I social possono aiutare un ristorante a crescere o, viceversa, possono distruggerlo, anche economicamente. E persone incluse. È successo probabilmente a Giovanna Pedretti, prima osannata e incensata su tutti i giornali, poi messa alla gogna per quel post dell'11 gennaio in cui replicava a una recensione contro gay e disabili. Per il food blogger Lorenzo Biagiarelli e la giornalista (e sua compagna) Selvaggia Lucarelli la recensione era falsa. Lo shitstorm ha fatto il resto. La titolare della pizzeria Le Vignole non c'è più. Una storia tremenda che ne ricorda altre, fortunatamente senza un tragico epilogo ma non prive di difficoltà. Come quella di Ida Gennaro che quest'estate è stata ricoperta di minacce e insulti per uno scontrino lievitato, o quella dei proprietari di Brado a Roma, coinvolti loro malgrado in un caso di cronaca - il femminicidio di Martina Scialdone - e vittime di una shitstorm in seguito alla pubblicazione di notizie false da parte dei maggiori quotidiani italiani.
Abbiamo chiesto a Christian Catania – che ha aperto Brado nel 2018 insieme ai fratelli Mirko e Manuel – come si esce da una situazione del genere (qui la guida di un esperto), che oltre a essere psicologicamente impattante ha anche delle serie conseguenze economiche.
Come si crea una gogna mediatica
Brado a Roma è conosciuto per proporre selvaggina e carni "brade", cioè da animali cresciuti in semilibertà; i tre fratelli Christian, Mirko e Manuel Catania sono appassionati di cacciagione e hanno aperto questo ristorante nel 2018 con l'idea di approntare l'offerta che avrebbero voluto trovare/provare loro. Una storia come tante (anche più virtuosa di tante) che un giorno è stata travolta da una gogna mediatica senza precedenti. Riassumendo il 13 gennaio 2023 Martina Scialdone viene uccisa dall’ex (secondo femminicidio dell'anno su 103 femminicidi in Italia nel 2023) di fronte al ristorante Brado, dove i due si erano dati appuntamento per la cena. Il giorno dopo molte testate giornalistiche escono con la notizia che riporta quanto sarebbe avvenuto all'interno del ristorante, ovvero che Martina Scialdone si sarebbe chiusa in bagno e che uno dei titolari avrebbe utilizzato un secondo mazzo di chiavi per aprire la porta e farla uscire dal locale. Tutto falso.
«Dopo un anno il cervello tende a rimuovere l'evento tragico e drammatico – ci spiega Christian – ma una cosa è certa: sono tutte notizie false e abbiamo querelato gli organi di informazione che hanno diffuso la fake news nata da dichiarazioni rilasciate da individui che la mattina seguente il femminicidio si trovavano di fronte Brado, ma che la sera dell'omicidio non erano all'interno del locale. La storia della doppia chiave, del bagno aperto, dell'allontanamento... sono tutte notizie inventate. Nessuno ha aperto nessuna porta del bagno, i due erano nell'antibagno presi in una discussione accesa, così è intervenuto mio fratello per calmarli e la questione è finita lì, sono usciti dal bagno e se ne sono andati. Noi, per eccesso di zelo, abbiamo chiamato comunque le forze dell'ordine, ma loro erano già usciti dal locale, non senza che domandassimo a Martina (che era nostra cliente abituale) se fosse tutto ok».
Come ci si tutela dalle minacce di morte sui social
A seguito della diffusione di queste notizie inventate il locale è stato inondato di recensioni negative su TripAdvisor e Google e, cosa assai peggiore, di minacce di morte sui social. «Le recensioni negative le abbiamo segnalate e sono state tolte, non tempestivamente c'è da dire. Ma per quanto riguarda le minacce di morte sui social non avevamo grandi strumenti per reagire, se non farci seguire da un avvocato per gestire la diffamazione, sia da parte delle testate giornalistiche sia – cosa più difficile – da parte di utenti virtuali». In Italia i social sono ancora una zona grigia per cui si può dire quel che si vuole spesso senza conseguenze reali.
Il danno (collaterale) economico
«All'epoca nonostante avessimo la coscienza super pulita non potevamo proferire parola per via del segreto d'indagine, potete immaginare il dispiacere di svegliarsi ogni mattina e leggere migliaia di commenti sprezzanti sul nostro conto, senza avere diritto di replica. Poi fortunatamente la cosa è andata scemando. Tanti amici ristoratori ci sono stati vicino, così come i nostri clienti e le persone che ci conoscono anche solo un pochino e che non hanno mai dubitato del nostro operato. Ma per noi sono stati mesi infernali. Immaginate: tu non hai colpe e a causa di questa bufera oltre alle conseguenze psicologiche perdi pure due settimane di lavoro. Ché ricordiamolo, la nostra responsabilità non è quella di fare il vigilante ma di garantire lo stipendio a tutto lo staff, nonostante le due settimane di chiusura non abbiamo tolto un solo giorno di ferie», sottolinea Christian.
«Quando ti capitano queste cose è terrificante, non lo auguro a nessuno». Un auspicio che chi è tenuto a fare debunking dovrebbe tenere a mente, nel bene e nel male. Da qui una domanda: è sempre giusto ricercare la verità – è l'assunto dal quale partono Biagiarelli e la compagna Selvaggia Lucarelli – o a volte la ricerca della verità dovrebbe passare in secondo piano se non aggiunge nulla alla discussione?