Il modello fine dining non entusiasma più. O intrattiene meno di prima. La trattoria e il ristorante classico annoiano. Di enoteche con cucina è pieno, e sembrano quasi tutte uguali. Per farsi stuzzicare un po’, rompere la monotonia gastronomica, la scelta di qualcuno ricade allora sulla cucina internazionale. Ma a volte non basta neanche quella. Che uno sia d’accordo o no, tale senso di insoddisfazione corrisponderebbe al sentimento comune e a quanto si sente dire in giro, a partire dalle testimonianze di alcuni addetti ai lavori. E in una città come Milano, sempre a caccia di novità, adesso il “divertimento” viene offerto dalla dimensione dei listening bar, che coinvolgono a tutto tondo l’ospite. Il format, di successo in Giappone, lì dove sono nati negli anni Cinquanta i jazz kissa caffè, ha preso ormai piede anche qui in Italia. Dopo averne studiato la formula a Tokyo, lo chef Yoji Tokuyoshi ha deciso di puntarci per sfruttare lo stile immersivo che lo caratterizza. Sulla scena meneghina si attende quindi l’opening del suo Hi-Fi bar e dining, un progetto decisamente ambizioso che porterà il nome di Mogo, dal 16 aprile aperto al pubblico.
I genitori volevano che facesse il farmacista, come il resto della famiglia. Il giapponese, originario di Tottori, sceglie un’altra strada: la cucina. In patria si fa le ossa acquisendo metodo e rigore culinario. La maturità professionale arriva però solo sotto la guida di Massimo Bottura all’Osteria Francescana, dove si consacra nei panni di sous chef fino al 2014.
A Milano si afferma prima con il suo Tokuyoshi, una stella Michelin nel 2015, poi con Bentoteca, locale dalla storia particolare, partita da una lunch box («bento», in giapponese): formula d’asporto pensata ai tempi della pandemia per stare “vicino” alle persone con preparazioni comfort della tradizione nipponica. È durante il lockdown però che in Yoji scatta qualcosa, ciò che lo porta a cambiare visione, l’idea di impegnarsi in una proposta più “snella” e accessibile. Nasce da questa introspezione la sua enoteca con cucina — Bentoteca — che sostituisce in tutto e per tutto lo stellato. Perché «anche un katsusando può essere fine dining […]». Una forzatura del cuoco per far capire che, se la qualità del prodotto è eccellente e ogni cosa viene curata nei minimi dettagli, pure un panino — il katsusando — può essere di alta ristorazione. A determinare il livello di una portata quindi non è il prezzo. In quest’ottica, il fine dining sarebbe quasi un mindset: il modo di pensare e preparare un piatto.
Yoji Tokuyoshi
Avere identità e saper comunicare il proprio pensiero a volte può valere più del resto, persino del fascino travolgente della grande materia prima. D’altronde, come ci spiega, «semplice non vuol dire cheap». Al vecchio allievo di Bottura non va giù la storica rappresentazione italiana della cultura culinaria del Sol Levante, condizionata dalla subcultura del sushi all you can eat e dipinta come “economica”, nel senso anglosassone di «scarso valore». E perciò distorta, «senza cultura (conoscenza)». La stessa filosofia anima gli altri progetti: Alter Ego a Tokyo, Katsusanderia al Mercato Isola e Pan, bakery di recente apertura. Non sarà diverso per Mogo, new entry in casa Kazoku, la società di Tokuyoshi e Alice Yamada.
In lingua Sotho, un ceppo radicato in Sudafrica e nel resto dell’Africa Meridionale, Mogo significa «insieme, unione», semantica che rimanda al concetto di aggregazione che vuole trasmettere il locale. Uno spazio ricreativo di condivisione che si dota di un «bancone a 360 gradi», posto al centro e ideato come punto essenziale di scambio. Una struttura interna di 400 mq dal design moderno e industriale, studiato dal Giorgia Longoni Studio con una palette cromatica che evoca alcuni elementi della natura, oltre che la terracotta e l’acquamarina — colore della pavimentazione — e rifinita con personalità da materiali di diverso tipo: legno intagliato, velluti «vissuti», acciaio e carta washi. Ne viene fuori un ambiente fresco e luminoso di giorno, accogliente e suggestivo la sera, grazie all’illuminazione cangiante in grado di trasformare l’atmosfera. La nuova insegna del quartiere Isola, oltre a disporre di aree esterne (dehor e terrazza), si compone anche di una sala privata, a cozy environment in cui gli ospiti possono intrattenersi scalzi.
@mogo.milano
Mogo vuole essere un club dal respiro internazionale presso cui ritrovarsi per mangiare, bere e ascoltare musica. È un listening bar con un impianto Hi-Fi adatto ad accogliere performance sonore di livello, che verranno organizzate sotto la curatela di Polifonic e BSR, etichetta indipendente e branch musicale di Burro Studio, uno dei partner del progetto.
«Volevamo costruire un posto che rispondesse al bisogno attuale di divertirsi, in sintonia con il life style milanese, ma che mantenesse la cura e la qualità del food. La cucina sarà accessibile: 8-10 piatti espressione della contaminazione gastronomica giapponese, italiana e francese. Inclusi nell’offerta anche brunch e business lunch, sempre al prezzo giusto». A fornirci l’identikit della proposta culinaria è lo stesso Tokuyoshi, che ha scelto uno per uno i membri che comporranno la brigata, affidando le redini della cucina a Simone Montanaro. Lo chef Yoji non transige nemmeno sulla materia prima; i fornitori saranno i soliti, quelli di Bentoteca e Pan. Qualità pure sul fronte beverage: il Martini Black Saffron e gli altri signature cocktail di Morris Maramaldi alzeranno il livello. Si potranno accompagnare assaggi come lo yakitori di pollo e l’okonomiyaki ai fiori di zucca scegliendo fra drink classici o cocktail più estrosi, oppure attingere dalla selezione di vino biologico e naturale. Per gli amanti del genere, un assortimento nutrito di sakè e whisky giapponesi. Tutto sotto la scrupolosa supervisione del bar manager Filippo Comparini. Insomma, dal 16 aprile ci si aspetta un’esperienza immersiva fra alta ristorazione, mixology e musica dal vivo. La movida meneghina è già in fermento.
Mogo — via Bernina, 1/C — 20158 Milano
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