"Siamo tra i più grandi consumatori di pesce al mondo, ma gli allevamenti sono fermi a 30 anni fa". Le richieste dell'industria ittica

24 Mar 2025, 09:45 | a cura di
È il commento di Claudio Pedroni, allevatore in Toscana e vicepresidente esecutivo di API, agli Stati Generali della maricoltura che si sono tenuti a Roma nella sede della Confagricoltura

Mangiare più pesce, questo è l’input globale. Della necessità di produrre specialità ittiche allevate per sfamare il mondo e del sorpasso dell’acquacoltura sulla pesca di cattura ne abbiamo parlato qui. Ma ci sono ulteriori margini di crescita. Negli ultimi decenni le nazioni si sono organizzate per incrementare il settore, spingendo sulla blue economy. Alcuni Paesi hanno moltiplicato gli impianti in terraferma e in mare. «In Cile sta prendendo piede l’allevamento di salmone, in Ecuador la gambericoltura, in Grecia la produzione ittica è uno dei pilastri dell’economia nazionale, 135mila tonnellate annue di cui 121mila di orate e spigole, la maggior parte esportate in Europa e soprattutto in Italia – dice Claudio Pedroni, allevatore in Toscana e vicepresidente esecutivo di API (Associazione dei Piscicoltori Italiani), agli Stati Generali della maricoltura che si sono tenuti a Roma il 20 marzo alla sede della Confagricoltura, a Palazzo della Valle – anche la Turchia ha puntato su orate e spigole con un aumento del 200% negli ultimi due decenni arrivando a coprire il 40% della produzione mondiale di questi pesci».

Agroittica Toscana: gabbie a largo di Piombino (LI)

Agroittica Toscana: gabbie a largo di Piombino (LI)

E l’Italia?

«Con oltre 8mila chilometri di coste abbiamo solo 20 concessioni off-shore di impianti di produzione di maricoltura – prosegue Pedroni, mostrando due cartine a confronto, quella della Norvegia, con la costa solcata dai fiordi punteggiata (fin troppo) da grappoli di allevamenti, e quella dell’Italia, che circondata su tre lati dal mare mostra pochi cerchietti a indicare i siti produttivi in acque salate, concentrati nel golfo di Follonica in Toscana, Puglia e Sardegna – fa pensare il fatto che il boom dell’allevamento di salmone in Norvegia si sia sviluppato negli ultimi 30 anni».

Gli 800 impianti di allevamenti in terraferma e in mare nel nostro Paese, concentrati per il 60% al nord (soprattutto trote e storione), il 15% al centro e il 25% al sud, producono 54mila tonnellate di pesci, di cui orate e spigole, le specie più richieste dal consumatore italiano, raggiungono poco più di 17mila tonnellate. «Il nostro Paese è molto cresciuto negli ultimi anni per quanto riguarda il consumo di pesce, arrivando a 30 chili pro capite annuo, ma produttivamente è fermo a 30 anni fa – commenta il vicepresidente esecutivo di API – siamo alla mercé delle importazioni: di orate e spigole produciamo solo il 20% della richiesta nazionale, il resto viene dall’estero».

Allevamento InMare - Reho Mare a largo di Gallipoli (LE)

Allevamento InMare - Reho Mare a largo di Gallipoli (LE)

Eppure l’Italia è storicamente legata all’acquacoltura. «Siamo stati dei precursori nel settore, la nostra produzione si è sempre distinta per la varietà e la qualità delle specie ittiche allevate e tuttora siamo un punto di riferimento per quanto riguarda l’avannotteria (gli impianti dedicati all’allevamento dei pesci negli stadi giovanili, n.d.r.), importante settore del comparto per il quale siamo famosi a livello internazionale».

I problemi del settore ittico

Quali sono le cause di questa cristallizzazione produttiva? Sicuramente il cambiamento climatico: l’aumento delle temperature di 2 C° nelle zone marine ha fatto prosperare le patologie, provocando stragi di pesci e un calo della produzione ittica. Un problema contingente al quale – secondo Claudio Pedroni e le associazioni di categoria – si aggiunge quello storico delle concessioni marittime, ferme al palo.

Allevamento Valle Cà Zuliani - foto API acquacoltura.org

Allevamento Valle Cà Zuliani - foto API acquacoltura.org

Quello dell’acquacoltura è un settore destinato a crescere, non solo per ragioni economiche, ma anche per i risvolti sociali e occupazionali. Le prossime sfide del comparto: la ricerca in collaborazione con istituti universitari e di profilassi, la genetica individuando le specie ittiche forti, la biosicurezza attraverso il monitoraggio e la prevenzione delle patologie, il progresso tecnologico nel settore, la formazione, e la promozione degli impianti off-shore auspicata dalle aziende e dalle associazioni di settore, con «assegnazioni delle concessioni marittime a lungo periodo». Purché la crescita della maricoltura e dell’acquacoltura in genere non entri in collisione con il turismo, uno dei settori trainanti della nostra economia.

Nell'immagine di copertina l'allevamento InMare - Reho Mare a largo di Gallipoli (LE)

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