Golferenzo ha qualche decina di residenti, il suo centro storico ancor meno. È uno dei Borghi più belli d’Italia: una manciata di case in pietra arroccate sulla collina dell’Oltrepò Pavese, tanto fascino e pochi abitanti (foto in apertura). Qualche anno fa Luigi Brega e Paola Calonghi lanciano il Borgo dei Gatti, un albergo diffuso che occupa le antiche dimore rurali recuperate con un restauro conservativo che ne valorizza i caratteri più autentici.
Riaperti i battenti, le case si animano presto di ospiti che incoraggiano i due a continuare: nel 2020 apre la Corte del Lupo, ristorante che rilegge con spirito contemporaneo i prodotti locali; l’anno dopo è il turno de La Bottega del Lino che riporta un negozio in paese dopo 40 anni; 6 mesi dopo riapre lo storico ristorante pizzeria l’Olmo. «Il relais Borgo dei Gatti è un grande progetto in divenire» dicono. Ma è soprattutto un progetto di rinascita e rispetto che innesta nuove energie nel territorio.
Al Vecchio Convento
Non dissimile da quello di Marisa Raggi e Giani Cameli, che nel ’75 lasciano Milano e vanno a Portico di Romagna in cerca di uno stile di vita diverso, con l’idea di aprire un ristorante e affiancarci qualche stanza fuori dal borgo. Poi trovano una vecchia casa in vendita in centro e decidono di recuperare abitazioni in disuso per destinarle all’ospitalità. Oggi in quel paesino ci sono una ventina di stanze e meno di 300 abitanti stabili, una decina coinvolti nel Vecchio Convento della famiglia Cameli che nel tempo ha acquisito anche Palazzo Portinari (proprio quello della famiglia di Beatrice che ha il suo omonimo super lusso a Firenze) per organizzare meglio la scuola di cucina che è tra le attività più richieste dagli ospiti insieme alle escursioni, alla raccolta del tartufo e ai corsi di italiano per stranieri.
Il ristorante, ricavato dal vecchio granaio e dalle cucine della casa padronale, oggi è in mano al figlio Matteo Cameli (stage al Noma e da Frantzén per una cucina contemporanea di territorio, tutta fermentazioni ed erbe spontanee) e sua moglie Ulla. La Biblioteca dei libri, poi, liberi ha riaperto l’ennesima bottega in disuso.
«È proprio questo lo spirito degli alberghi diffusi», spiega Giancarlo Dall’Ara che questa formula l’ha inventata. Nei primi anni ’80 è un giovane professionista del turismo, quando Leonardo Zanier – singolare figura di poeta-sindacalista – lo chiama in Carnia per cambiare le sorti di quelle terre colpite dal terremoto del ’76: «Quando arrivai trovai case ricostruite ma vuote e una comunità che voleva i turisti». Riaprire le abitazioni significa riportare la vita e creare nuova economia in un territorio che rischia lo spopolamento. «Loro avevano le idee, io l’esperienza», racconta. In breve definiscono il concept di un albergo che si sviluppa in senso orizzontale, occupando diversi edifici a distanza ravvicinata (lo statuto attuale prevede non più di 200 metri tra spazi comuni e unità abitative), in sequenza arrivano le normative regionali. Si crea così il modello di una nuova forma di ospitalità che nasce da una precisa filosofia: quella legata al vivere lento, che oggi qualcuno chiama Jomo – Joy of Missing Out – la gioia di perdersi qualcosa, di uscire dalla frenesia ossessiva della partecipazione, dagli obblighi di una vita sociale che genera stress e perdita di senso nella propria quotidianità. Per certi versi è l’uovo di Colombo: il ritorno allo stile di vita rilassato dei paesini, che intercetta l’esigenza della disconnessione. «È un modello che nasce per i piccoli borghi – spiega Dall’Ara – in cui 4 case vicine possono creare una comunità tra residenti e turisti». Comunità è una delle parole chiave, insieme a prossimità, condivisione, recupero architettonico, culturale, sociale.
Sextantio Le Grotte Della Civita
Negli alberghi diffusi si dà nuova destinazione a edifici già esistenti, riaprendo porte e finestre altrimenti serrate, così facendo si salvano dall’estinzione intere comunità. Niente nuove costruzioni, né singole abitazioni date in affitto breve: «Non l’abbiamo pensato così» dice chiaramente. Il paradigma è quello di quei paesini in cui tutti si conoscono, dove il turista familiarizza velocemente integrandosi nella comunità. Non è un caso se spesso i visitatori preferiscano fare colazione a contatto con gli abitanti, piuttosto che in camera (come nella Colazione Diffusa dell’albergo di Scicli).
Scicli
Le dimensioni minime consentono di interagire con gli abitanti (la presenza di una comunità viva e di un centro abitato sono condizioni inderogabili) intrecciando la vita e la cultura dei luoghi; nonostante i servizi siano quelli dell’hotellerie, infatti, la gestione deve essere espressione della cultura locale. Basti pensare a Sextantio Le Grotte Della Civita a Matera (gemello dell’omonimo di Santo Stefano di Sessanio) che ha valorizzato i Sassi, un tempo “vergogna nazionale” oggi patrimonio Unesco, trasformandoli in suite esclusive, incredibile esempio di salvaguardia del patrimonio storico minore, sempre più attrattivo per il turismo post Covid (come evidenziato da Roberta Garibaldi nel Report del Turismo Enogastronomico). I piccoli centri custodiscono inoltre il 92% dei prodotti certificati.
Montepagano
E questo ha un suo peso: il cibo tipico è una leva fortissima anche se interpretato con creatività, come nel caso di D.One, ristorante diffuso dell’albergo diffuso Montepagano 1137. Una delle oltre 60 strutture aderenti all’Associazione Italiana Alberghi Diffusi, nata nel 2005 su iniziativa di Dall’Ara. Tante però solo le attività che non rientrano nell’associazione, pur ispirandosi agli stessi principi sancendo il successo di un modello che – come si suol dire – vanta innumerevoli tentativi di imitazione.
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