Che Roma stia vivendo un rinascimento gastronomico non lo scopriamo certo ora. Del resto la capitale dovrebbe avere un ruolo naturalmente dominante nel panorama culinario di un Paese e l’anomalia è stata piuttosto che negli ultimi anni la Città Eterna ha spesso abdicato a questa mansione, lasciando il red carpet all’elettrica contemporaneità di Milano, spesso più di facciata che di sostanza. E accontentandosi di esportare la sua cucina (o meglio quei quattro-cinque piatti in cui chiunque riassumerebbe la cucina romana) in giro per il mondo, salvo indignarsi poi per le interpretazioni poco ortodosse di alcuni totem intoccabili, Carbonara in primis.
Poche scelte scontate
Ora invece Roma è tornata a giocarsi alla pari il derby con Milano e una prova molto indiretta ma assai eloquente è la guida pubblicata qualche giorno fa da Eater, uno dei più importanti siti mondiali di gastronomia, che ha iniziato l’anno indicando ai suoi lettori i “38 ristoranti essenziali di Roma”.
La lista, redatta da Katie Parla, una autrice di libri di cucina e guida che vive da anni a Roma (ma è originaria del New Jersey), rappresenta un interessante spaccato della scena gastronomica capitolina, che solo a tratti cede all’oleografia che ci si aspetterebbe in un articolo del genere. Certo, tra i 38 indirizzi suggeriti (molti dei quali ristoranti poi non sono), figurano alcune scelte old style (Armando al Pantheon, Tempio di Iside, Tavernaccia da Bruno, Colline Emiliane, Cesare al Pellegrino) e altri posti di qualità ma piuttosto scontati (Trapizzino, Bonci, Cesare al Casaletto, Supplizio, Roscioli, il Forno di Campo de’ Fiori, Piatto Romano, il mercato di Testaccio), e certo c’è tanto Trastevere e tanto Testaccio (ma mica si potrà pretendere che un turista affronti la brumosa quanto vasta periferia?) ma colpisce la quantità di insegne caldeggiate che rappresentano al meglio la Roma moderna e talora perfino alternativa, quella che più amiamo.
Innovazione perfino esotismo
Ecco così comparire nella lista Orma Roma, il nuovo ristorante di Roy Caceres, di cui l’autrice loda la capacità di mixare “le tradizioni gastronomiche colombiane con gli ingredienti italiani”. Ecco Giano Restaurant, il nuovo locale romano di Ciccio Sultano con la sua sicilianità finalmente affrancata da certo “lamantismo”. Ecco la bistronomia intelligente e saporosa di Mazzo di Francesca Barreca e Marco Baccanelli (molto apprezzata la Trippa alla romana), di Menabò Vino e Cucina, che spinge a Centocelle una certa idea di cucina tradizionale ripensata e abbinata ai vini naturali, della mai troppo lodata Sarah Cicolini di Santo Palato, della cucina di mercato di Trecca, di cui è citato anche lo spin off Circoletto, una fraschetta di nuova generazione.
Piace anche lo spazio riservato ad alcune insegne che un tempo si sarebbero dette “etniche” (ricordate?), come la Sinosteria di Ge Jing Hua, l’eritreo Enqutatash nella “esotica” Villa Gordiani e Tianci Chongqing Farm Hot Pot, a cui è affidato il compito di riscattare Roma dal destino di città depiccantizzata (“perfino il pepe nero è considerato troppo spicy”, nota l’autrice).
Botteghe per lo shopping goloso
Poi ci sono un po’ di botteghe: la gelateria Otaleg, la pasticceria Regoli coi suoi maritozzi, Beppe e i suoi Formaggi, l’ex “roscioliano” Pasquale Borriello con la sua Forme Dispensa a Ripa, il pane di Tricticum Micropanificio Agricolo. Quanto ai bar, si va da quelli da colazione (Love Specialty Croissant, Casa Manfredi) a quelli da sera (un po’ scontati il trasteverino Ma Che Siete Venuti a Fa’ e lo speakeasy Jerry Thomas, meno Latta Fermenti e Miscele) oltre al wine bar Latteria Trastevere. Infine un po’ di Ghetto, che la cucina cittadina più antica, non lo dimentichiamo, è di base giudaico-romanesca. Ecco quindi l’osteria kosher Casalino e la pasticceria Boccione con l’ostica pizza ebraica e la abbracciante crostata alle visciole. In lista una sola pizzeria (I Quintili a Furio Camillo), poi i primi di C’è Pasta e Pasta. Dovunque la Parla suggerisce di armarsi di pazienza nella prenotazione e di godere dell'empatia che potrebbe compensare certe sgrammaticature nel servizio, ma alla fine ne esce lo spaccato di una città viva e varia, e se c’è qualche cliché, alla fine è inevitabile. Roma è anche la cartolina di sé stessa, almeno per gli americani.