Insieme agli incendi di Los Angeles, l’alluvione di Valencia ha scritto una tragica pagina sul senso dei cambiamenti climatici con oltre 200 morti e inaudite devastazioni. Ora è il momento di riflettere e visitare un luogo che già si sapeva fragile e ad alto rischio, come tutte le zone umide, ma allo stesso tempo vitale per proteggere i luoghi abitati, se ben gestiti, da eventi estremi sempre più frequenti. E inevitabili. Parliamo dell’Albufera, il lago d’acqua dolce 10 km a sud di Valencia che, in poche ore, ha ricevuto (e in qualche modo assorbito) un flusso d’acqua superiore a quello che normalmente accoglie in un anno e mezzo. È qui che si coltiva il riso ingrediente principale della tradizionale paella.
Eravamo là lo scorso settembre per la festa del raccolto. Lo sciabordio dell’acqua lungo l’imbarcazione di legno accompagnava le urla degli uccelli – anatre, aironi, cormorani, la rara folaga crestata e altre 300 specie di migratori – mentre il tramonto sfumava dal giallo canarino al rosso fuoco, rimbalzando tra acqua, nuvole e cielo. All’orizzonte, a nord, si stagliava lo skyline di Valencia. Un altro mondo e un’altra epoca, la modernità a due passi da qui. Le spighe di riso intanto si piegavano al vento appesantite dai grossi chicchi verde-dorati. Simbolo della cucina spagnola nel mondo, la paella è uno di quei piatti che, a seconda dell’interpretazione, può essere junk food o delizioso attrattore di socialità. Un po’ come la nostra pizza, per la sua diffusione pressoché capillare, il prezzo relativamente basso e l’appeal molto pop. Il luogo dove il riso si fa Paella è, appunto, l’Albufera.
A Valencia la paella s’inserisce in ogni itinerario turistico che si rispetti, incuneata tra Calatrava e il museo delle Fallas. Si scopre così che quella che tutti conosciamo, e che capita di trovare anche in certi nostri non sempre commendevoli ristoranti, non è l’originale che è, senza ombra di dubbio, valenciana perché nacque a 10 chilometri a sud della città, tra i coltivatori di riso dell’Albufera. Ed è un piatto più di terra che di mare: di quella area a metà tra terra, mare e lago che un tempo copriva gran parte delle coste mediterranee, in corrispondenza delle foci dei fiumi, e che oggi è relegata a poche oasi doverosamente protette da parchi naturali (anche se ammirando gli stormi che annerano il cielo azzurro non si possono ignorare i continui spari dei cacciatori).
Come il Delta del Po, l’Albufera è un ecosistema, protetto da un Parco Naturale, profondamente trasformato dall’uomo: il 75% del territorio è coltivato a riso e i campi ne definiscono il paesaggio, ma sono anche habitat ideale per uccelli e anfibi. Quel mix di natura e antropizzazione che ha mantenuto finora un equilibrio che corre sul filo del rasoio.
Responsabile della DO Arroz de Valencia, ente nato nel 1998 per proteggere il neonato marchio di garanzia, Santos Ruiz, instancabile divulgatore, ci spiega che la denominazione di origine del riso di Valencia comprende tre varietà: Senia, Bomba e Albufera. «Sono le più adatte all’area di coltivazione e di conseguenza alle ricette tradizionali a base di riso – paella, arroz meloso, ovvero cremoso e arroz caldoso con brodo – perché assorbono al meglio il condimento, senza rilasciare un sapore proprio».
Il Bomba è la varietà più antica: dal grano piccolo e ovale, copre oggi solo il 10% delle coltivazioni, è il meno produttivo e il più caro. C’è chi dice che sia il migliore: Ruiz non è d’accordo. «Il Bomba assorbe meno il condimento, mentre il Senia è più poroso ma tende a sfaldarsi. Una via di mezzo che trovo ideale è l’Albufera, varietà selezionata una decina d’anni fa e che sopporta anche meglio i cambiamenti climatici rispetto al Bomba».
Chef Begoña Rodrigo de La Salita
«Anni fa ho capito che, avendo un ristorante a Valencia, dovevo includere il riso in menu. All’inizio non ero convinta ma quando l’ho studiato mi sono innamorata di questo ingrediente, della cultura che ci sta dietro e ho capito la sua importanza al di là della gastronomia, per il suo contributo all’ecosistema» ci dice Begoña Rodrigo, una stella Michelin e una stella verde nel suo ristorante La Salita dove, tra grandi vasi di aceti e salumi vegetali, fa una cucina di ricerca. Tra i suoi piatti «che incitano alla memoria del gusto» c’è la Sarandonga, un riso cremoso con alghe e merluzzo, riso croccante e all i oli dal collagene del merluzzo. In cucina i chicchi sono trasformati in croccantini di carta di riso, aceto di riso e in un distillato di riso usato anche in un cocktail con i fichi. Noi abbiamo provato un Riso di alofile e nasello allo spiedo che non ci ha fatto venire nostalgia per la paella.
«La scelta del riso non è un dogma di fede», dice Quique da Costa, 3 stelle Michelin a Dènia. E infatti nel menù, Por amor al arte II compare un Carnaroli, ma cresciuto in Albufera. Però poi aggiunge: «Sono figlio della tradizione e della cucina classica, anche se guardo all’innovazione come codice di espressione. La paella è il piatto più importante della cucina spagnola a livello internazionale. Dice molto della cultura valenciana e ne ho il massimo rispetto».
Quique Dacosta prepara una paella alla Festa del racolto di Albufera. Foto di Rodrigo Marquez
La tradizione nel tempo è cambiata: oggi si miete con speciali macchine che avanzano nel fango e si naviga a vista per combattere inquinamento, cuneo salino e soprattutto – come ci racconta Santos Ruiz poche settimane prima dell’arrivo della Dana – l’imprevedibilità del clima, che scompagina i tempi delle pratiche agricole complesse necessarie per coltivarlo e messe a punto secoli fa. «Fare le cose come le facevano tuo padre o tuo nonno non funziona con le regole della natura di oggi, così siamo persi, non sappiamo cosa fare perché non possiamo prevedere il clima che verrà».
Emblema dei tempi presenti è proprio il Bomba, riso simbolo della paella: ogni anno soffre di più, produce meno e per questo è sempre più caro. «Così ci stiamo focalizzando sulle altre varietà», spiega pragmaticamente Ruiz. E l’abbiamo notato tra le padelle che sfrigolavano: i cuochi spesso favoriscono le più veloci e pratiche varietà Senia e Albufera. Così, con buona pace della liturgia dei grani antichi, il riso antico Bomba sta per essere abbandonato per ragioni climatiche, pratiche e gustative. «È probabilmente la varietà più versatile e famosa, ma ultimamente il suo prezzo sta aumentando notevolmente – conferma chef Dacosta – Ha qualcosa di simile al riso coltivato in Italia, e cioè ha il sapore di riso: però nelle ricette spagnole il riso non è un protagonista ma un conduttore del sapore».
L’Albufera, già minacciata dall’inquinamento delle acque, dall’insabbiamento delle paludi e dall’urbanizzazione che avanza, ha subito l’impatto devastante dell’alluvione soprattutto nella parte nord. Un agricoltore su quattro ha perso almeno parte del raccolto. Ruiz però guarda avanti, alla semina di maggio. E spiega come il fango portato dalla Dana nella zona umida abbia rinnovato il terreno con sostanze nutritive che agiscono come un fertilizzante naturale. Così che i prossimi raccolti potrebbero essere addirittura migliori dei precedenti.
Come tutte le zone umide, l’Albufera è un concentrato di biodiversità e una risorsa per le comunità locali. E per gli chef stellati. «La mia vita legata all’Albufera ha a che fare con il riso e con l’apprendimento. Ho sempre la sensazione che dovrei andarci di più, per avere un rapporto più stretto con le persone che ci vivono e che le danno vita» dice Dacosta il cui sogno velencio-hollywoodiano nel cassetto è di trasferirsi prima o poi in una barraca, l’abitazione tradizionale con tetto di canne, con un pezzetto di terreno, a riposare.
«L’Albufera è molto più di una gita in barca e di un bel tramonto, ha una flora e una fauna uniche che si nutrono l’una dell’altra e hanno bisogno l’una dell’altra per sopravvivere. È venendo in Albufera che si capisce realmente cos’è Valencia e chi sono i valenciani. Per questo il mio rapporto con la laguna è di amore e rispetto permanente» conclude Rodrigo.
Chef Quique Dacosta
Ecco alcuni indirizzi per una sintesi dell’esperienza culinaria intorno a Valencia, in particolare un’esperienza che ha come centro l’oasi di Alfufera e il riso, protagonista della storica e super popolare paella.
Dénia
Carrer Rascassa, 1
quiquedacosta.es
A un’ora di auto a sud di Valencia ma vale il viaggio il ristorante di chef Dacosta, oasi di buon gusto, arte e relax in una cittadina nota più che altro perché da qui partono i traghetti per Ibiza. Servizio impeccabile ma caloroso. Il menù del momento, altamente scenografico, si chiama Por amor al arte. Riso con porri grigliati, cetrioli di mare e lavanda.
Valencia
Pere III El Gran 11
anarkiagroup.com
In un edificio storico del quartiere Ruzafa ristrutturato con estrema libertà si viene accolti nel giardino dove il bar propone una drink list di livello, accompagnata da piccoli piatti. L’esperienza continua al primo piano, ma prima si passa per la cucina a vista tra enormi vasi di sottaceti e carrelli di salumi vegetali. Sperimentazione pura ma mai fine a sé stessa. Riso di alofile e nasello allo spiedo
Valencia
calle Isabel de Villena
casa-carmela.com
Sulla spiaggia della Malvarrosa, è un ristorante storico (fondato nel 1922) dove gustare anche la paella di frutti di mare, cotta su fuoco di legna d’arancio.
Valencia
calle de Pascual i Genís, 10 – Ciutat Vella
llisanegra.com
Non la troverete nel suo ristorante gastronomico, ma chef Dacosta propone la paella tradizionale alla fiamma in questo suo più abbordabile locale focalizzato sulle materie prime e i piatti a base di riso nel centro di Valencia.
Benissanó
carrer Verge del Fonament, 37
restauranterioja.es
Vicente Rioja non si limita a cucinare la paella, ma percorre l’intero percorso, dalla coltivazione delle verdure all’allevamento degli animali in questa fattoria fuori Valencia, verso le montagne.
Meliana
Partida La Ermita
barracatonimontoliu.com
La paella cuoce lentamente su legna d’arancio in questo centro di turismo rurale formato dal ristorante, in una tipica barraca valenzana, scuderia, aia e orto, in mezzo alla campagna.
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