Lavorare meno, lavorare tutti. Una volta era lo slogan della sinistra extraparlamentare. Con gli anni, poi, diversi Paesi hanno cominciato a sperimentare questa strada – e non si tratta di regimi comunisti! – e ora lo stesso tema del digital e dell’Intelligenza Artificiale pone con forza la necessità di lavorare meno tendendo – questa la sfida – a lavorare tutti (o almeno il più possibile).
Lo stesso dilemma, anche con aspetti in parte differenti, si pone nel mondo della produzione. Parliamo in particolare della produzione agricola in cui la concorrenza tra Paesi con standard lavorativi avanzati pagano la concorrenza con quelli in cui gli standard e le garanzie sia per i lavoratori che per l’ambiente sono assolutamente molto, molto meno stringenti.
Le battaglie (cicliche) degli agricoltori
Le battaglie degli agricoltori per il prezzo del latte hanno preceduto quelle per il prezzo della farina, della frutta e della verdura. Le richieste degli imprenditori scuotono – lo vediamo ogni giorno – il mondo della politica nazionale e globale. I raccolti vengono pagati spesso meno di quanto costi produrli, per poi trovarli sugli scaffali della grande distribuzione a costi moltiplicati per i consumatori. In Francia e in Europa – lo abbiamo riportato pochi giorni fa anche sul nostro sito – vengono estirpati i vigneti per avere una minore produzione e per tentare di tenere i prezzi più alti. Da noi, invece, mentre i trattori marciano su Roma e su Bruxelles, ci sono “sindacati” dei produttori che rivendicano la necessità e il dovere di poter produrre di più per garantire l’autosufficienza alimentare. Come se il problema del mercato (e del business) del cibo fosse una questione chiusa nei confini nazionali.
L'esempio della moda: meno e (è) meglio
Già da tempo il mondo della moda, che ai mercati e alle sfide globali è molto più sensibile rispetto a quello degli imprenditori agricoli, si sta ponendo il tema: produrre meno, produrre meglio. Si tratta di analizzare sia cosa produrre che come farlo. La riflessione attraversa sia i campi della sostenibilità che della “qualità” (concetto quest’ultimo che risponde a criteri mutevoli in base alle diverse situazioni sociopolitiche di un Paese): due campi che sempre più si intersecano.
L'esempio del Latte Nobile
Roberto Rubino, ex dirigente e ricercatore del Centro di ricerca alimenti e nutrizione nonché ideatore del Latte Nobile e grande autorità nel campo della caseificazione, ha più volte lanciato la provocazione: produrre meno, produrre meglio. Un concetto che si basa sulle classiche leggi di mercato della domanda e dell’offerta. Più qualità e più possibilità di scelta da parte dei consumatori in base a prezzi che si differenzino sulla qualità. Un formaggio di pascolo o da mucche alimentate a erba o fieno deve costare di più di uno da latte di mucche nutrite a insilati. Concetto semplice: è il "modello Latte Nobile". Il punto è che si dovrebbe muovere anche la politica: puntare su standard e certificazioni, dire al mondo perché sarebbe meglio comprare italiano e non solo in base al nazionalismo alimentare. A fronte di ciò, i produttori dovrebbero avere una voce più chiara e consapevole: non si risolve il problema con più pesticidi, ma con più qualità.