"La pasta industriale fa male, se non si cambia morirà il made in Italy". La provocazione di Luigi Diotaiuti

30 Ott 2024, 14:42 | a cura di
Luigi Diotiaiuti, ambasciatore della cucina italiana e lucana nel mondo, avverte: "La pasta industriale fa male: o si sceglie la qualità o scomparirà"

«La pasta italiana fa male, almeno quella prodotta dall'industria. Se non cambia, il made in Italy morirà». La provocazione dello chef lucano Luigi Diotaiuti, in occasione della Giornata Mondiale della Pasta, è arrivata alla vigilia del Congresso Internazionale sull’impatto della cucina italiana nel mondo di Maratea. Parole che spingono a una necessaria riflessione sul settore industriale della pasta in Italia.

Chi è Luigi Diotaiuti e cosa c'entra con la pasta

Luigi Diotaiuti è uno degli "ambasciatori" della cucina italiana e lucana nel mondo: di origini lucane, ha fatto un percorso che lo ha portato ad affermarsi prima in Europa e poi a Washington dove ha aperto il suo ristorante Al Tiramisù nominato uno dei Top 50 Best Italian Restaurant nel Mondo. Lui è stato membro dello Chef Culinary Corp del Dipartimento di Stato Americano, creato da Illary Clinton durante la Presidenza di Obama: la Fondazione che porta il suo nome oggi è impegnata in Italia e più precisamente in Basilicata - regione che con Puglia e Sicilia è tra i principali produttori di grano nel Paese - nella promozione e valorizzazione della Dieta Mediterranea e dei prodotti made in Italy.

Una immagine della battaglia di Cia per il Grano made in Italy. In apertura, Luigi Diotaiuti (a sinistra) con un agricoltore lucano

Il grano, prima di tutto: protagonista della tradizione alimentare del Belpaese e alla base della Dieta Mediterranea. Non è certo un caso, infatti, se la spiga di grano era incisa nelle vecchie 10 lire, a testimoniare come  l’agricoltura doveva (o avrebbe dovuto) essere il traino della rinascita del paese nel Dopoguerra. Un prodotto, il fìgrano, che oggi è invece diventato il fulcro di una accesa querelle intorno alle produzioni industriali: del grano stesso, così come dei suoi derivati, in primis pane e pasta. Abbiamo intervistato Diotiaiuti, che spiega il perché del suo allarme.

Luigi Diotaiuti, perché secondo lei la pasta, così come la conosciamo, deve cambiare per non sparire?

Perché semplicemente fa male. Sono state riconosciute da tutte le organizzazioni sanitarie mondiali le patologie legate ai disturbi alimentari derivanti dai prodotti super processati. Quindi non sono io a dire che i prodotti industriali devono cambiare a favore della qualità: lo dice lo stato di salute delle persone.

Ma un prodotto industriale non può avere la qualità necessaria al mangiare bene e salutare?

Bisogna fare un passo indietro, e dare più importanza alla qualità e non alla quantità, intesa come guadagno sul prodotto finale. Dobbiamo andare a rivalutare i grani antichi che hanno fatto dell’Italia un grande modello di biodiversità. Ci sono anche esempi di avvicinamento a un grado di qualità apprezzabile e sempre crescente, sia nell’agroindustria che nelle catene di Grande Distribuzione in tutto il mondo, ma soprattutto in Italia. Sta migliorando sempre di più la qualità dei prodotti e il controllo sulle filiere delle materie prime. Lo chiede il mercato; la valorizzazione delle tradizioni locali va a vantaggio di questo processo.

Cosa significa, dopo il suo percorso negli States, tornare in Italia a parlare di sana alimentazione?

Significa tanto: significa principalmente tornare a valorizzare la tradizione locale, quegli usi e costumi che hanno preceduto l’industrializzazione delle produzioni. Non è solo romanticismo parlare delle abitudini delle nostre nonne, ma è una questione di preziosa sopravvivenza, di sostenibilità e biodiversità nel rispetto delle stagioni e di quei processi che ci hanno fatto mangiare in maniera sana.

Lei crede che si stiano perdendo le tradizioni in Italia?

Piuttosto credo che si stia romanzando la tradizione senza coglierne la sua essenza più importante: la purezza. La tradizione non è soltanto processi di cottura e ricette: la tradizione è bontà delle materie prime. Produzione e bontà  devono convivere. Se non vanno di pari passo si crea necessariamente un circuito malato.

Tornando alla pasta, uno dei simboli dell'Italia nel mondo, come si fa a renderla un prodotto di qualità senza renderla prodotto di nicchia?

Le nuove tecnologie ci permettono di adeguare la cultura e il saper fare agricoli. Oggi esistono coltivazioni sane di grano che garantiscono numeri impensabili prima, ed esistono anche consorzi e cooperative che raggruppano i produttori aumentandone il potenziale nei giusti circuiti. Se l’industria agroalimentare si sviluppa in tecnologia e presta più attenzione alla qualità della materia prima, del grano, anche di quello proveniente dall’estero, la cosa può funzionare. E non bisogna perdere di vista che assistiamo anche a un importante ridimensionamento del consumo globale.

Mangiare meno e mangiare meglio?

Detta così sembra facile, ma non lo è sempre. Qui in Italia c’è cultura nel mangiare. Oggi noi pensiamo di essere invasi da prodotti industriali e processati, ma ci rendiamo conto di quale sia la situazione neglia ltri stati industrializzati. Anche per questo sono ottimista: in Italia si può fare. La pasta deve cambiare, al pari del percorso che ha fatto e sta facendo il pane.

Ma lei è veramente tornato in Italia per questo, ci crede davvero?

Ho creato una fondazione per questo. Sono nato e cresciuto in una fattoria della Basilicata e come tutti gli italiani emigrati all’esterol’amore e la nostalgia per questo Paese sono parte della vita quotidiana. Anche se "hanno fatto fortuna", tutti sognano di tornare in Italia: io l’ho fatto per sostenere il valore della terra lucana. Vedere questo Paese da fuori aiuterebbe tutti gli italiani.

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