La nuova vita di Vincenzo Mancino e della sua DOL (Di Origine laziale) riparte da una grotta. Una grotta nel cuore di Roma. Sarà la prima grotta urbana di affinamento per formaggi e salumi artigianali del Lazio. Un antro scavato nel Monte dei Cocci a Testaccio che quando ci sei davanti (e noi l'abbiamo trovato solo per caso, facendo una passeggiata distensiva) ti dà l’impressione di entrare nella caverna di Platone o nella fucina di Efesto, con le forme (di pecorini, conciati, guanciali e prosciutti) che passo dopo passo prendono definizione e ammaliano la vista e l’immaginario. Una sorta di iperuranio lattico fatto di forme, appunto, e di profumi: il luogo dove l’idea stessa del cibo umano prende consistenza e si definisce.
A Taste'Accio tra arte, formaggi e guanciali
Può apparire velleitario (e scusate se l’excusatio non è petita) tirar fuori il simbolo stesso della filosofia umana per introdurre un articolo dedicato al cacio. Eppure, giunto a questo bivio della sua vita (personale e professionale) è lo stesso Vincenzo che tira in ballo Platone, Aristotele, Nietzsche. «Questo è il luogo dove per me si incontrano etica ed estetica – sorride lui che incontriamo a pochi giorni dall’apertura del nuovo spazio, Taste’accio – Qui opere d’artista incontrano altre opere d’arte: formaggi d’autore, preziosa testimonianza dell’operosità e dell’abilità tecnica (del saper fare) dell’uomo, incontrano creazioni di artisti che da quella sapienza tecnica, manuale e artigianale partono per creare oggetti che non servono a nulla, se non a nutrire l’intelletto, lo spirito, l’immaginazione. Entrambe queste due espressioni della capacità umana partono dall’etica – ovvero dalla soddisfazione legata alla capacità del fare al meglio quello per cui si è vocati – e diventano bellezza, arte: fusione tra etica ed estetica che rende felici gli occhi e lo spirito».
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Lasciando da parte le riflessioni filosofiche di un commerciante, ristoratore e affinatore di formaggi (anche se Vincenzo – ma lo racconteremo – è molto di più!), non c’è dubbio che questo nuovo tempio dedicato al cibo della Roma originaria – quella di Romolo e Remo, per capirci, quando nell’agro romano si pascolavano capre e pecore e di quello si campava – sia un luogo davvero “sacro”, dedicato a quella cultura materiale millenaria su cui la Capitale si è costruita e che ci riconnette alle radici del nostro essere animali (pur se sapiens sapiens).
La forza e il senso dell'affinamento dei formaggi
L’incontro con Vincenzo ci mette subito davanti all’esempio concreto di cosa in pratica significhi unire estetica ed etica e di quale sia il possibile godimento dei sensi che ci potrebbe spingere a varcare la soglia della Caverna. L’esempio è una semplice caciotta di vacca («Ma non chiamarla così, è un termine che odio», mette le mani avanti l’ideatore di DOL). Si tratta di un formaggio realizzato nell’Agro Pontino da una piccola azienda familiare di allevatori che produce formaggi freschi da latte di mucche al pascolo almeno per il 70% e per il resto nutrite a fieno aziendale. Questo cacio – realizzato ad hoc per Mancino – è stato messo nella grotta di Testaccio all’inizio dell’estate, quando fuori si cominciavano a superare i 30° e dentro la temperatura si attestava costante sui 12°. In questi (per altro pochi) mesi di affinamento, alcune forme hanno preso un po’ di erborinatura, altre si sono comunque evolute grazie alla microflora batterica, alle muffe che questo antro nel Monte dei Cocci mantiene in vita.
Così, quel formaggio che appena fatto non aveva particolari doti e non suscitava emozioni forti, è diventato un prodotto di tutto rispetto per chi abbia un palato desideroso di esperienze vibranti. Altro che caciotta! «Ecco, sì – dice Vincenzo – è un esempio in cui l’etica ovvero il saper fare, riesce ad evolvere in arte, ovvero in una dimensione estetica che tende al bello». E in questo caso al buono. «Era già buono – ci tiene a precisare – ma così ha acquistato forza e senso grazie sia alle capacità antiche dei produttori, degli allevatori, che tengono in vita un saper fare che affonda nei secoli, tutelando e presidiando contemporaneamente il territorio, sia alle capacità di chi ha le competenze tecniche dell’affinamento: non a caso i cugini francesi chiamano gli affinatori "elever”. Il tutto rispettando il senso del “giusto”: ovvero animali allevati nel benessere, sensibilità ambientale, sostenibilità e rispetto del lavoro umano. In sostanza, è esattamente una sintesi della mia visione del mondo, del lavoro e della vita».
Le opere d'arte in mezzo a cocci, caci e guanciali
Mentre filosofeggiamo circondati da enormi forme di Pecorino Romano del caseificio Deroma di Torrita Tiberina e da guanciali che superano i 2 chili (basta pensare, per avere l’idea di cosa significa questo, che i guanciali da suini importati dall’estero non pesano più di 800 grammi) Vincenzo prende in mano un’opera in terracotta di Riccardo Monachesi (è lui il primo ceramista a inaugurare il cartellone espositivo del nuovo Taste’Accio e di cui la Galleria di Arte Moderna di Roma ha acquisito 20 ceramiche realizzate a quattro mani con Elisa Montessori, ospitate nel Museo Boncompagni Ludovisi) e riflette: «Vedi questa cosa, non serve a nulla. Eppure è bellissima, ha un potere evocativo molto forte. È figlia di una sapienza e di una manualità che mantengono vive le capacità dell’uomo, le sue potenzialità, costruite nel corso di millenni. In questo si lega ai formaggi che vedi qui. Insieme nutrono corpo e mente. Se ci pensi, all’uomo non servirebbe neanche creare formaggi o salumi – sorride il patron di Dol – così come per vivere o per praticare un culto basterebbero quattro mura e un tetto; invece godiamo della bellezza dell’opera degli architetti; pensa alle misure auree dei templi delle cattedrali, a Gaudì o alle lunghissime arcate sospese di Nervi con le sue casseformi, pensa a Borromini e a tutte le competenze ancestrali di chi compartecipava alla costruzione: maniscalchi, cavatori, falegnami, decoratori, boscaioli… che meraviglia!! Per abitare e sopravvivere ci sarebbe bisogno di molto meno. Eppure lo facciamo: ecco il contatto tra arte e artigianato, tra bello e buono, tra estetica e giustizia».
Se (e perché) una caciotta può parlare di filosofia
Torna ancora la filosofia. Siamo qui intorno a una caciotta affinata in grotta e ci lambicchiamo il cervello con i massimi sistemi. Eppure è proprio questo il senso del nuovo progetto testaccino di Mancino: «Certo, oggi posso dire aver raggiunto una mia stabilità che mi permette una cosa così bella – sorride – Ma anche quando vent’anni fa ho aperto la Biosteria Saltatempo (anche lì il nome era tutto un programma) a Centocelle dove lavoravo come cuoco erano le stesse idee a muovermi. Lavorare serve sicuramente per vivere, ma non mi interessa di vivere a chissà quali livelli.
Certo, per essere sostenibile e non morire, l’impresa deve avere un guadagno, deve dare reddito a chi ci lavora. Ma non è la massimizzazione del profitto a guidare la mia attività. Se pensassi solo all’utile, o dovessi accettare compromessi che vanno oltre il mio pensiero, avrei riempito questo antro di formaggi e salumi da due lire, ci avrei portato i torpedoni di turisti che bazzicano il vicino mercato e avrei fatto i soldi, anche tanti. Non mi sarei certo messo a selezionare i migliori formaggi e i migliori salumi del Lazio e solo del Lazio».
Sì, perché DOL resta la prima (e ancora unica) azienda che seleziona e distribuisce esclusivamente prodotti artigianali e di piccole aziende agricole e di trasformazione del Lazio. «Queste idee – spiega ancora Vincenzo – sono le stesse per cui posso portare qui una mostra di arte». Perché qui e non in una galleria? «Perché qui l’utile, il reddito, è il nostro lavoro a procurarlo. In galleria, invece, il gallerista o espone artisti già affermati o punta a farli affermare sul mercato per avere lui stesso il massimo di utile ed è anche giusto che sia così. Qui l’artista espone, senza nessun condizionamento e nessun prezzo né pegno da pagare, questo scambio spazio-arte a me permette di lavorare tutti i giorni in un posto bello e che cambia pelle».
Taste'Accio: si compra, si assaggia, si apprende
Lasciando un po’ sullo sfondo le elucubrazioni e tornando a bomba sulle passioni da appassionati del cibo, la domanda è: ma cosa si fa in questo tempio del cacio romano? Beh, innanzitutto, si può entrare e fare un giro: cosa che vale di per sé la pena. Poi, si possono acquistare i formaggi e i salumi scegliendoli dalle palanche di legno su cui affinano.
Si possono anche acquistare diverse etichette di vino – anche loro artigianali e preferibilmente da piccoli produttori del Lazio con piccoli sconfinamenti nei territori limitrofi. E – questo è il punto più goloso – si possono acquistare formaggi, salumi, pane e vino e gustarli seduti nei due lunghi tavoli sociali, guardando le ceramiche esposte, magari toccandole, e godendosi la parete a vista del Monte dei Cocci: il fresco è garantito dallo scambio termico del locale con la montagna di anfore e vasellame rotti su cui Testaccio è cresciuto nei millenni.
«Ci sono solo tavoli sociali che io ho sempre odiato – sorride Mancino – Vogliono essere il mio personale contributo al contrasto dell’individualismo e solipsismo della reclusione cui questo mondo ci sta abituando, a partire dalle monoporzioni confezionate in vendita nei supermercati da cui non riesci neppure a capire quale fosse la forma del cibo che stai mangiando, fino alla comunicazione spesso non verbale e veicolata esclusivamente attraverso mezzi tecnologici. Qui, se vuoi socializzi, altrimenti stai per conto tuo, ma sempre con la possibilità di avere un rapporto con i commensali. E poi sei a contatto diretto con ciò che stai mangiando: vedi le forme, ascolti le storie di chi li ha curati tutti i giorni, ti avvicini a quel saper fare verso cui io ho preso l’impegno assoluto, con me stesso e col mondo in cui vivo, di contrastare l’oblio».
Un tempio della cultura materiale millenaria di Roma
Tornano le forme e il saper fare, etica ed estetica. Lasciamo i formaggi ad evolvere dopo essere stati lavorati a regola d’arte sotto l’effetto di muffe e del microclima della grotta che ne cambiano sapore, profumo e anche forma. E lasciamo le ceramiche di Monachesi che lui ha plasmato con tornio e mani e che poi ha affidato all’azione caustica e ossidativa del fuoco che ne cambierà per sempre colore, forma, texture. Lasciamo anche le prime foto (esposte) dei cocci di testaccio realizzate da Valentina Bellomo che a breve terrà qui una sua personale mostra fotografica e lasciamo le opere realizzate con materiali di recupero dall'Associazione RiscArti di Marlene Scalise.
Vincenzo si avvicina alla più grande delle 4 sfere di ferro cromato frutto del lavoro di un fabbro per il set di una trasmissione televisiva e che lui ha voluto regalarsi a tutti i costi, getta un panno per terra e comincia a farla rotare per capovolgerla. «Vedi, è stata costruita assemblando lastre di ferro fino ad avere la curvatura perfetta. Immagina che lavoro – spiega, mentre si svelano all’interno i calcoli scritti a pennarello con cui il fabbro ha calcolato misure, curve e proporzioni prima di procedere – Oggi le fanno anche gonfiabili. Ma credi che farebbero lo stesso effetto materico, che darebbero le stesse emozioni? Guardala! Toccala!». La risposta la darete voi, se decidete di fare un giro a Taste’Accio. La nostra, di risposta, è che siamo comunque dentro a un viaggio nella materia e nella matericità, nella concretezza della cultura materiale che guida l’immaginazione, vera arma di sopravvivenza di noi poveri sapiens.
Taste'Accio - Roma - via di Monte Testaccio, 93 - dioriginelaziale.it
PS. Dimenticavamo: quando apre? Nei primi giorni di ottobre. tenetevi pronti...
foto di Andrea di Lorenzo