibaldi biscuits, in inglese) sono realizzati con due strati di pasta frolla e ripieni di uvetta o frutta essiccata. In realtà, in Italia c’è un piccolo forno – Due pani del Gambero Rosso – che li prepara ogni giorno: la Bottega di San Leo (Rimini), in Alta Valmarecchia. Il punto vendita da due anni è gestito dalla cooperativa di comunità Fer-menti Leontine, la stessa che in paese nel 2021 aveva riattivato anche il forno del paese, scegliendo di lavorare con farine di filiera e del territorio e parte della rete dei Panificatori Agricoli Urbani. La ricetta dei Garibaldi di San Leo l’ha portata il capo fornaio, Giulio Ceccoli, 32 anni e una laurea in Ingegneria, dal locale dove lavorava in precedenza. Tra le caratteristiche, il ripieno della frolla è fatto usando la Confettura biologica di albicocche “La Madre Terra”, prodotta nel laboratorio di cooperativa sociale del territorio che è anche centro socio-occupazionale per persone con disabilità.
Ma torniamo in Inghilterra, la loro patria d’origine. Qui vengono chiamati anche squashed fly biscuits, che vuol dire biscotti delle mosche schiacciate, per via dell’uva passa del mezzo che nelle sembianze ricorda delle piccole mosche nere. Nascono dalla mente e dalle mani del pasticcere Jonathan Carr, dell’azienda Peek Freans, in occasione di una visita di Garibaldi nel Regno Unito nel 1854. Lo stesso pasticcere-imprenditore poi li lanciò sul mercato proprio intorno al 1861, anno dell’Unità d’Italia e ancora oggi vengono consumati dagli inglese durante il rito del tè delle 5 o in accompagnamento a un buon caffè. In quegli anni, come ha ricordato Re Carlo III nel suo discorso, la fama di Garibaldi non era diffusa solo in Italia, ma anche all’estero: era il vero Eroe dei due Mondi che nel 1864, quando tornò a Londra in visita, fu accolto come una vera e propria leggenda.
Si racconta che il generale del Risorgimento fosse ghiotto delle cosiddette gallette da marinaio, un prodotto da forno, accompagnato da lui con uva sultanina. Con ogni probabilità fu questa sua predilezione a ispirare il pasticcere inglese Carr a creare i Garibaldi Biscuits. Ma il condottiero a tavola era un buongustaio con le sue preferenze e i suoi limiti, come tutti. La rivista storica Jourdelo racconta che Francesca Armosino, ultima moglie di Garibaldi, doveva fare attenzione alle spese di casa soprattutto in occasione di visite di ospiti, dato che quando qualcuno giungeva in casa di Garibaldi, spesso si fermava per giorni e bisognava anche sfamarli. La rivista Jourdelo citando il manoscritto del patriota Giuseppe Nuvolari riporta: «Si mangiava caccia e pesca (carne non ne vidi mai), ma quello che disturbava tutti (meno Menotti e il generale) era la mancanza assoluta del vino e caffè, questo riservato al solo generale» e poi «A tavola quando beveva diceva sempre: come e buona quest’aqua… e eccelente non è vero».
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