Vacanze al rifugio di montagna
Si fa presto a dire estate in montagna. Nel tentativo di salvare le vacanze degli italiani, mentre da settimane circolano improbabili soluzioni per consentire la fruizione ordinata di spiagge e località turistiche delle coste italiane, più di qualcuno individua nel turismo rurale o nelle vacanze in montagna un’alternativa valida per rispettare il distanziamento sociale. In attesa di capire quando – e se – gli spostamenti interregionali torneranno a essere consentiti, il cosiddetto “sistema montagna” (strutture ricettive, impianti di risalita, soccorso alpino, coordinamento della sentieristica che agevola la scoperta di Alpi e Appennini) ha necessità di comprendere quali saranno le regole da rispettare. In tempi brevi, perché la stagione estiva è alle porte e sul bilancio di chi lavora in (con la) montagna pesano già le perdite della coda della stagione invernale e delle prime riaperture di primavera, che quest’anno sono state bloccate. In questo sistema, i rifugi di montagna svolgono un importante ruolo di presidio del territorio: vissuti dalla maggior parte delle persone come luogo di svago, relax e cucina generosa, è il senso stesso della parola rifugio a ricordare la funzione che li ha visti nascere, in Italia verso la fine dell’Ottocento.
I rifugi di montagna. Presidio e risorsa del territorio
Ai rifugi di montagna, e alla loro cucina, abbiamo dedicato un articolo approfondito (a firma di Giorgia Cannarella) lo scorso autunno, sul mensile di settembre 2019. Ripercorrendone la storia e tracciando una mappa di quelli che hanno associato alla propria funzione primaria un’identità gastronomica peculiare, frutto di un rapporto denso con il territorio circostante, spesso impegnati in prima linea in produzioni agroalimentari, o direttamente connessi con le piccole realtà contadine di montagna. Allora non avremmo potuto immaginare l’estate che ora si profila all’orizzonte dei rifugi italiani, che come l’intero comparto turistico soffriranno un calo delle presenze e innumerevoli difficoltà di gestione. E ancor più difficile sarà salvare la stagione in mancanza di regole certe per ripartire. La maggior parte dei rifugi italiani è di proprietà del Cai, che ne possiede 376 e li affida in gestione ai rifugisti dietro pagamento di un canone d’affitto. Antonio Montani è il vicepresidente del Club, con delega ai rifugi: “Ferma restando la priorità accordata all’emergenza sanitaria, abbiamo la ferrea volontà di riaprire. Bisognerà capire come, però. Tra i rifugisti, consapevoli del proprio ruolo di custodi del territorio, c’è la volontà di ripartire anche qualora fosse impossibile ripristinare l’attività commerciale, per garantire la sicurezza sui sentieri e aiutare al bisogno gli escursionisti. Ma è chiaro che il settore deve ripartire per evitare il collasso: siamo piccoli, ma abbiamo un valore, non solo morale e ambientale. I nostri rifugi mettono a disposizione a pieno regime 18mila posti letto, poi ci sono i servizi di ristoro. E non dimentichiamo che il rifugio regge una filiera di microeconomie locali che a propria volta rischiano di morire, come i piccoli produttori del territorio. Non ultimo, spesso il rifugio è a gestione familiare: se non si può lavorare, come si sostengono queste famiglie?”. Per questo gli sforzi maggiori si concentrano sulla richiesta di un tavolo di concertazione che, nell’ambito del grande comparto turistico, possa tener conto anche della voce dei rifugi, “perché sarebbe un errore assimilarli ad alberghi o ristoranti tout court”.
Come cambia il rifugio. La prenotazione obbligatoria
Tanto più che gli ostacoli da affrontare saranno diversi, molti legati all’imprevedibilità della montagna: “Dobbiamo scongiurare il pericolo di assembramenti, specie in spazi chiusi. Ma come è possibile regolare l’affluenza di persone in alta montagna? E se arriva un temporale improvviso mentre tutti stanno mangiando all’aperto? Il rifugio è tenuto a dare ospitalità, non può rimandare indietro le persone”. Dunque, la prima misura che trova tutti d’accordo sarà l’obbligo di prenotazione, per dormire o mangiare. Una novità per i rifugi, destinata a scombussolare non poco rifugisti e avventori: “Entro la prossima settimana vorremmo diramare un vademecum per gli escursionisti. Per quelli che sperimentano la montagna per la prima volta, spinti dall’idea che sia più sicura. Ma anche per gli abituée, perché bisognerà confrontarsi con nuove regole. Se il tempo è incerto, per esempio, meglio non programmare neppure un pranzo in rifugio per rifocillarsi con un piatto di polenta. Gli spazi interni sono angusti, molti dovranno ripensare i coperti solo all’esterno. E questo porterà anche a una diminuzione del 60% della disponibilità di posti. Per la prenotazione, obbligatoria, vedremo di elaborare un’app per facilitare l’organizzazione di turni per il pranzo”.
La risorsa dell’asporto ad alta quota
In alternativa, per chi fa ristorazione, resta valida la soluzione dell’asporto, con banconi all’esterno, pietanze self service e cestini da pic nic (“ma attenzione alla produzione massiccia di rifiuti che contrasta con la nostra filosofia”, sottolinea Gino Baccanelli di Assorifugi Lombardia). Molti si stanno già organizzando: “Riapriremo a luglio, se sarà possibile, rinunciando probabilmente ai pernottamenti, perché è troppo rischioso. Ma per la ristorazione proporremo l’asporto, non solo di panini, ma anche di piatti caldi, zuppe, polenta”, spiega Luigi d’Ignazio, titolare del rifugio Duca degli Abruzzi a 2388 metri, sulla cresta del Monte Portella, nel Parco Nazionale del Gran Sasso. Il morale non è alto, “il rifugio è un luogo di aggregazione e quest’anno non potrà esserlo. È difficile anche immaginare l’affluenza di pubblico, e questo ci mette in difficoltà: a inizio estate organizziamo i bancali con le materie prime da portare su in elicottero, sono le scorte per la stagione. Come calcolarle quest’anno? Realisticamente faremo un quarto dell’incasso normale, le spese fisse restano e non possiamo permetterci altri esborsi. Per questo fare asporto, anche a cena, resta la soluzione più conveniente e sicura. Anche se il Cai ha stanziato 1 milione di euro per fornire i rifugi di kit e ozonizzatori, che ci saranno utile per sanificare gli ambienti”. In parte, il fondo stanziato permetterà alle sezioni regionali del Cai di alleggerire il pagamento del canone di affitto ai gestori. Più difficile ripensare i servizi con il supporto di tende e strutture mobili – per pernotto e ristorazione – come pure qualcuno ha proposto.
Salvare i rifugi significa salvare il turismo sostenibile
In Alta Badia, in vetta all’Alpe Lagazuoi (2040 metri), il rifugio Scotoni potrà contare sulla sua grande terrazza: “Abbiamo voglia di aprire, e non tutte le prenotazioni sono saltate. Per la ristorazione conteremo sullo spazio all’esterno, implementando anche con l’asporto. Però le incognite restano moltissime: quanto personale chiamiamo a lavorare? E con che rischi?”. “Qualche rifugio non aprirà non solo ipotizzando i mancati guadagni, ma per la paura di non riuscire ad affrontare la situazione, in mancanza di regole chiare “, gli fa eco Angelo Iellici che è titolare del Rifugio La Rezila in Trentino e presidente del Coordinamento nazionale rifugisti. “Ma sarà triste”, continua “perché non c’è cosa peggiore che andare in montagna e trovare un rifugio chiuso”. Guido Rocci, di Agrab Piemonte, rincara la dose: “I rifugi rappresentano il turismo sostenibile, alla portata di tutti. E hanno un valore economico: sono una risorsa non indifferente per le vallate alpine”. Proprio la Regione Piemonte, la prima a muoversi in tal senso, ha stanziato 2000 euro a fondo perduto per ogni rifugio del territorio. Un piccolo aiuto, che però dà coraggio.
I prodotti del rifugio
In Piemonte, con vista sul Monte Rosa da Macugnaga, lavora il rifugio agriturismo Alpe Burki, una storia di famiglia iniziata nel 1856. Oggi lo gestiscono Silvia e Cristina, e la loro cucina genuina attira molti avventori: “Approfittando della chiusura forzata stiamo cercando di lavorare maggiormente sull'aspetto commerciale dell'azienda agricola, studiando al contempo soluzioni per gestire diversamente la nostra ospitalità in agriturismo all'Alpe Burki. In primis il ripensamento parziale del menu, per gestire in modo più agevole la fase di ordine da parte del cliente e ottimizzare le operazioni in cucina. Prevederemo comunque delle soluzioni take away, per agevolare coloro che decidono di pranzare nei prati circostanti, partendo dai nostri prodotti principali, formaggi del nostro caseificio in alpeggio e insaccati dal nostro allevamento, protagonisti del Burki-nic da asporto. La stessa cosa per la merenda, con coppe di yogurt e mirtilli freschi da asporto”.
Nel frattempo hanno già iniziato la consegna a domicilio di formaggi e salumi in box. Più a est, sempre sull’arco alpino, il lavoro della Gostner Schwaige all’Alpe di Siusi non si è mai fermato. Franz Mulser e la sua famiglia gestiscono il maso celebre per le proprie produzioni di montagna, e in una stagione tanto incerta questa si rivelerà una salvezza: “Abbiamo poco spazio per gli ospiti, dovremo capire come lavorare, sarà difficile. Ma produciamo molti prodotti, ci sosterremo con la vendita diretta, e nel frattempo stiamo anche donando cibo a chi ne ha bisogno, nella nostra comunità”.
Dunque yogurt, graukase, burro di malga, ricotta continueranno a essere disponibili. Più difficile ipotizzare il consueto servizio di ristorazione. Mentre già dal prossimo fine settimana, in Appennino modenese, riaprirà, ma solo per l’asporto, il rifugio del Lago Scaffaiolo, a 1787 metri d’altitudine, “per dare un segnale che la montagna non sta morendo”.
Il sentore comune, insomma, è quello di fare squadra, per ottenere sostegno e protocolli di gestione dal Governo: “Chiediamo di essere ascoltati come categoria, con le nostre esigenze e le specificità di un contesto tanto particolare”, chiosa Montani.
a cura di Livia Montagnoli