Era il 2016 quando il suo nome di battesimo, Luigi, compariva ricamato sulla giacca da aspirante cuoco nel programma Masterchef. All’epoca di cucina ne capiva poco e niente. Luigi oggi è Gigi Muraro, noto food creator che con la sua parlantina da doppiatore ha attirato la bellezza di 400mila follower. Qual è il segreto del suo successo, ce l’ha raccontato lui.
Com’è nato il suo progetto social food?
In modo un po’ casuale nel 2020. In pieno lockdown ho iniziato a sfruttare le storie Instagram per raccontare e condividere le ricette che facevo a casa da solo e vedevo che c’era un bello scambio con le persone che mi seguivano
C’è stata una videoricetta rivelatrice che le ha fatto capire che queste pubblicazioni potevano essere un punto di svolta?
Sì. Quella dell’avocado toast. Verso l’estate dello stesso anno è venuta un’amica a pranzo. All’epoca TikTok non era così diffuso e la mia intenzione era quella di approfondire lo strumento per conoscerlo meglio. Così abbiamo girato un video super caotico, molto veloce, usando direttamente TikTok. Ho provato a parlarci sopra altrettanto velocemente per provare a spiegare il procedimento a chi vedeva la ricetta.
Una volta postato il video che è successo?
In una settimana il video ha fatto un milione di visualizzazioni, oltre 100mila like e sono passato da zero a 10mila follower. In quel momento ho capito il vero potenziale della piattaforma.
E lì che è nata la parlantina veloce?
Esattamente.
Andiamo dietro le quinte del suo profilo. Ci racconta come avvengono le registrazioni.
Non ci sono molti segreti, faccio tutto da solo. Ho lavorato diversi anni nel mondo della comunicazione social e della produzione video, questo oggi mi aiuta ad avere le idee abbastanza chiare quando creo un mio contenuto.
Quindi camera da presa o similari?
No, faccio tutto con il telefono. Mi sono munito di un paio di luci per ovviare alle giornate uggiose perché i miei video sono molto colorati e luminosi, mi piace farli così.
Insomma, nessun videomaker fantasma ad aiutarla?
All’inizio avevo sempre bisogno che qualcuno mi aiutasse con le riprese tenendo il telefono al posto mio; perciò, invitavo spesso amici a pranzo ricompensandoli con quello che preparavo. Nessuno si è mai tirato indietro eh…
E poi?
La svolta è stata trovare un braccio snodabile che attacco al tavolo e che mi permette di fare varie riprese senza l’aiuto di nessuno, in questo modo posso girare video a qualsiasi ora. Filmo tutto in sequenza, monto il girato dandogli il ritmo che mi piace e poi registro il voiceover in modo che le parole combacino perfettamente alle immagini.
Dove finisce tutto il cibo delle registrazioni?
Nei chili che ho sulla panza (sorride, ndr). Cerco di sprecare il meno possibile, una volta dividevo gli avanzi con chi mi aiutava a girare, ora le porzioni che realizzo sono per massimo per due persone.
Non le capita mai di cucinare grandi quantità?
Se avanza del cibo lo do un po’ alla vicina, un po’ a un’amica che abita vicino a me, a volte lo congelo, quando proprio non riesco purtroppo qualcosa butto via, ma è un tema, quello dello spreco alimentare, che sto approfondendo.
Come si definisce nel suo ruolo?
Un food content creator, un comunicatore del cibo.
Quindi non un cuoco?
No, non mi piace identificarmi come tale.
E nemmeno un influencer?
No, non penso di essere in grado di influenzare le persone, ma sono capace di prendere una cosa semplice come un panino, per dire, e trasformalo in un contenuto interessante, coinvolgente. Non ho la pretesa che chi mi segue si metta a replicare le mie ricette, preferisco che arrivi la mia passione, essere uno stimolo per mettersi ai fornelli e divertirsi.
Possiamo dire che fare il cuoco social sia diventata una nuova professione?
Chi ha competenze in cucina può pensare di fare uno percorso sui social, però penso che essere bravi cuochi non voglia dire allo stesso tempo essere buoni comunicatori, specialmente sul web. Sono due mestieri molto diversi ed è raro trovare qualcuno in grado di fare bene entrambe le cose.
Attualmente questo è dunque il suo impiego principale?
Son arrivato a fare solo questo da quando ho lasciato il mio lavoro verso metà 2022. Erano iniziate ad arrivare alcune collaborazioni e ho deciso di buttarmi e provare a dedicarmi esclusivamente ai miei contenuti. La cosa più difficile è stata trovare un equilibrio in questa nuova forma di libertà.
E com’è stato il cambiamento?
Ero stipendiato da dipendente, lavoravo 10 ore al giorno facendo qualcosa che mi piaceva, ma che in parte era anche un sacrificio. La decisione di lasciare l’ufficio è maturata quando ho capito che sarei potuto diventare padrone del mio tempo. Fare ricerca, esperimenti, andare per mercati, montare un video alle tre di notte, viaggiare, riposarmi un giorno intero se sono stanco; questa tipologia di lavoro è una forma di libertà anche se ti richiede comunque di stare sul pezzo.
Non ha paura che Meta chiuda i rubinetti e lei perda il lavoro?
Nel retro cranio c’è questa preoccupazione, è una possibilità, però non ci penso troppo perché per mia natura sono riuscito sempre a reinventarmi e se sarà necessario lo farò ancora.
La partecipazione a Masterchef è stata lo spunto per dedicarsi alla cucina come prima occupazione?
Cucinavo da un anno quando ho partecipato, non avevo una preparazione per poter lavorare in cucina. L’ho presa più che altro come una sfida personale per capire quale fosse il mio livello e fino a che punto potesse arrivare la mia passione, senza la pretesa di vincere.
E cosa ha capito?
Il programma ti fa sperimentare ritmi e pressioni simili a quelli di una cucina di un ristorante e ti fa rendere conto se hai voglia di vivere quella tensione, io ho capito che non era nelle mie corde e ho cercato una strada diversa.
Niccolò Califano, partecipante della edizione 13 di Masterchef, in una nostra intervista aveva dichiarato che la gavetta non fa per lui, meglio cucinare sui social. Lei la pensa allo stesso modo?
Trovo che fare ristorazione sia di una difficoltà estrema. Non mi ci vedo in un ristorante perché penso sia un lavoro di grande sacrificio, ordine e disciplina, tutte cose che mi appartengono poco. Per me fare il cuoco è un po’ come fare il prete: è una forma di vocazione, si deve sentire una sorta di chiamata. Non avendo esperienza di ristorazione, prima di aprire un ristorante forse dovrei tagliare 500 kg di cipolle e pelarne altrettanti di patate, ma al momento è un percorso che non mi interessa.
E cosa le interessa?
La conoscenza, mi piacerebbe fare esperienze di osservazione nella cucina di un ristorante di alto livello. Mi vedo più come uno storyteller del cibo, essere chef richiede altre caratteristiche e skills che sento di non avere.
Perché lei funziona sui social rispetto ad altri?
Mi aiuta il mio background professionale, il fatto di aver lavorato per anni in agenzia di comunicazione creando strategie social e contenuti per diversi clienti, credo mi abbia aiutato a capire come distinguermi dagli altri senza snaturarmi. Nel mio profilo, poi, c’è una forte attenzione all’aspetto grafico e fotografico, c’è armonia di colori, elementi, anche il modo in cui mi vesto combacia spesso con l’aspetto finale del piatto.
Il merito è stato forse anche di quel voiceover veloce, di cui sopra?
Il discorso della voce è stato casuale, è venuta fuori più per stare dietro al montaggio super veloce, non è stata una cosa pensata anche se mi hanno aiutato gli anni di teatro e recitazione e la mia passione per le imitazioni. Anche questa voce caratteristica, un po’ da cartone animato, credo sia la forza dei miei video.
E poi le parole e i gesti reiterati come il “prendete” e la firma finale con lo schiocco di bocca e dita finale.
Quella è l’unica cosa che ho costruito consapevolmente: mi divertiva e poi ho pensato che potesse essere utile una firma finale per essere riconoscibile.
Qual è il miglior food content creator italiano?
A mani basse i 2men1kitchen.
Per quale motivo?
Hanno una preparazione tecnica che mi ha veramente sconvolto, sono chef, e poi sanno fare intrattenimento. Loro sì riescono a fare bene entrambe le cose.
Qual è la cosa che le dà più fastidio dei food content creator in circolazione?
Lo dico con la consapevolezza di farlo anche io: quelli che si autocelebrano. Trovo sia stucchevole elogiare il proprio piatto dicendo che è il “migliore risotto mai realizzato nella storia”, per dire. Anche il “questo devi assolutamente provarlo” a volte risulta un po’ forzato: se la ricetta è interessante e raccontata bene le persone lo faranno senza che tu glielo dica.
Per chi sogna di cucinare?
Jim Carrey.
Come mai?
Perché è stato il mio idolo da ragazzino, mi travestivo pure da Ace Ventura a Carnevale. Ora è diventato un personaggio piuttosto controverso, un antidivo. Mi piacerebbe troppo preparargli una cena e farmi raccontare la sua visione della vita e dell’universo.
Il cibo più strano che ha mangiato?
È difficile che qualcosa mi sconvolga perché sono un curioso e mangio di tutto, anche i grilli, non mi hanno fatto un effetto strano. Però la carne di squalo mangiata in Islanda, me la ricordo ancora. Non è quella putrefatta di cui tutti parlano, era quasi un sashimi di squalo…devastante.
Ha avuto mai un’esperienza mistica con un cibo?
Sì, l’ultima volta che sono stato a Parigi, in un ristorante messicano molto buono (Tarántula). Ho mangiato un dessert e sono andato in Paradiso, e pensi che io non sono nemmeno tanto amante dei dolci.
Di cosa si trattava?
Era un flan de vainilla, un dolce tipico messicano, con l’aggiunta di rosmarino fritto e caramello.
Dove mangia in giro?
Mi piace esplorare, non sono molto abitudinario, se posso mangio sempre qualcosa di diverso, ho paura di annoiarmi.
Ha un rituale culinario quotidiano?
La colazione è sacra, per me chi non la fa è una bestia di Satana.
E come si svolge questo rituale?
Mi preparo una bevanda depurante prima di tutto: acqua con aceto di mele crudo, oppure un infuso con limone, miele, zenzero, polline, menta e liquirizia. Poi proseguo con una bowl di yogurt (meglio senza lattosio), ci aggiungo la banana tagliata a fette, granola, cocco, semi di chia, e poi un caffè espresso con l’immancabile biscotto con sopra la marmellata di fragoline di bosco e un quadratino di cioccolato fondente.
Come combatte gli hater sui social?
Sono buddista, ma questo non vuol dire che sono pronto a porgere l’altra guancia a qualsiasi commento. Cerco di essere più o meno morbido, mi piace combattere l’odio con l’ironia, sempre se si può. A volte il commento è talmente becero che non si presta nemmeno a una risposta ironica.
Ci faccia un esempio.
Quando mi dicono: “Non sai cucinare”, io rispondo: “ok, parliamone”, ma se mi scrivono: “Devi morire”, solo perché ho fatto un errore, allora bisogna ricalibrare tutto un attimo. Noi italiani ci incazziamo troppo facilmente quando si parla di cucina: basta che uno non rispetti la tradizione del bisnonno che veniva dal borgo disperso sulle colline di chissà dove e scatta subito l’insulto, senza neanche aver assaggiato il piatto oltretutto. Sarebbe bello se ci dessimo tutti una calmata e provassimo a dialogare con rispetto e curiosità, la cultura gastronomica ne beneficerebbe molto.
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