Entro il 2050 un pesce su tre presente nel Mediterraneo potrebbe appartenere a specie aliene, ovvero non tipica di questo mare. A tracciare l'inquietante quadro è un rapporto di Confcooperative-Fedagripesca che, tramite il suo centro studi Cirspe, evidenzia come circa mille specie su un totale di 17mila siano già non propriamente tipiche di queste acque. Si tratta di una conseguenza diretta dei cambiamenti climatici e in particolare della tropicalizzazione dei mari, che poi va a impattare sul mercato ittico e sui relativi consumi.
I pescatori come sentinelle del mare
A tal proposito il centro studi Cirspe, ha fatto partire una campagna informativa su alcune di queste nuove specie tutta rivolta ai pescatori in modo da metterli a conoscenza di eventuali pericoli legati al consumo alimentare o anche al semplice contatto. Tra le specie più attenzionate ci sono l'ormai arcinoto granchio blu, il vermocane con la sua natura urticante e vorace, il pesce scorpione, il pesce palla argento (contiene una tossina molto velenosa in grado di resistere alle alte temperature), il pesce coniglio scuro, il pesce armato rosso, la seriola fasciata, lo sgombro spagnolo e il pesce gatto dei coralli.
L'analisi dell'Ispra
Nonostante il Mediterraneo costituisca meno dell’1% dell’estensione totale delle acque marine del nostro pianeta, ospita più del 7% delle specie animali mondiali ovvero una ricchezza specifica 10 volte superiore alla media. Secondo l'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale mediamente viene segnalata una nuova specie non indigena ogni 9 giorni. Data la particolare morfologia del Mediterraneo e in virtù dei collegamenti con i bacini adiacenti, l’incremento è stato nettamente superiore rispetto ad altri bacini come il Mar Nero, il Mar Baltico o l’Oceano Atlantico.
Il rapporto sulle specie esotiche invasive Ipbes
Alla fine dello scorso anno ci ha fornito un importante contributo il rapporto di valutazione della piattaforma intergovernativa sulla biodiversità e i servizi ecosistemici (Ipbes). Il rapporto rivela che, oltre ai drammatici cambiamenti della biodiversità e degli ecosistemi, il costo economico globale delle specie esotiche invasive ha superato i 423 miliardi di dollari all'anno nel 2019, con costi che sono almeno quadruplicati in ogni decennio dal 1970. Le specie esotiche aliene sono uno dei cinque principali fattori diretti della perdita di biodiversità a livello globale, insieme al cambiamento di destinazione d'uso del suolo e del mare, allo sfruttamento diretto degli organismi, al cambiamento climatico e all'inquinamento. «L'urgenza immediata delle specie esotiche invasive, con danni estesi e crescenti alla natura e alle persone, rende questo rapporto così prezioso e tempestivo», ha dichiarato Anne Larigauderie, segretario esecutivo dell'Ipbes. «I governi di tutto il mondo hanno concordato, nel dicembre dello scorso anno, nell'ambito del nuovo Quadro globale per la biodiversità di Kunming-Montreal, di ridurre l'introduzione e l'insediamento di specie esotiche invasive prioritarie di almeno il 50% entro il 2030», ha aggiunto Larigauderie.