Quando uno nasce letteralmente tra la pizza, dopo 10, 20, 30, 40 anni di lavoro comincia ad identificarsi con i suoi impasti. Se poi sei Franco Pepe e puntiglio è tuo secondo nome, l’impasto è uno. Vivo. Mai uguale a sé stesso, come lo sono tutte le cose vive, eppure sempre uguale al suo creatore, in tensione continua verso il domani ma strenuamente fedele alla sua scuola di pensiero, alle radici, a quell’impasto a braccia che contraddistingue un legame familiare inscindibile tra Franco, suo padre Stefano e i suoi fratelli Massimiliano e Antonio, che oggi portano avanti la gloriosa tradizione di casa all’Antica Osteria Pizzeria Pepe di Caiazzo.
C’è un prima e un dopo Pepe in Grani. Quando Franco nel 2012 decide di volare in solitaria, lo fa per ridefinire il concetto stesso di pizzeria. Vuole scardinare gli errori granitici del passato, quelli che racchiudevano la figura del pizzaiolo solo nella fatica – e che, da giovane, avevano fatto allontanare lui stesso dal mondo della pizza – e punta a una riorganizzazione funzionale ed efficiente del lavoro in laboratorio, oltre a una rivoluzione nel concetto di accoglienza. Questa riflessione generale sulle basi del settore – con una battaglia tuttora in atto per arrivare al riconoscimento professionale della figura del pizzaiolo – 12 anni dopo è ancora viva, in un impegno quotidiano per migliorare, non solo sé stesso e la sua impresa, ma tutto il mondo pizza.
L'identità
Franco Pepe è un’integralista: non ammette che la pizza esca dal suo tracciato popolare, inclusivo. Da Pepe in Grani, infatti, si può venire a prendere una pizza al portafoglio e spendere 5 euro, oppure sbizzarrirsi tra mille possibilità da grande ristorante, optare per un percorso degustazione, prenotare in Authentica – la sala con forno al primo piano per 10 commensali - e godersi un menu sartoriale, stappare grandi Champagne o ordinare una sola birra. Non ammette nemmeno che la pizza si trasformi in altro da sé: «I pizzaioli devono apprendere dai cuochi le tecniche per lavorare bene, ma non scimmiottarli» dice, rispondendo implicitamente alla critica che in molti gli hanno mosso in questi anni (che si sia fermato, che non stia al passo con i tempi e con le tendenze). Qui c’è un fondamentale che pochi possono vantare: l’identità, la visione, la personalità. Un’esperienza da Pepe in Grani non è uguale a nient’altro sulla terra.
L’unicità di Pepe in Grani
A cosa si deve quest’unicità? Il luogo è sicuramente d’impatto, un palazzetto del Settecento, nascosto da un vicolo ripido, che si snoda in vari ambienti, interni ed esterni, un giardino dominato da un agrume secolare. Ci sono centinaia di persone ma la confusione non si avverte. Una questione di ingredienti? Anche ma non è così semplice: chi conosce la storia del pizzaiolo di Caiazzo sa che la sua battaglia primigenia è stata risollevare le sorti di un territorio, l’Alto Casertano, troppo a lungo ignorato e bistrattato e che nel suo lavoro ha ritrovato una stella polare. Il pomodoro riccio, l’extravergine e i legumi delle colline caiatine, la cipolla di Alife, latticini e formaggi e i loro artefici, artigiani e contadini di grandissimo valore, sono un tutt’uno col successo di Pepe in Grani. Caiazzo è un tutt’uno col successo di Pepe in Grani: in poco più di un decennio di attività questo paesino antico arroccato nell’Italia interna ha cambiato volto. Oggi brulica di vita, di ragazzi, di locali per l’aperitivo, di b&b, di botteghe d’artigianato.
Contro la dittatura delle file
Al contrario di quanto accade nei locali urbani, dove la fila è un vanto social e viene ormai posta come obiettivo nei business plan, qui sull’argomento si è riflettuto e lavorato molto. Il sistema di prenotazione curato al cesello: per evitare quanto più possibile la fila nel vicoletto che porta all’ingresso della dimora di Pepe in Grani, qui le prenotazioni – telefoniche, si parla con umani, evviva - vengono scandite in modo da non mandare in affanno la cucina e il servizio, ma anche per far sì che la sala abbia sempre un’atmosfera rilassata, calma, non caotica, non affannata. Il personale di sala in effetti è sì serio e professionali, ma ha i tratti distesi, sorride, consiglia, anche se qui, ogni sera, va in scena lo spettacolo di Pepe in Grani, magia della pizza che porta da tutto il mondo, a Caiazzo, cinquemila abitanti in provincia di Caserta, centinaia di ospiti.
Si, ma cosa si mangia?
Il pellegrinaggio, ovviamente, per chi arriva appositamente, si incentra sui grandi classici, Margherita Sbagliata in primis, vero simbolo di un nuovo modo di intendere la pizza (diventata pure icona di una serie stranota di Chef’s Table). Ma chi ha la fortuna di frequentare più spesso questa dimora non può non godersi le novità in menu. I coni fritti, innanzitutto: l’impasto di Pepe in declinazione frittura - precisa al cesello – non teme rivali. In una serata estiva il cono di pizza fritta ripieno di alici fritte e crema di Grana Padano è una carezza, così come il trancio di pizza fritta con stracciata di bufala, olive, erbe fresche e za’atar, ribattezzata la “pizza della pace” per la presenza della miscela di spezie simbolo della cucina del Medio Oriente martoriato. Si accompagna con un aperitivo profumatissimo, lo Spritz alla fragola, che Giancarlo Mancino produce su misura per Franco Pepe da qualche anno. Tra le tonde tradizionali, cotte al forno, stavolta la scelta ricade sulla Sciantosa (nella foto di copertina), pomodorini in varie cotture, peperoni verdi di fiume, un morso d’estate di grande pulizia e leggerezza.
Capitolo dolci
Dopo fritto e forno, in veste salata, l'impasto si declina sul dolce in maniera versatilissima (ma le sperimentazioni in corso sono tante e in divenire, anche in teglia). Grande potenza aromatica e freschezza nella pizza fritta Gelsomina: crema pasticcera, sciroppo di gelsi neri, violetta selvatica caramellata, lime. Per poi passare al coup de théâtre: a firmarlo è Stefano Pepe, figlio di Franco, grande talento creativo sulle pizze dolci, suo biglietto da visita. Così dopo la pastiera fritta, ideata con Nino Di Costanzo, ecco la sfogliatella: cono di pizza fritta ripieno di crema di ricotta e canditi di agrumi, con riccioli di pasta croccante, un boccone che manda in paradiso. Il saluto è con i liquori di Dianara, eccellenza di Acerra, che il saper fare rete è il più grande dono che si possa fare a un territorio.