Un primato tutto italiano che potrebbe portare grandi cambiamenti nel campo (ancora sperimentale) della carne a base cellulare: un gruppo di ricercatori sta studiando come creare carne coltivata dalle cellule presenti nelle piume dei pulcini. Abbiamo voluto approfondire il tema con Nike Schiavo, biotecnologa dell’Università di Trento e ricercatrice nel team che si sta occupando di supervisionare gli esperimenti: quello usato dal gruppo è un sistema innovativo capace di ricavare le cellule "semplicemente" accarezzando i pulcini. Le piume cadute vengono raccolte e processate immediatamente, così da permettere alle cellule di moltiplicarsi rapidamente. E ottimizzare la produzione di carne.
Qual è il vostro modus operandi nella produzione di carne da cellule?
Ci avvaliamo della preziosa collaborazione con una fattoria didattica locale di nome Maso Michelin. Questa partnership è nata dalla passione e dall'esperienza del responsabile, Giuseppe, nell'ambito dell'avicoltura. Giuseppe si occupa dell'allevamento di diverse specie di polli, e noi otteniamo le piume direttamente dagli animali donatori. Giuseppe preleva le piume e le processiamo immediatamente per estrarne le cellule. In breve tempo, le cellule si moltiplicano rapidamente, permettendoci di condurre gli esperimenti necessari per l’ottimizzazione della linea volta alla produzione di carne coltivata. Per ora, abbiamo stimato che da una singola piuma, dopo soli 40 giorni di coltura, potremmo ottenere circa 700 g di cellule.
Come è nata l'idea di estrarre cellule dalla piuma di un pollo?
La fondazione Save the Chickens si è rivolta ai professori Luciano Conti e Stefano Biressi, con l'obiettivo di sviluppare un progetto congiunto per la produzione di carne coltivata di pollo. Un aspetto fondamentale della richiesta era quello di adottare un approccio meno invasivo possibile nei confronti degli animali, seguendo un principio di rispetto verso il benessere degli stessi. Per rispondere a questa sfida, i professori hanno esaminato attentamente la letteratura scientifica disponibile e hanno iniziato ad esplorare soluzioni innovative. Dopo una ricerca approfondita, hanno concepito l'idea di ottenere una linea cellulare utilizzando le piume dei polli.
Da chi è composto il team che si occupa di questi studi?
Il nostro team di ricerca è composto da quattro membri, ognuno con un ruolo specifico che contribuisce al successo del progetto. Io mi occupo dell'attività di laboratorio. Questo include la coltivazione delle cellule, l'aggiornamento dei protocolli di ricerca e l'analisi dei dati raccolti. Giulia Fioravanti è la mia collega dottoranda che negli ultimi tre anni si è specializzata nella regolazione della formazione del muscolo e mi supporta attivamente in laboratorio. I professori Luciano Conti e Stefano Biressi hanno un’esperienza decennale rispettivamente in cellule staminali e sviluppo del muscolo; loro hanno ideato il progetto e supervisionano tutti i progressi ottenuti in laboratorio. A breve, accoglieremo un altro nuovo dottorando nel team che si occuperà di carne coltivata di pollo.
Avete modo di relazionarvi anche con colleghi che lavorano a progetti di agricoltura cellulare all'estero? Ci sono scambi di informazioni in tal senso?
Ci interfacciamo principalmente con il lavoro dei nostri colleghi all’estero tramite la consultazione delle numerose pubblicazioni sul tema e la partecipazione a webinar e conferenze internazionali. Abbiamo avuto il piacere di collaborare con altri gruppi di ricerca in Italia, il che ci ha permesso di scambiare idee e alcune risorse. Tuttavia, al momento non abbiamo relazioni contigue con altri scienziati all'estero.
Come vede il processo di sviluppo e di accettazione della carne coltivata nella società italiana?
Ci sono diversi elementi che mi fanno essere ottimista. Innanzitutto, la crescente consapevolezza ambientale e la preoccupazione per il benessere animale stanno spingendo molte persone a cercare alternative più sostenibili della carne tradizionale. Ovviamente, l’industria è impegnata anche a confezionare un prodotto appetibile e con dei prezzi accessibili al pubblico, dunque non si dovrà sacrificare il palato per essere “green”. Inoltre, c’è un crescente interesse per la carne coltivata tra le generazioni più giovani e istruite. Studi, come quello condotto dalla professoressa Mancini nel 2019, suggeriscono che i consumatori italiani più giovani sono aperti all'idea di consumare carne coltivata. Tuttavia, è importante riconoscere che ci sono sfide da affrontare prima di arrivare sul mercato, come la produzione su larga scala e la regolamentazione, aspetti non banali per un cibo così innovativo.
Proviamo a sfatare alcuni miti legati alla carne coltivata: contiene ogm o materiale fetale animale?
Devo sottolineare che la questione dell'uso di OGM nella carne coltivata varia da azienda a azienda e può essere influenzata dalla regolamentazione in vigore nella regione in cui opera ciascuna di esse opera. Alcune aziende potrebbero utilizzare OGM come parte del processo di produzione, mentre altre potrebbero optare per approcci diversi. È essenziale rimarcare che qualsiasi uso di OGM è soggetto a rigorose valutazioni di sicurezza da parte delle autorità regolatorie europee prima che il prodotto possa essere immesso sul mercato. Anche per quanto riguarda la questione “materiale fetale” non ritengo sia possibile fare di tutta l’erba un fascio. Sicuramente, usare il siero animale per crescere le cellule su scala industriale presenta sfide sia tecniche che economiche. Non vedo dunque possibile che tale ingrediente sarà presente in un qualsiasi processo produttivo su larga scala. Per quanto riguarda invece le cellule di partenza, ogni azienda sta adottando strategie diverse, ed è noto che alcune di queste utilizzino cellule derivanti da animali non completamente sviluppati. Ancora una volta, la regolamentazione in materia sarà definita dalle autorità competenti.
Può essere definito un prodotto più sicuro della carne tradizionale?
Questo aspetto può essere valutato solo dalle autorità competenti, come l’EFSA in Europa. A tal riguardo, FAO e OMS hanno espresso un parere nel report rilasciato qualche mese fa. In questo documento, scienziati da tutto il mondo hanno concordato sul fatto che la carne convenzionale non presenta più rischi per la salute della carne tradizionale. Premettendo che non ho competenze in materia di sicurezza alimentare, posso solo ipotizzare che un processo industriale volto alla produzione di carne coltivata sarà necessariamente strettamente controllato. Se così non fosse, le cellule potrebbero morire troppo facilmente, vanificando tutti gli sforzi produttivi.
È corretto chiamarla carne sintetica?
In generale, il termine "sintetico" in italiano è spesso associato a prodotti di origine chimica o artificialmente creati, come il nylon o l'elastano. Tuttavia, la carne coltivata è il risultato di processi appartenenti alla biologia e dunque “biologici” per definizione, in cui le cellule muscolari vengono coltivate in laboratorio. In questo senso, è più corretto definirla "carne coltivata" piuttosto che "sintetica". Un analogo al concetto di carne coltivata può essere trovato in ambito medico, dove alcune terapie o trapianti utilizzano processi biologici per produrre tessuti o organi in laboratorio per scopi curativi. Nessuno ha finora definito queste terapie come "sintetiche". Inoltre, è importante sottolineare che il termine "sintetico" non dovrebbe essere automaticamente associato a qualcosa di nocivo o di scarsa qualità. Molte vitamine e altri composti alimentari oggi sono prodotti sinteticamente e sono ampiamente utilizzati nei prodotti alimentari e nei mangimi animali, offrendo benefici per la salute senza alcun rischio per il consumatore.
Come viene finanziata la vostra ricerca?
In generale i progetti del team vedono sempre una co-partecipazione tra un ente privato e l’Università di Trento. Nel mio caso, il progetto di ottenere cellule dalle piume di pollo è stato in parte finanziato dalla fondazione animalista “Save the Chickens”.
Ha mai assaggiato carne coltivata prodotta dal vostro team o da altri ricercatori all'estero? Se si, come l'ha trovata?
In laboratorio siamo specializzati nell’ottimizzazione delle cellule, non nella produzione di un cibo pronto al consumo (o almeno non ancora). Al momento, non ho avuto l'opportunità di assaggiare la carne coltivata. Diversi colleghi hanno tuttavia riportato esperienze molto positive dei loro assaggi all’estero e io personalmente non vedo l’ora di provarla, spero arriverà anche in Europa nei prossimi anni.
Secondo lei, a livello etico, una persona vegetariana o vegana potrebbe consumare carne coltivata?
Ritengo che le sensibilità dei vegetariani o vegani siano troppo eterogenee per dare una risposta univoca. C’è chi solleva le questioni del consenso dell’animale e dell’uso di componenti animali nello sviluppo della tecnologia come non etiche. D’altro canto, ipotizzo che il prodotto finito non conterrà altre parti animali se non le cellule stesse, e dunque non vedrei conflitti etici in tal senso. Teniamo presente, tuttavia, che la carne coltivata si vuole rivolgere soprattutto a chi mangia carne e vuole ridurre il proprio impatto ambientale; vegetariani e vegani non sono la nicchia di mercato per cui è stato pensato questo prodotto.