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Ribelli per scelta

Il bar vintage di Bologna amato dai registi che non ha mai cambiato sé stesso

A Bologna c’è un bar che non ha mai inseguito il tempo, e proprio per questo lo ha conquistato. Il Bar Billi, storico caffè con pasticceria sotto l’arco del Meloncello, è diventato negli anni set cinematografico e rifugio per chi cerca autenticità

  • 19 Aprile, 2025

Esistono spazi che esercitano un’involontaria sovversione semplicemente restando immutati e il Bar Billi di Bologna è uno di questi: un luogo che resiste al tempo senza inseguirlo. Non sorprende che questo locale ultracentenario abbia sedotto anche il cinema, diventando set di pellicole come Jack Frusciante è uscito dal gruppo e Ravanello pallido film che, nella loro eterogeneità stilistica, condividono un certo sguardo nostalgico sulla realtà che il Bar Billi incarna alla perfezione. La luce obliqua che attraversa le vetrate del caffè con annessa pasticceria artigianale, nelle mattine di primavera crea un chiaroscuro naturale che neanche il più abile direttore della fotografia saprebbe replicare, rendendo questo spazio la scenografia perfetta per storie autenticamente pop.

Gestito dai fratelli Lorenzo e Antonio Billi, la storica insegna si fa portavoce inconsapevole di un silenzioso atto di ribellione contro l’uniformità forzata che divora gli spazi urbani contemporanei, incarnando una paradossale forma di resistenza ostinata: non cambiare quando tutto, intorno, muta in continuazione.
Il vintage che i proprietari del Bar Billi preservano, infatti, non è quello posticcio e calcolato dei locali che inseguono incessantemente l’aggiornamento forzato verso un’estetica retrò, ma quello – ben più sovversivo – di ciò che semplicemente è rimasto identico a sé stesso nel corso del tempo, da quando nonno Mario Billi rilevò l’attività nel 1953. C’è qualcosa di struggente in questa resistenza, un ché di toccante che ha evidentemente colpito anche quel medium incantatore che è il cinema.

L’esperienza gastronomica del Bar Billi

Poggiati al bancone – lo stesso che negli anni Settanta serviva cappuccini ai lavoratori in partenza dal quartiere e che oggi accoglie chi cerca un momento di pausa sincera in una città che cambia a vista d’occhio – si avverte un misto di trepidazione e scetticismo. Si portano con sé le inevitabili riserve sulla gastronomia della nostalgia, spesso colpevole di nascondere, dietro l’alibi della tradizione, un’imbarazzante assenza di sostanza, ma tale scetticismo si infrange al primo morso di crescentina fritta.

Certo, la loro caratteristica untuosità quasi proibita nell’era del minimalismo gastronomico appartiene a un vocabolario gustativo sempre più scansato anche dalla sottoscritta, ma di certo ampiamente apprezzato e condiviso dalla comunità locale del Meloncello. Dal laboratorio artigianale nascosto nel retro emergono quotidianamente brioche, bomboloni, panini, tramezzini, pizzette, panzerotti ed erbazzoni dall’autenticità rustica e il sapore intenso, ma la vera star rimane il “Pan Spziel”. Con oltre settant’anni di storia alle spalle, viene sfornato qui tutto l’anno e, oltre alla ricetta, ha mantenuto intatto persino il packaging originale con l’immagine di Mario Billi: un caso emblematico di continuità produttiva in un’epoca caratterizzata dall’obsolescenza programmata anche in ambito gastronomico.

Un microcosmo sociale sotto l’arco del Meloncello

La clientela del Bar Billi è essa stessa un cast di varietà umana degno del miglior cinema neorealista: i fedelissimi delle colazioni mattutine convivono con i turisti diretti a San Luca, mentre sedute ai tavolini del cortiletto sul retro alcune signore chiacchierano del più e del meno, come se il tempo non avesse più potere su di loro. Verso il mezzogiorno, i lavoratori in pausa pranzo trovano nel panino con la cotoletta e nei tramezzini del Bar Billi una rassicurante alternativa al pasto veloce standardizzato delle catene, mentre gli anziani del quartiere salutano tutti come membri di famiglia. Un commovente microcosmo sociale che resiste all’individualismo imperante, con profonde radici nel tessuto urbano del quartiere dove il tempo sembra fluire secondo regole proprie.

Ma ciò che colpisce, ben più dell’anagrafe, è la ferma volontà di non piegarsi alle mode, di mantenere un’identità in contrasto con lo spirito del tempo e questo lo si evince dall’approccio stesso che Lorenzo e Antonio Billi hanno con la clientela: un atteggiamento che abbraccia una schiettezza che può apparire ruvida, ma che cela, a ben guardare, un rispetto profondo per il valore dell’esperienza condivisa.

L’“opera aperta” del Bar Billi

Il bar apre alle 6:30 e chiude alle 15:30 – escluso il giovedì, giorno di riposo – orari che, pure loro, paiono oggi anacronistici, ma che a ben vedere sono il riflesso di una concezione del lavoro e del tempo libero ormai rara: un equilibrio che privilegia la qualità dell’esistenza alla produttività a oltranza. Dentro questo spazio temporale definito, il Bar Billi rappresenta, nella sua ostinata immutabilità, un baluardo contro la proliferazione di spazi anonimi e intercambiabili, tutti uguali a sé stessi, ovunque nel mondo.

È, al contrario, un luogo nel senso più pieno del termine: uno spazio di identità, di relazioni, di storia – qualcosa che richiama alla mente l’“opera aperta” di Umberto Eco: un dispositivo vivo, che genera senso proprio perché si sottrae all’omologazione, che rifiuta di diventare simulacro, copia della copia. Non nostalgia che replica, ma memoria che resiste. E così, tra un erbazzone e un caffè serviti senza fronzoli al bancone di metallo lucido, come in una di quelle scene apparentemente ordinarie, ma dense di significato del cinema italiano, si comprende appieno la lezione di questo locale: a volte, la forma più radicale di resistenza non è il cambiamento, l’innovazione ad ogni costo, ma la persistenza e la fedeltà a sé stessi. Un promemoria che, oggi, suona quasi rivoluzionario nella sua semplicità.

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