A fine anno arriva il momento dei bilanci, quelli statistici, davanti ai quali non c’è opinione che tenga. Il 57° Rapporto Censis, che descrive la società italiana al 2023, è abbastanza netto dipingendoci come sonnambuli “ciechi dinanzi ai presagi”, perché abbiamo rimosso dall’agenda collettiva del paese processi economici e sociali largamente prevedibili, dal calo demografico all’emigrazione giovanile. Ricordiamo che, nonostante i trend di crescita, nel 2022 l’Italia resta all’ultimo posto nell’Unione europea per tasso di attività e tasso di occupazione. In questo quadro principale ha un suo profilo molto definito un settore economico di grande importanza nel nostro paese, quello che riguarda il turismo e la ricettività.
Ospitalità in crescita
Uno dei paragrafi del rapporto è dedicato all’industria ricettiva, che è stata osservata alla prova dei flussi turistici seguiti alla pandemia. Ovviamente, rispetto all’anno precedente nel 2022 si è registrata una crescita: la spesa dei viaggiatori stranieri sul territorio italiano è raddoppiata, da 21,3 a 44,3 miliardi di euro, nonostante rimanga ancora del 9% inferiore rispetto al pre-Covid.
Cresce dal 3,9% al 4,5% la quota detenuta dall’Italia sul valore complessivo del turismo internazionale.
L’esplosione degli affitti brevi
Sono più di 5,2 milioni i posti letto disponibili nel nostro paese: il trend negli ultimi 10 anni li vede aumentare del 9,2%. Se si va a vedere nello specifico i termini di questo aumento, non è il comparto alberghiero ad essere cresciuto (anzi, si registra una riduzione dello 0,4% dei posti letto in albergo). È il comparto extra-alberghiero ad essere in sensibile incremento con un + 17,8%: non campeggi e villaggi turistici (che, anzi, diminuiscono del 3,3%), ma strutture come agriturismi (+24,9%) e bed & breakfast (36,4%). Il vero boom di espansione, e ce lo aspettavamo, però, è per gli alloggi in affitto gestiti in forma imprenditoriale, + 52,9% di posti letto. Un fenomeno fortemente incentivato dalle piattaforme per le prenotazioni online, come Airbnb, che mettono in contatto diretto affittuari e viaggiatori. Un fenomeno che riguarda in modo particolare i centri storici delle città d’arte e che, a livello internazionale, crea non pochi allarmi.
Gli alberghi puntano sul lusso
Altro elemento che dal nostro piccolo osservatorio editoriale delle guide avevamo già previsto è l’espansione significativa delle strutture a 5 stelle e 5 stelle lusso: la ricettività in questo settore vede un +45,2%, mentre resta più contenuto l’aumento per i 4 stelle (+13,9%). È avvenuta, quindi, secondo i dati analizzati dal Censis, una ristrutturazione dell’industria alberghiera, con l’aumento degli esercizi di alta gamma con più elevati standard qualitativi.In netto ca lo invece le categorie alberghiere economiche, che, probabilmente, soffrono la concorrenza del fenomeno degli affitti brevi: -24,4% per gli hotel a 2 stelle e -29,1% per quelli a una stella.
La pressione sulle città d’arte
Il 45,8% dei viaggiatori stranieri venuti in vacanza in Italia, nel 2022, lo ha fatto per ragioni culturali o per visitare le città d’arte. Come dicevamo sopra, sono proprio queste ultime il teatro principale del cambiamento dell’industria dell’ospitalità, con il boom delle locazioni brevi. E le città d’arte sono esse stesse in un turbine di crescita: qui la spesa del turismo è lievitata del 274,9%, da 3,3 a 12,4 miliardi di euro.
Le conclusioni del Censis, però, non sono positive: «Il patto faustiano tra le città e il turismo (e i suoi ritorni in termini economici) ha assunto ormai un profilo allarmante: nel 2022 gli esercizi alberghieri ed extra-alberghieri hanno registrato 25,8 milioni di arrivi». Il totale dei pernottamenti che si riferiscono ai dieci grandi comuni italiani (Bari, Bologna, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Venezia) ha raggiunto i 72 milioni (erano 82 milioni quelli registrati nel 2019, prima della pandemia). In termini di pressione sul perimetro delle città è come se ci si confrontasse, nel caso delle presenze, con una popolazione otto volte superiore a quella residente. «Città porose» le definisce il rapporto «piene di gatti e cani domestici (anche di fauna selvatica, talvolta), attraversate quotidianamente da flussi intensi di pendolari e turisti; città dai confini mobili, permeabili, porosi appunto, ma senza riuscire a “contenere” al meglio tali flussi, vale a dire senza esprimere reali processi di innovazione urbanistica».
I risultati sono sotto gli occhi di tutti: affitti alle stelle, allontanamento dei residenti dai centri storici, scene di affollamento al di là di ogni vivibilità, come quelle viste in alcune strade di Napoli o di Roma in questi giorni di turismo natalizio.
La foto della Fontana di Trevi è di Bodow - CC BY-SA 3.0.