Un bicchiere fa 0,3 o 0,5? Come si arriva a 1,5? Dallo scorso 14 dicembre, ovvero dall’entrata in vigore del nuovo Codice della strada, a tavola non si parla che di numeri. Come di fantomatici posti di blocco che compaiono dal nulla per prendere alla sprovvista il conducente: etilometri, patenti strappate, manette. La paura ha portato un crollo dei consumi di vino nei locali (che si aggiunge a una crisi già in essere), i ristoratori sostengono del 20%, con punte che toccano il 30%. Le novità del nuovo codice sulla guida in stato di ebbrezza? Praticamente nulli. I parametri sono esattamente quelli in vigore dal 2007, legge n. 160, articolo 186. Il limite alcolico consentito è sempre 0,5 g/l mentre le sanzioni nelle tre fasce previste sono aumentate di 43 euro (da 500 a 543) per la soglia minima e 170 per la massima (da 2.000 a 2.170), nel caso in cui il test risulti compreso tra 0,5 e 0,8. Le altre sanzioni amministrative e penali per guida sotto effetti dell'alcol sono immutate, con pene più severe per i recidivi. Di certo, alcune misure come l'arresto sembrano sproporzionate rispetto ad altri reati, ma i cambiamenti del codice riguardano sostanzialmente l'uso del cellulare e delle sostanze stupefacenti.
Consumo e abuso
E allora come nasce questa psicosi collettiva? Intanto, dalla poca conoscenza delle norme precedenti. Secondo, l’entrata in vigore a pochi giorni dal periodo natalizio, e di massimi consumi, ha amplificato la portata del messaggio. Tre, rispetto al 2007, è enormemente cambiato l’impatto della comunicazione e dei social nella percezione delle nuove leggi. Quarto e decisivo elemento: il provvedimento soffia su un momento di nuova consapevolezza e sensibilità sull’alcol. È l’effetto lungo del Covid e di una spinta salutistica che ritroviamo in molti settori, dalla cucina al tempo libero. In questo calderone comunicativo, il vino è continuamente associato senza distinzioni alle altre bevande alcoliche. Scorporare l’alcol dal vino vuol dire cancellare millenni di storia e cultura: quel senso di attaccamento e appartenenza al luogo produttivo, e alla terra, che non ha riscontri così profondi in altri prodotti agricoli.
Di colpo, non esiste più la distinzione tra consumo e abuso, basta vedere il Dry January, un movimento che fa leva su un senso di colpa figlio di una società dell’eccesso, sballo e poi digiuno. L’esatto opposto di quello che per noi è il vino, l’esaltatore dei sapori della tavola quotidiana. E dell’incontro tra le persone. Il vino è il simbolo di un modello di vita, è la prima voce dell’export enogastronomico italiano degli ultimi 10 anni. Vedremo nei prossimi mesi se l’effetto del codice scemerà e quali saranno le ripercussioni per ristoratori, produttori e artigiani. Meno bottiglie uguale meno piatti ordinati, meno prodotti a denominazione: salterebbero tanti equilibri. E tanti posti di lavoro. La sicurezza stradale è una priorità, ma il comparto del vino merita rispetto e un piano strategico di sviluppo: comunicazione altra e un sistema di trasporti rivisto. Di notte nelle grandi città italiane mancano metro, taxi, autobus, un buon livello di sicurezza garantito. E, a dirla tutta, anche di etilometri (qui i migliori in commercio) non se ne vedono poi così tanti.