I vantaggi delle grandi pagnotte fatte con farine “giuste” e lievito madre sono innegabili, a cominciare dalla durabilità nel tempo, è anche per questo che sempre più panifici in Italia si stanno concentrando sui grandi formati. E che fine faranno i piccoli formati di pane, quelli tipici di alcune regioni, come michette, rosette o coppie ferraresi? Giusto salvaguardarli, sì, ma evolvendoli in pani più legati al territorio e al grano che in quel determinato territorio si coltiva.
L'egemonia delle grandi pagnotte. Che fine faranno i piccoli formati di pane?
È la domanda che si sono posti alcuni addetti al settore durante l'evento Bread Religion, il progetto di Petra Molino Quaglia avviato nel 2013, che quest'anno ha cercato di mettere in relazione la biodiversità dei cereali con la diversità dei pani, sottolineando come si stia perdendo un enorme bagaglio di pani tipici a vantaggio di un'unica pagnotta standard, che sfrutta, sì, i grani locali (e dunque salvaguarda la biodiversità) ma non è portavoce delle tipicità locali e, a detta di alcuni panificatori, Paolo Piantoni di El Forner in primis, non rispecchia appieno le abilità dell'artigiano: «A oggi non ho ancora trovato un giovane collaboratore capace di replicare il montasù, invece le grandi pagnotte le sanno fare pure i panificatori della domenica», dice senza giri di parole Piantoni, «è indubbio che il pane più piccolo necessita di più tecnica». Così come è innegabile, sempre a detta dei panificatori, che i pani di piccolo formato richiedano farine più setacciate, a scapito dei profumi. È dunque necessario salvaguardare questi pani? A nostro avviso sì, solo se riproposti con farine locali e setacciate il giusto. Solo se c'è una evoluzione.
È vero che i pani piccoli rappresentano un formato “storico”?
C'è però un ulteriore questione in ballo: salvaguardarli perché altrimenti si rischia di perdere la diversità dei tipici pani italiani? E dunque per una questione legata alla loro storicità? Ecco su questo punto non siamo/eravamo così certi. Per risolvere il nostro dubbio abbiamo chiesto a Lucia Galasso, antropologa dell’alimentazione e autrice del libro “Storia e civiltà del pane”. I pani di piccolo formato sono antichi o cosa recente? «La nascita del pane di piccolo formato, in Italia e nel Mediterraneo, come buona parte delle cose umane, non ha un'origine né unica né precisa. La sua comparsa, sulle tavole italiane, altro non è che una combinazione di fattori storici, culturali ed economici», spiega l'archeologa. «D'altra parte l'archeologia ci racconta già di piccoli pani, consumati in vari contesti, in epoca antica. Per fare qualche numero basti pensare che in Mesopotamia delle 300 forme catalogate più delle metà erano di piccolo formato, e di seguito a seguire Egitto e Grecia con altrettante quantità e numerose declinazioni di forme e ingredienti».
I pani piccoli un tempo erano destinati ai ceti meno abbienti
In Italia? «Fonti estremamente interessanti per capire come e quando è comparsa una panificazione dedicata ai pani di piccolo formato, sono gli statuti comunali del Medioevo, che spesso contenevano regolamentazioni dettagliate sulla produzione e la vendita del pane. Tra i più importanti abbiamo gli Statuti di Firenze (XIV secolo) dove si trovano regolamentazioni riguardo alla panificazione, che includono dettagli sulle dimensioni delle pagnotte e sulle farine da utilizzare. Qui si fa menzione di pani di piccole dimensioni, spesso destinati ai ceti meno abbienti o per usi specifici come le elemosine». O anche gli Statuti di Bologna (1288) che regolamentavano la produzione di diverse tipologie di pane, con attenzione particolare ai pani destinati al mercato cittadino, spesso più piccoli e venduti a prezzi più accessibili e gli Statuti di Genova (XIII-XIV secolo) che regolavano sia le dimensioni che la qualità del pane, con menzioni specifiche dei piccoli pani prodotti per le classi mercantili e artigiane della città.
«Anche le cronache di viaggio offrono interessanti informazioni su questa tipologia di pane. Come “Relazioni di viaggi in Italia" di Montaigne (1580-1581) dove il noto scrittore e filosofo francese parla dei diversi tipi di pane che incontrò durante il suo viaggio, con particolare attenzione ai piccoli pani che trovava nei mercati delle città e nei villaggi, spesso serviti con formaggio e frutta. O “Il Milione" di Marco Polo in cui si parla dei pani più piccoli che vedeva nelle città del nord Italia, utilizzati nelle feste e nelle celebrazioni». Insomma possiamo affermare che i pani di piccolo formato siano prodotti storici? «Sì, ma con qualche riserva: in Italia il cambiamento veramente importante, nella dimensione del pane, è dovuto per lo più a due motivazioni. La prima è relativa a fattori economici e sociali, mentre la seconda è da ricollegarsi alla trasformazione dei riti religiosi e degli usi rituali di questo alimento».
In Italia, in epoca preindustriale, si mangiavano grandi pagnotte
«Nel primo caso bisogna tenere a mente che durante l'epoca preindustriale, il pane era un alimento centrale nella dieta dei contadini italiani. I grandi pani, come il “pane cafone” in Campania o il “pane di Altamura”, erano fatti con farina integrale o di grano duro, e venivano cotti in grandi pezzature per garantire una lunga conservazione, soprattutto in comunità rurali dove l'accesso a un forno era limitato». Le cose cambiano radicalmente con l'industrializzazione e l'urbanizzazione del XIX e XX secolo: «La vita quotidiana delle persone cambia radicalmente, in città la disponibilità di pane fresco diviene più comune e la produzione si adatta a queste nuove esigenze. I forni pubblici e le panetterie urbane iniziano a produrre pani di piccolo formato, più adatti alla vita moderna e al consumo quotidiano, dove il pane fresco era preferito rispetto a quello secco e conservabile».
La nascita di piccoli pani regionali è collegata alle feste religiose
Oltre al cambiamento sociale, la nascita di piccoli pani regionali è da collegarsi alle feste religiose, in particolare a quelle dedicate ai Santi Patroni. «In molte regioni d'Italia i grandi pani, simbolo di abbondanza e continuità, venivano prodotti e offerti durante le festività religiose, spesso associati a riti di ringraziamento o propiziazione. Con il tempo, questi grandi pani hanno dato origine a forme più piccole e simboliche, specificamente create per essere offerte ai santi durante le loro celebrazioni. Questi piccoli pani votivi, modellati in forme che richiamano i simboli o gli attributi del santo, rappresentano un'evoluzione della tradizione, in cui il pane, cibo essenziale e sacro, diventa un'offerta tangibile di devozione. Questi piccoli pani, pur nella loro dimensione ridotta, continuano a incarnare l'essenza delle antiche tradizioni, mantenendo vivo il legame con la terra e la religiosità popolare». E in un'ottica di corsi e ricorsi storici ci auguriamo che i piccoli pani regionali resistano ma con un legame più diretto con la terra, ovvero con il grano che in quella terra viene coltivato. Potrebbe essere la nuova sfida del panificatore moderno.