Nasce come rivista di letteratura, e omaggia - nel titolo - il gigante dotato di enorme forza e sconfinato appetito nato dalla fantasia di Rabelais nel XVI secolo. Pantagruel è diventato sinonimo di voracità, reale o figurata, di grandi abbuffate e desideri sconfinati. Si tratti di ci cibo, vino, libri, cultura e conoscenza. Così la nuova rivista letteraria de La nave di Teseo pensa alla tavola come luogo di condivisione, piacere e scambio, ma pone su quel desco pietanze che invitano all'esperienza solitaria, quelle che nutrono il pensiero ed esercitano la sfida tra i saperi e il ragionamento. In questo ossimoro si gioca il primo numero di Pantagruel, dedicato al cibo (che arriva dopo un numero zero tutto dedicato al pane). Nell'indagine proposta da Elisabetta Sgarbi, Massimo Donà e Raffaella Toffolo (che cura l'apparato fotografico), si seguono le tracce di una filosofia del cibo e del vino, analizzando le intersezioni tra discipline, saperi, mondi, accogliendo suggestioni e riflessioni di autori che vivono uno di quei mondi, o più di uno.
Pantagruel. Il libro e i capitoli
950 pagine, quasi 90 saggi firmati da personaggi del mondo della cultura, dello spettacolo, dell'enogastronomia per “mettere alla prova l'effettiva valenza metaforica dell'universo alimentare” e per cogliere “luci e ombre del suo spazio incantato”. Un pasto che si preannuncia ricco, nutriente, vario e pieno di sapori e significati, possibile solo grazie alla ricchissima varietà di competenze ed esperienze messe in campo per svelare l'invisibile.
Sei capitoli (più un Extra) che organizzano gli interventi di questa varia umanità, suddividendoli in: Concetti; Cibo-Cibi; Simposio; Vino-Vini; Fame, Sete e Digiuno; Metabolismi. In ognuno di questi, una pluralità di voci e riflessioni accende una luce su una forma, un sapore, un'idea.
Pantagruel. Saggi, proclami, poesie e riflessioni
Si va dal protagonista silente della cucina, il brodo, che Andrea Berton celebra nel suo ristorante sin dal suo esordio, trasformandolo da elemento funzionale a comprimario (quando non guest star) in un ribaltamento di ruoli e di prospettive di grande profondità, al fuoco freddo (cit. Michael Pollan) della fermentazione, misteriosa e insondabile tecnica di cucina capace di infondere vita e vitalità in ogni elemento, terreno di gioco della natura, sede di armonie imprevedibili tra batteri e foriera di sapori nuovi e irresistibili al palato (nel saggio sul Kimchi di Martina Bertero). Si passa per il miele e le arnie, secondo lo sguardo di uno dei migliori apicoltori italiani – Andrea Paternoster – e un docente di filosofia – Giacomo Petrarca – che traccia inattesi collegamenti tra la sua figura e quella del custode delle api. C'è Nicola Perullo che ragiona di pensiero e di visione tattile, di un modo di percepire che è esperienza e posizione – dunque prospettiva - di fronte al mondo, e di come questo sia applicabile al cibo e al vino. C'è Tiziano Scarpa che racconta l'anti-cibo, ovvero la crusca, che “non nutre, non alimenta, non cede all'organismo calorie”: transita e inganna l'affamato, ma è un inganno a fin di bene (almeno nella nostra società), è un arcaismo metaforico, il pane del pane, pura sostanza tattile, pura massa. Ci sono Angela Frenda (sul formaggio) e Gabriele Principato (sulla granita siciliana), Camilla Baresani (sulle fazioni del cibo) e – tra gli autori del capitolo sul vino - Giampaolo Gravina, Arianna Occhipinti e David Riondino (quest'ultimo con un'ode alla sacra bevanda).
I racconti
Ci sono poi i racconti, come quelli di Felice Cimatti, che parla di spedizioni intergalattiche e di una specie aliena che appare molto poco distante dagli occhi di chi legge, rispetto a quelli della voce narrante, mentre Letizia Muratori parla di come, attraverso l'ossessione delle immagini, anche l'ossessione del cibo cambi di forma e di prospettiva. C'è Antonio Rezza, e subito dopo anche Flavia Mastrella, e Pacifico in conversazione con Mirco Mariani.
Si parla di fragole e di caffè, della peperonata e di pane (attraverso le voci di Luigi Viola e Oscar Farinetti), di Nero d'Avola, di parassiti, di palato e di pancia, di fame - “la fame parla” si legge nel testo di Franco Riva - di arte e di digiuno e poi ancora di fame. Perché raccontare l'assenza è un megafono potentissimo.
Pescando qua e là, tra le pagine emergono costanti richiami a un patrimonio culturale che sconfina dai recinti dell'enogastronomico e si affaccia in quelli di altre discipline: si parla Kant (come potrebbe essere altrimenti) e di Platone, della Bibbia, di Ernst Bloch, di medicina e della biochimica. Tutto per indagare quel legame profondissimo tra un dentro (organico, sì, ma anche spirituale) e un fuori reale, concreto, tangibile, naturale, ma anche sociale, culturale, affettivo, intimo, collettivo. Perché il cibo non è solo ciò che mangiamo.
Pantagruel – AA.VV. - La Nave di Teseo – 950 pp. - 27€
a cura di Antonella De Santis