È nel cuore delle Langhe, all'Osteria Arborina di La Morra (CN) terra di grandi cru del Barolo, che uno dei giovani chef più interessanti del momento, il napoletano Fernando Tommaso Forino, ha intrapreso un progetto affascinante. Il suo menu degustazione in 7 portate, da sempre intitolato Distanze che s'incontrano, col tempo si è arricchito di nuovo significato. Ecco il sottotitolo: Gli anni Ottanta oggi. Un'immersione (affascinante e spiazzante) in una cucina un tempo celeberrima che oggi è ritenuta per lo più famigerata, composta da piatti come il cocktail di gamberi e le penne alla vodka, i ravioli alle tre p (panna, piselli e prosciutto) e da una chiusura in gloria con il mitico (e vintage) carrello dei dolci. Un viaggio a ritroso nel tempo, che viene compiuto con tecniche e sensibilità contemporanee, oltre che con uno spirito ludico e scanzonato.
Che cosa resta degli anni Ottanta
Era il 1989 quando il cantautore Raffaele Riefoli, in arte Raf, presentò al Festival di Sanremo il suo brano icastico - giunto solo quindicesimo e che pure diventò un importante successo commerciale - Cosa resterà di questi anni ottanta?. Quell'interrogativo offre lo spunto per tentare di delimitare i contorni, anche culturali, di una cucina a noi oggi lontanissima. E del resto è questo l'intento dichiarato di chef Forino, nonostante la sua età (è nato "solo" nel 1990): «Riportare alla luce quei piatti apparentemente semplici che hanno avuto successo negli anni Ottanta, come gli gnocchi alla romana o la banana split, e che sono stati poi denigrati se non del tutto abbandonati. Noi cuochi del cosiddetto fine dining abbiamo più responsabilità e dovremmo cioè avere una maggior consapevolezza e conoscenza per farci carico di una svolta che oggi dovrebbe difendere alcuni ingredienti finiti nel dimenticatoio».
All'ombra dei giganti
Correva l'anno 1980 e un maestro del calibro di Fulvio Pierangelini dava alla luce un piatto etereo ed emozionante nella sua (apparente) semplicità come la Passatina di ceci e gamberi rossi. L'anno seguente, invece, il più grande cuoco italiano, Gualtiero Marchesi, firmò l'iconico Riso, oro e zafferano che lo ha consacrato, nel 1985, nel firmamento Michelin. Una portata con la quale il padre della nuova cucina italiana riuniva insieme conoscenza approfondita della materia prima, grande tecnica e perfezione estetica. Erano i vertici assoluti della cucina, tutt'altra cosa rispetto alla gastronomia anni Ottanta dell'aspic e delle pennette alla vodka. Insomma, da una parte l'empireo, dall'altra quello che oggi in molti considerano l'oltretomba gastronomico.
L'oltretomba gastronomico
È in quell'oltretomba che s'aggirano come anime in pena, incapaci di trovare pace e riposo, ingredienti un tempo feticcio. Parliamo della panna, reginetta delle feste e oggi considerata tra gli ospiti più sgraditi di ogni banchetto, ma a cui Fernando Forino dedica ammirevoli e amorevoli attenzioni lungo tutto il menu. E con lei, la vodka e la noce moscata, quest'ultima d'obbligo un tempo in ogni besciamella che si rispettasse, e oggi spesso sostituita - «ma non è più la stessa cosa», puntualizza chef Fernando - dalla fava tonka. Assolutamente out lo strutto (indispensabile però per la sfogliatella riccia in cui lo chef racchiude il ripieno di semolino salato da cui emerge, come per magia, il ricordo gustativo di uno gnocco alla romana).
C'è poi una presenza che continua ad essere ancora oggi abbastanza imbarazzante: la maionese. Eppure, è un ingrediente simbolo di quella stagione, in cui i nostri simili si lasciarono alle spalle i plumbei anni Settanta per celebrare una gioia di vivere disincantata e sopra le righe. Anche con la maionese. Oggi è tutto diverso: in campo gastronomico celebriamo la stagionalità, l'enfasi sulle materie prime, a partire dai cibi di prossimità e della nostra regione. Abbiamo imparato che il sapore deriva dagli ingredienti e non solo dalle preparazioni, e che il pantheon dei nostri valori in cucina si ispira alla semplicità, al minimalismo, alla purezza, alla freschezza e alla salubrità.
L'eccesso come gioia di vivere
Sempre in quei famosi anni c'era il delirante risotto panna, fragole e champagne, che all'Osteria Arborina dà lo spunto per una variazione sulla portata principale di carne, l'Agnello, panna, fragole e champagne: «Se vado a sfumare il risotto con lo champagne non è che a fine cottura, a parte una nota acida, rimarrà qualcosa del celeberrimo e costoso spumante. Questo piatto, come altri del tempo, serviva piuttosto ad esibire uno status sociale».
Le parole d'ordine di allora, all'opposto degli imperativi in voga oggi, erano eccesso, opulenza, sfarzo, prodotti costosi quali simboli di ritrovata fiducia oltre che di affermazione sociale. Nel nascente mondo dei cinepanettoni, emanazione di quella tv commerciale che diventava sempre più importante, tutto era un trionfo di pellicce e frutta esotica: da consumare rigorosamente, quest'ultima, in montagna, meglio se a Cortina (e che all'Osteria Arborina troveremo citata in una Torta mimosa all'ananas).
Una cucina esuberante e confortevole
Se questo è lo scenario del tempo, diventa lecito domandarsi perché mai qualcuno - in questo caso un bravo chef - dovrebbe riportare in vita la cucina anni Ottanta, impiegando preziose energie per tentare di dargli un'altra chance. La risposta è contenuta nella cucina stessa di Forino che si presenta come una sorta di prisma: le suggestioni di quel tempo perduto riemergono attraverso le sue mani, sensibili e sapienti, con piatti moderni che conservano una carica di esuberante e confortevole piacevolezza, che troppo spesso oggi viene sacrificata sull'altare dell'alta cucina e che senza dubbio, pare dirci lo chef con il suo lavoro, merita di venire recuperata.
L'Osteria Arborina con Fernando Tommaso Forino è diventata uno dei bastioni italiani della cucina No Waste, a zero sprechi. E su tale indiscutibile premessa è nata - a mille anni luce di distanza dall'originale - la variazione delle penne alla vodka qui divenute Triglia alla Vodka. «Le penne ci sono ma noi le prepariamo con il cuore bianco delle zucchine, quello che viene solitamente eliminato e che invece noi lo teniamo. La triglia che viene arrostita viene accompagnata con la salsa alla vodka».
Mission impossible: l'elogio della panna
In questa cucina assai moderna, dove la panna utilizzata è solo vegetale, così come il burro e il latte sono scelti tra quelli senza lattosio, l'opera di recupero di questi ingredienti avviene su basi solidissime: quelle che hanno portato un giorno lo chef napoletano a formarsi nelle cucine di giganti della gastronomia francese contemporanea come Michel Bras e Ann-Sophie Pic (ma anche, per citarne solo alcuni tra gli italiani, di Nino Di Costanzo o di Riccardo Camanini). Precisa lo chef: «Proprio nelle cucine francesi così sofisticate, che pongono un'enfasi importante sulla parte vegetale, la panna è presente nei condimenti. E perché mai le creme terminano sempre con l'aggiunta della panna? Perché ne ricavano una rotondità, di cui negli anni Ottanta si sentiva il bisogno e che era sinonimo di calore e che non diventa, però, necessariamente stucchevole: il significato della vodka, che pure a mio giudizio insieme al caviale con la sua sapidità è ingrediente che merita di essere recuperato, è di donare appunto nel finale una preziosa spinta amara. Certo la panna un tempo veniva utilizzata male anche per coprire i difetti, quando invece viene impiegata per amplificare il gusto, rappresenta una scelta vincente».
Una faraona al pepe verde
Il filetto al pepe verde assume le vesti, qui, di una Faraona al pepe verde: quel piatto diretto, simbolo del comfort food, così difficile da trovare oggi anche nelle trattorie, riceve un trattamento sapiente a partire dal volatile cotto al vapore e quindi glassato con la sua salsa che viene sempre completata con la panna così da esaltarne il sapore, ma senza l'impiego dei grani di pepe verde in salamoia perché a completare il piatto ci penserà piuttosto un'insalata di santoreggia e di pepe d'acqua che dona profondità e insieme freschezza al palato.
Anche il Pesce al sale servito con alcuni ingredienti simbolo degli anni Ottanta, come il tartufo e il caviale (ma adagiato sui friggitelli), acquisisce una morbida e avvolgente eleganza grazie alla salsa Périgueux preparata con panna e cognac. Diverte e ingolosisce anche il (falso) riso, di cui lo chef napoletano è da sempre ottimo interprete, che diventa protagonista di un gioco di travestimenti al cui centro ritroveremo i sapori del mitologico cocktail di gamberi (e che verrà servito nell'originale coppa).
I piatti pensati e proposti da Forino e dai suoi sei ragazzi che compongono la brigata di cucina (e di cui ricorderemo almeno il sous-chef Marco Pandolfi, la pasticcera Giulia Bucci, affiancati dal sommelier Marco Guazzo e della chef de rang Imma Scarpati) stanno tutti in piedi da soli, senza bisogno di alcun sostegno da parte dei loro illustri o negletti predecessori. Grazie a quelle suggestioni di un tempo, però, se non ce la faremo comunque a riconciliarci con una cucina troppo lontana dalle nostre ansie attuali, nondimeno non dimenticheremo che il piacere della buona cucina è oggi come allora - e probabilmente lo sarà sempre - l'ingrediente indispensabile e irrinunciabile di ogni esperienza a tavola.