L'anteprima della sala Nobel presso Anteo Palazzo del Cinema prometteva qualcosa di inedito: unire la visione dei migliori film a una proposta culinaria d’eccellenza, il connubio ideale per chi cerca un'esperienza multisensoriale. L’idea di poter gustare un pranzo, un aperitivo o una cena mentre sullo schermo scorrono le immagini di film accuratamente selezionati è, di per sé, accattivante. Ma, come spesso accade con i binomi inediti, anche questa esperienza rivela qualche ombra oltre alle luci. Non si può negare che l’organizzazione e l’attenzione ai dettagli - curati della brigata dello chef Vincenzo Artadi Carbajal - siano state impeccabili. Il servizio è studiato nei minimi particolari: i camerieri si muovono quasi invisibili e piatti sono stati pensati per non interferire con l’esperienza cinematografica. Le consistenze sono morbide e delicate, prive di quei rumori che potrebbero disturbare la visione di un film. È una sorta di coreografia intangibile, dove ogni elemento è calibrato per non interrompere il flusso dell’immersione nel film. Ma è proprio in questa coreografia perfetta che emerge un'incrinatura sottile che riguarda la natura stessa delle due esperienze che si tenta di far convivere.
L'intimità del cinema
Il cinema, da sempre, è un rito che esige un completo abbandono. La sala buia, l'audio avvolgente, la concentrazione sulle immagini che scorrono davanti ai nostri occhi, creano un’atmosfera che isola lo spettatore dal mondo esterno, permettendogli di immergersi completamente nella narrazione. È un’esperienza che vive di intimità, un rapporto unico tra lo spettatore e il film, in cui ogni elemento esterno, per quanto minimo, rischia di rompere quella bolla sospesa che si crea tra lo schermo e la mente di chi guarda.
L’introduzione del cibo in questo contesto, per quanto ben studiata, altera inevitabilmente questo delicato equilibrio. Mangiare richiede un’interazione fisica e sensoriale che, inevitabilmente, sottrae attenzione alla trama del film. Anche il più discreto dei piatti implica un'interruzione, un momento in cui lo spettatore deve spostare la propria attenzione dal film al cibo, rompendo l’incanto che solo il cinema è in grado di creare. L’esperienza cinematografica si frammenta.
Ma c’è un altro aspetto altrettanto importante: la convivialità della cena. Un rituale che vuole il suo tempo, attenzione e, soprattutto, condivisione; un’occasione di scambio. In sala, però, questa dimensione conviviale è necessariamente sacrificata. Il silenzio imposto dalla visione del film impedisce lo scambio verbale - come avrei voluto commentare quel delizioso flan al cioccolato - e così anche il piacere della conversazione, che è una parte fondamentale di ogni cena, viene meno. Ci si ritrova così a vivere due esperienze in parallelo, nessuna delle quali riesce a esprimere appieno il proprio potenziale.
Pur riconoscendo la straordinaria cura con cui è stata progettata questa esperienza, ho passato il resto della serata a chiedermi cosa avrebbero potuto fare per renderla più piacevole: la scelta di un film diverso? Una sala più grande? Una più piccola? Abbinare i piatti alla pellicola proiettata? Ma forse, alla fine, la vera sfida non sta nel trovare il perfetto equilibrio tra cinema e cibo, ma nel saper riconoscere quando è il momento di godersi un buon film e quando è il momento di assaporare una grande cena. Due piaceri diversi, che possono coesistere in una stessa serata, ma che devono rimanere, almeno per me, separati.