L'olivicoltura europea, da qui a breve, potrebbe ritrovarsi di fronte a un punto di non ritorno. Questo è il secondo anno consecutivo in cui la Spagna produce molto meno olio rispetto al passato, un dato che apre scenari molto difficili per il futuro. Il primo segnale tangibile della crisi è stato l'impennata dei prezzi al dettaglio con picchi che arrivano, come riporta anche il Guardian, anche a 16 sterline al litro nella grande distribuzione per l'extravergine comunitario. Essendo le cause del calo produttivo spagnolo legate a questioni di cambiamento climatico ed eccessiva siccità, soprattutto nella zona dell'Andalusia, quello a cui si dovrebbe cominciare seriamente a immaginare delle nuove zone, magari emergenti, ad alta vocazione olivicola. D'altronde il ripensamento di aree produttive è una questione che affonda le radici nella storia dell'uomo e arriva fino ai giorni nostri per il settore del vino, con il ministero dell'Agricoltura francese che nel giugno scorso ha annunciato un fondo di 57 milioni di euro per finanziare l'estirpazione di circa 9.500 ettari di vigneti nella regione di Bordeaux.
Le nuove aree olivicole emergenti
In un contesto produttivo estremamente precario nascono divergenze, ma soprattutto speculazioni, come è successo durante quest'ultima campagna olearia con alcuni paesi del bacino del Mediterraneo - Marocco e Turchia in primis - che nei mesi scorsi hanno bloccato le esportazioni del loro olio per poi sbloccarle una volta raggiunta la quotazione di mercato più alta possibile. Una situazione del genere porterà probabilmente al ripensamento della produzione olivicola globale senza correre il rischio di impattare, in particolare per l'Italia, sulle peculiarità varietali che da sempre contraddistinguono l'olivicoltura nostrana. Negli ultimi 10 anni sono cresciuti sicuramente i livelli produttivi dei paesi del nord Africa e della Turchia, ma anche questi si stanno rivelando molto altalenanti a causa dell'impatto climatico e della ciclicità naturale dell'olivo. Paesi che invece stanno avendo una lenta ma significativa crescita sono quelli dell'America Latina. In particolare l'Argentina (insieme all'Uruguay sono gli unici del Sudamerica ad essere membri del Consiglio Oleicolo Internazionale) che con i suoi quasi 100mila ettari olivetati è la prima produttrice in quest'area, ma anche il Brasile vede la sua crescita abbastanza costante con circa 15mila ettari.
Le peculiarità brasiliane
Il Brasile coltiva olivi dal secolo scorso, ma la visione di una produzione più consistente e sostenibile ha iniziato a prendere forma tra il 2005 e il 2006. In quel periodo, il ministero dell'Agricoltura e dell'Allevamento ha incaricato la Brazilian Agricultural Research Corporation (Embrapa) di valutare la fattibilità della coltivazione dell'olivo nel Paese, analogamente ai vigneti esistenti nel sud del Brasile e nella Valle di São Francisco, negli Stati di Bahia e Pernambuco. In generale quello a cui si sta assistendo è a un sempre maggiore interesse dei sudamericani nel consumo di olio extravergine soprattutto dopo la pandemia.
Certo è che il brasile ha avuto un'impennata nei consumi e nella produzione. Tra il 2018 e il 2022, la produzione di olio d'oliva nel solo Stato di Rio Grande do Sul è passata da 58mila a 448.500 litri. Questo Stato, insieme ad altre regioni come la Serra da Mantiqueira che si estende negli Stati di Minas Gerais, São Paulo e Rio de Janeiro, si sta concentrando molto sulla produzione di olio extravergine di oliva. Non meno rilevanti sono state le importazioni di olio che, secondo il Consiglio oleicolo internazionale, tra il 2013 e il 2020 sono passate da 73mila a 104mila tonnellate all'anno. Nel 2020, l'80% dell'extravergine importato in Brasile è arrivato da Portogallo e Spagna. Negli ultimi due anni però la penisola iberica ha registrato un calo della produzione a causa dell'aumento delle temperature durante la stagione di fioritura degli ulivi, con un conseguente aumento del prezzo del prodotto di circa il 45% rispetto al 2020. E forse sarà proprio questo dato a far si che i brasiliani si andranno a creare un'olivicoltura nazionale capace di soddisfare i bisogni interni e di creare un mercato estero fiorente, dato che i consumi interni stanno crescendo costantemente e se la Spagna non potrà più coprire il fabbisogno interno allora bisognerà cominciare a organizzare un progetto olivicolo interno.