Natale e Capodanno, feste della tradizione e della famiglia. Sapori di casa, sapori del (e dal) passato. Così, cerchiamo di ritrovare quei sapori delle feste che facevano tanto famiglia. I sapori della nonna, dei nonni. Proviamo a chiudere gli occhi: immaginiamo di tornare agli anni dell’infanzia, dell’adolescenza. Proviamo a ricordare i sapori.
Il profumo dei mandarini
Uno dei primi aromi, per molti di noi, potrebbe essere quello dei mandarini: agrumi invernali toccasana contro le freddate, carichi di vitamina C che aumenta le difese immunitarie. Erano un lusso, un gran bel regalo: finivano anche nelle calze della Befana insieme alle monete di cioccolato al latte ricoperte di stagnola dorata. Scrive una blogger milanese, Giuliana – che si firma La Gallina Vintage – a proposito del Natale della sua infanzia: “Il regalo che ricordo con un sentimento misto di tenerezza e malinconia, erano i mandarini che mia madre nascondeva nei calzettoni per farmeli trovare. Un frutto che compravamo abbastanza di rado allora... Poi mettevamo le bucce sulla stufa, per profumare la casa... I mandarini volevano dire Natale, odore di inverno, di nebbia, di neve, di carbone…” Oggi, i mandarini possono essere ancora il simbolo di Natale? Qualcuno li cerca come “sapori della nonna”? O ce li mangiamo tutti i giorni e non c’è più legame con il Natale?
I cibi dimenticati della nonna
Ma i sapori della nonna erano anche altri. Provo a cercarli. I maccheroni con le noci: qualcuno ci prova ancora, ma davvero solo “per devozione”, sono un sapore antico che non piace più a nessuno. Il capitone: era un must, ricco e godurioso, per la sera del 24. Ma oggi? Chi lo fa più? Puzza, è grasso, ma chi lo mangia? Giusto nonno! I fritti: quelli sì sono irrinunciabili! Ma che? Si impuzzolisce casa, si sporca tutta la cucina: non si può friggere! Ma almeno la pasta col tonno? Era “il pesce di Natale”, per noi che il mare non lo conoscevamo ancora. Ma dai! Quella la puoi fare tutti i giorni! Che senso ha? Ma allora? I sapori della nonna? Che fine hanno fatto?
Il panettone identitario
Vabbè, il panettone: almeno quello, è rimasto a unificare l’Itala del gusto, no? Ma che? Oggi il panettone è artigianale, sembra una pastiera, aromi e sapori sofisticati, “veri e genuini” si scioglie in bocca. Mica c’è più quel bell’Alemagna di una volta! I nipotini di Alemagna (Gioacchino, quello che se l’è inventato il panettone negli anni ‘20) ormai si firmano T’A Milano. E fanno i gourmet. Ma quel panettone abbastanza asciuttino e standard che era il massimo inzupparlo in un bicchiere (non calice, che non c’entrava!) di President Riccadonna, che non c’è più manco questo.
Bollicine desaparecide
Era l’apoteosi del Natale: il dolce-dolce incontrava l’acido-acido, il frizzante mandava giù quel panettone che un po’ strozzava. Ma che gioia, quelle Vigilie! Ecco, cercando in rete il President, si trova una “bottiglia vintage da collezione”; al massimo la si rivede in uno spot dell’89, era la vigilia di Italia ’90: “la gente nuova brinda President”, dicono due coppie vestite in ghingheri mentre giocano con un pallone per strada. Ecco, quelli sono i sapori della nonna. Altro che “cibo vero”. In effetti, erano gli anni in cui mio nonno portava a casa la Fiesta e la Coca Cola (o la Pepsi), i sofficini e il Philadelphia, in cui si usava la margarina. Erano gli anni del boom, si guardava avanti, non indietro. E la gente nuova brindava President. E cominciava a mangiare snack e patatine. Era l’inizio della “modernità alimentare”. Erano quelle le nostre nonne. Altro che “sapori veri”. Ma intanto non potrò brindare al nuovo anno con il President e il panettone Alemagna di mia nonna!