Il riso saltato con i suoi cubetti di prosciutto, piselli e uova – che ha conquistato il palato italiano ormai da decenni – potrebbe essere una fregatura. Certo, è un classico da menu cinese, immancabile e familiare, tanto da farci credere di aver imparato un po’ della cultura gastronomica cinese. Eppure, dietro questa versione ormai quasi italiana del riso fritto, si nasconde una storia di adattamento, reinterpretazione e… un malinteso geografico. Il vero riso alla cantonese che pensiamo di conoscere ha in realtà radici ben lontane da Canton, poiché nasce da tutt’altra tradizione: quella del riso Wenzhou, che prende il nome dalla città asiatica nella provincia dello Zhejiang, con circa 9 milioni di abitanti.
Un “nonno” dimenticato ma ancora attuale
Nella cucina cinese, la città di Wenzhou, situata nella provincia dello Zhejiang, è famosa per un tipo di riso fritto che sfida i gusti europei per la complessità e la ricchezza di sapori. La ricetta tradizionale prevede un insieme di ingredienti che includono carne di maiale marinata e lasciata essiccare al sole, funghi shiitake e cipollotto, con il tutto saltato nel wok insieme a uova e verza dal gusto intenso. A differenza del riso alla cantonese, qui ogni elemento è preparato con tecniche che richiedono tempo e pazienza, come la marinatura della carne con spezie e salsa di soia, che arricchiscono di sapore e di profumi questo piatto. In Cina, il riso fritto è un piatto di recupero, nato per riutilizzare il riso avanzato e ridargli vita nel wok con un salto rapido e ingredienti che variano a seconda delle disponibilità.
L’approdo in Italia e la metamorfosi del gusto
Con l’arrivo dei ristoratori cinesi in Italia, negli anni Ottanta, alcune ricette sono state adattate ai gusti italiani e agli ingredienti reperibili sul territorio. Così, il riso Wenzhou, troppo complesso nei sapori e difficile da replicare in un contesto occidentale, ha subito una drastica trasformazione: la carne di maiale croccante e marinata è stata sostituita con cubetti di prosciutto cotto, il cipollotto è stato rimpiazzato dai più “innocui” piselli, mentre altri ingredienti tipici, come la verdura cinese o i funghi shiitake, sono stati eliminati del tutto.
Nasce così il riso alla cantonese che conosciamo oggi, un piatto che mantiene pochi legami con la versione originale cinese e che, paradossalmente, non proviene neppure da Canton. Questa scelta non è stata casuale: la maggior parte dei ristoratori che aprirono i primi locali cinesi in Italia proveniva dall’area di Canton, la più grande città costiera al sud della Cina, e probabilmente questo ha fatto sì che al nuovo piatto venisse associato il nome della città, pur non avendone alcun legame. In altre parti del mondo, lo stesso piatto è arrivato con nomi diversi, come house fried rice negli Stati Uniti e special fried rice nel Regno Unito, ma sempre con le stesse modifiche che lo hanno allontanato dalla versione cinese autentica.
Il riso di Yangzhou, l’altro protagonista sconosciuto
A complicare ulteriormente la storia, un altro tipo di riso fritto si è inserito in questa narrazione: il riso di Yangzhou. Questa variante, originaria della provincia di Jiangsu - situata nella parte orientale della Cina e affacciata sul Mar Giallo - e appartenente alla cucina huaiyang, si distingue per l’uso di ingredienti come i gamberi, i piselli e le uova, che danno vita a un piatto dai colori vivaci e dal sapore delicato. Nella cucina cinese, questo è uno dei risi fritti più popolari e rispettati, senza spezie invadenti o sapori intensi come quelli del riso Wenzhou. Sebbene il riso di Yangzhou sia geograficamente e culturalmente distante da Canton, anche questo ha contribuito alla creazione del mito del riso alla cantonese in Italia. Infatti, tra i primi piatti ad arrivare nei menu cinesi all’estero, c’era proprio il riso fritto di Yangzhou, che in qualche modo è stato associato anch’esso a Canton per l’omonimia con altri ristoranti di area cantonese.
Le trasformazioni del riso fritto nel mondo
Il riso fritto ha viaggiato molto, adattandosi e reinventandosi in ogni angolo del mondo. Dalla Thailandia all’Indonesia, dal Giappone all’India, ogni cultura ha dato vita a versioni uniche di questo piatto, giocando con ingredienti locali e reinterpretazioni che hanno arricchito la tradizione. In Thailandia, ad esempio, il riso fritto è preparato con riso jasmine, peperoncino e lime, creando un piatto aromatico e dal gusto pungente. L’Indonesia ha invece il celebre nasi goreng, che usa il kecap manis (una salsa di soia dolce) e include carne e frutti di mare. In Giappone, il riso chahan è fatto con riso per sushi, che ha una consistenza più appiccicosa, e spesso è condito con salsa di soia o salsa di ostriche. L’India, con la sua grande varietà di spezie, ha creato versioni di riso fritto che incorporano cumino, garam masala e curcuma, dando vita a piatti dal profumo intenso.
Riso fritto all’italiana
Oggi il riso alla cantonese è diventato un simbolo dell’adattamento culinario e del multiculturalismo che caratterizza la cucina italo-cinese. È un piatto che rappresenta il compromesso tra il gusto italiano e le radici cinesi, che permette a molti di accostarsi per la prima volta alla cucina cinese in modo familiare e senza timori. Ma, allo stesso tempo, rappresenta anche il distacco da una cultura gastronomica che, nella sua forma originaria, potrebbe risultare troppo complessa o impegnativa per un palato abituato a sapori più semplici e delicati. La popolarità del riso alla cantonese nei ristoranti italiani testimonia un’affezione crescente per la cucina cinese, che però resta, in larga parte, una cucina “italianizzata”. Chi cerca sapori autentici, come quelli del riso Wenzhou, si troverà di fronte a un’assenza quasi totale di ristoranti che propongano questi piatti, a meno di trovarsi nelle grandi città dove esistono ristoranti specializzati. Per chi ha avuto la fortuna di provarlo, il riso alla cantonese è soltanto un lontano ricordo. Il sapore intenso della carne di maiale marinata, la croccantezza e sapidità dei funghi shiitake e dell’abbondante cipollotto, saltati assieme nel wok, crea un piatto che conserva la complessità di una tradizione culinaria ricca e stratificata.