Ci stavamo già rassegnando a dire addio al Carnaroli classico, a rischio come altre cultivar di riso in purezza, perché più difficile da coltivare. Anche e soprattutto a causa del cambiamento climatico. Da alcuni anni ormai, tra fine di aprile e inizio maggio, nel momento in cui è prevista la semina di risi a ciclo lungo, nelle zone vocate alla coltivazione del cereale – Piemonte, Lombardia e Veneto – si abbattono violenti nubifragi che allagano i campi e impediscono la messa a dimora dei semi, costringendo le aziende a coltivare varietà simili al Carnaroli, con cicli vegetativi più brevi ma non con le stesse caratteristiche organolettiche. Fortunatamente esistono realtà evolute che non si arrendono e superano l’ostacolo aggirandolo. Riserva San Massimo, un’area naturale di oltre 600 ettari all’interno del Parco della Valle del Ticino, a 45 chilometri da Milano e neanche 20 da Pavia, è riuscita a coltivare 120 ettari di Carnaroli autentico adottando metodi innovativi e la semina in acqua per garantire la produzione 2024 del “re dei risi”. «Abbiamo aspettato che le condizioni meteorologiche migliorassero – spiega Dino Massignani, direttore dell’azienda agricola– alla fine per non perdere la campagna produttiva dell’anno in corso abbiamo deciso in velocità di cambiare direzione e di usare per la prima volta questo tipo di tecnica».
Come funziona la tecnica della semina in acqua
Questo metodo innovativo si è potuto mettere in pratica grazie alla visione evoluta e alla sensibilità ambientale della famiglia Antonello, proprietaria dell’azienda agricola, e al know-how acquisito in anni di esperienza da Dino Massignani. È lui che della filiera del riso segue ogni singola fase e ci spiega come funziona la tecnica della semina in acqua. «Si allagano i campi, poi si distribuiscono i semi lungo l’area di produzione. Per questa operazione ci siamo serviti di un girello a gestione satellitare in modo da evitare che i semi si accumulassero e per entrare nei terreni bagnati abbiamo sostituito le gomme dei nostri trattori con ruote dentate. Ma prima di tutto abbiamo messo a bagno il riso, sia per farlo germinare sia per renderlo più pesante in modo che vada in basso, affondi nel terreno e rimanga dove è stato lanciato con il girello altrimenti galleggerebbe e una folata di vento potrebbe disperderlo e ammucchiarlo altrove» entra nel dettaglio il direttore di Riserva San Massimo.
Una tecnica costosa
La semina in acqua è una tecnica molto costosa in termini economici, di lavoro e di vita. «Grandi consumi di gasolio, dispendio di tempo, stress fisico: è un mese e mezzo che fatichiamo, 7 giorni su 7 con una media di 12 ore di lavoro al giorno. E sempre in acqua: la Valle del Ticino ha un terreno torboso e poco strutturato, i piedi e i veicoli affondano, sul campo bisogna andarci con mezzi a doppie ruote. Però siamo soddisfatti del risultato: grazie al duro lavoro, alla nostra esperienza e capacità di adattarci in corso d’opera siamo riusciti a coltivare l’autentico Carnaroli anche in condizioni meteorologiche difficili». Dovendoci abituare al cambiamento climatico, la coltivazione del riso in campo allagato è ormai la tecnica del futuro, che con buona probabilità verrà adottata da altre aziende del settore.
Riso a ciclo vegetativo lungo
Il Carnaroli è un riso dal ciclo vegetativo molto lungo, dura 165 giorni da aprile a settembre. Alla fine dell’inverno la terra viene concimata con la vinaccia e il legno «oppure con la cornunghia, miscela di corna e zoccoli di mucca tritati» spiega Massignani. Tra marzo e aprile il campo viene arato, erpicato e livellato, pronto per essere seminato. «Il Carnaroli va messo in campo a fine aprile-inizio maggio e non oltre, altrimenti non acquisisce le caratteristiche organolettiche di qualità». Normalmente, con la semina in asciutto, soltanto a germogliazione avvenuta i terreni vengono allagati in modo uniforme per garantire la termoregolazione della pianta.
Un’oasi protetta
Riserva San Massimo è un’azienda agricola sui generis, che va oltre alle logiche imprenditoriali classiche della produttività a tutti i costi. Qui si punta a costruire e a salvaguardare la storia, la bellezza e l’ecosistema con la “scusa” di produrre eccellenti risi. Si trova nel parco fluviale più grande d’Europa, zona protetta ricca di flora e di fauna di terra e d’acqua che vivono e convivono in equilibrio: un Eden di semplice e naturale meraviglia. Qui nel Medioevo i monaci agostiniani e cistercensi costruirono chiese e abbazie e avviarono la coltivazione del riso. Negli anni ’60 del ‘900 è diventata una ricca tenuta di caccia frequentata dal jet set internazionale.
La svolta avviene a partire dagli anni Novanta quando nella proprietà entra la famiglia Antonello, che si occupa della Riserva con un’ottica ambientalista e avvia la coltivazione di Carnaroli utilizzando tecniche innovative di agricoltura bio-integrata. Dei 600 ettari aziendali sono produttivi 186 ettari, dei quali 120 dedicati all’autentico Carnaroli, proposto anche nella versione integrale, coltivato in terreni selezionati, nella parte della Riserva chiamata “San Massimo di sotto”, più torboso e umido. Poi Vialone Nano, Rosa Marchetti e una varietà di riso simile al Carnaroli, a ciclo più breve, coltivato in un terreno più in alto, nella zona “San Massimo di sopra”, con terreni meno umidi, più friabili e drenanti. Ma il fiore all’occhiello è il vero Carnaroli Classico, arrivato primo in una classifica del Gambero Rosso e riconosciuto il migliore anche dagli stessi produttori competitor di questo pregiato riso.
Tante cose concorrono a renderlo unico. «La coltivazione a basso impatto ambientale in un’area naturale protetta, la concimazione organica, la pilatura a pietra, l’essiccazione a gas metano anziché a gasolio per evitare che i fumi alterino il profilo aromatico del riso, la selezione quasi chicco a chicco» elenca Massignani. E soprattutto un sapore, un bouquet, una tenuta alla cottura e una consistenza che hanno conquistato gli chef autori dei risotti contenuti nel ricettario a corredo dei cofanetti regalo in latta – Carlo Cracco, Andrea Aprea, Cesare Battisti, Diego Rossi e Federico Sisti – e i più bei nomi della ristorazione internazionale. Tanto per farne alcuni e rimanere in Italia: Enoteca Pinchiorri, Michelangelo Mammoliti, i fratelli Cerea, Massimiliano Alajmo, Antonino Cannavacciuolo.
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