Il valore della ristorazione collettiva
Il 14 settembre gli studenti di tutta Italia torneranno in aula, e la tormentata gestione dei banchi non sarà l’unica variabile di cui tenere conto. Nella convivenza scolastica, anche il momento del pranzo dovrà necessariamente cambiare in funzione delle nuove misure di sicurezza. Per le grandi società che gestiscono i servizi di ristorazione collettiva (da Camst a Elior, a Cirfood) non sarà una sfida semplice, ma la ripresa della scuola fa tirare loro un sospiro di sollievo: il settore delle mense scolastiche ha mosso nel 2019 un giro d’affari di 1,3 miliardi di euro, servendo 304 milioni di pasti. Con il lockdown il servizio si è azzerato, e la prolungata chiusura delle scuole ha comportato, solo nei mesi di marzo e aprile, una perdita pari a 326 milioni di euro. Ripartire, dunque, è quanto mai importante, nonostante le incognite di una situazione da interpretare con elasticità e grande cautela, che potrebbe determinare anche un aumento del 20-30% dei costi per chi eroga il servizio (dunque c’è il rischio di rincari per le famiglie degli studenti? A questo proposito, Carlo Scarsciotti, presidente dell’Osservatorio Ristorazione Collettiva e Nutrizione, ha già chiesto al Governo di intervenire). A pieno regime le mense scolastiche italiane torneranno a servire 3,5 milioni di ragazzi, soprattutto nelle scuole materne e primarie, che prevedono il tempo pieno.
Come cambia la mensa
E sembrano molto lontani i giorni delle dispute che opponevano i fautori di una mensa uguale per tutti agli strenui sostenitori della schiscetta portata da casa (tema che nel recente passato ha tenuto banco anche nelle aule di tribunale). Ora la parola d’ordine è semplificare le operazioni di preparazione e distribuzione dei pasti, garantendo agli studenti il rispetto del distanziamento sociale anche mentre consumano il pranzo, e non solo ricorrendo a un avvicendamento in turni. Nelle scuole in cui gli spazi della mensa non sono sufficienti per lavorare in sicurezza, infatti, si dovrà provvedere a fornire il pranzo in aula, organizzato in lunch box che necessariamente determineranno anche variazioni evidenti nella dieta scolastica. Potrebbero sparire, per esempio, le “odiate” minestre, difficili da servire e mangiare, a vantaggio di lasagne e pietanze più pratiche da gestire. Ancora meglio, in spazi contingentati, si opterà per il piatto unico, prestando attenzione a non intaccare l’equilibrio nutrizionale richiesto per il pasto di un ragazzo. Il tema sta particolarmente a cuore ai genitori, che temono l’avvento di panini, pasti freddi e monoporzioni preconfezionate insufficienti; ma le grandi società che prestano il servizio nelle scuole italiane sono tutte allineate nel ribadire l’intenzione di diversificare il più possibile i pasti, offrendo il corretto apporto di cereali, proteine, verdure e nutrienti ai ragazzi.
Regole di servizio e packaging compostabili
E i cambiamenti saranno evidenti anche nel servizio, col personale autorizzato a distribuire i pasti tra i banchi (se necessario) con l’ausilio di carrelli termici, nel rispetto delle norme di sicurezza. Per questo i contenitori dovranno essere monouso, con l’auspicio che la maggior parte delle amministrazioni si facciano carico dei costi aggiuntivi per sostenere l’utilizzo di materiali compostabili. Dibattuta anche la gestione dell’acqua: abolite le caraffe – a meno che non siano solo gli operatori della mensa a maneggiarle – in molti casi si ricorrerà alle bottigliette in plastica; mentre negli istituti più virtuosi i ragazzi potranno usufruire di distributori touch free per riempire la propria borraccia personale. L’ambito, insomma, è quello della sperimentazione controllata: tra qualche giorno partiranno i test sul campo, sostenuti dai tavoli di lavoro istituiti negli ultimi mesi per raggiungere soluzioni personalizzate sulle esigenze di ogni istituto, a partire dalle direttive del Miur. Ma solo la pratica ci darà prova della bontà delle strategie adottate.
a cura di Livia Montagnoli