Questa è la storia di un giovane panificatore, tra i più bravi di Roma, che ha aperto un panificio dentro un supermercato, per poi tornare a casa, nel suo Forno degli Amici. Ma il panificio del supermercato è rimasto in buone mani.
Artigianale e industriale. Ha ancora senso contrapporli?
Artigianale e industriale. Ha ancora senso contrapporli? O forse è il caso di superare la dicotomia tra “buoni” e “cattivi” perché la realtà, oggi, è molto più complessa di così? E soprattutto può contare di tecnologie che un tempo non c'erano. Crediamo che la definizione (estesa) di artigianale, inteso come “fatto con mezzi scarsi”, non abbia più molto senso. «Abbiamo creato un laboratorio super organizzato, con celle di lievitazione su misura, perché l'obiettivo era produrre 400 chili di pane al giorno in 19 tipologie, senza avere persone che lavorassero di notte», a raccontarci l'impresa, quella di aver aperto un micropanificio in un supermercato, Federico Stocchi, conosciuto a Roma per il suo Forno degli Amici, inaugurato nel 2018 e gestito assieme la sorella Beatrice.
Artigianale e industriali, due mondi che si sono incrociati con la famiglia Stocchi
Federico e Beatrice sono figli d'arte. Di un'arte bianca che nel corso delle generazioni si è confrontata con dimensioni e mezzi differenti, con la distribuzione al dettaglio e non: «Nostro nonno aveva un panificio in centro, è stato addirittura vicepresidente dell'Assipan, poi si è messo a fare il rappresentante per vari molini. Nostro papà ha aperto, prima, il Gianfornaio – all'epoca era un indirizzo che offriva uno dei più completi assortimenti di pane e prodotti a tema nella Capitale, ndr – poi un forno più piccolino e infine si è messo a lavorare per la gdo, era il direttore commerciale di Italpan Grandi Forni che distribuiva pane confezionato da Roma a Trieste». Un business, quello del pane confezionato, andato via via ad affievolirsi, così il papà decide di acquisire il panificio Lucarelli (famoso per aver fatto assaggiare la pizza ai Beatles in visita a Roma) per rifornire di pane caldo i supermercati del Gruppo Gross. «Produceva sessanta, settanta quintali di pane al giorno e poi lo portava ancora caldo in vari punti vendita. Per un periodo gli ho dato una mano anch'io».
La scelta di aprire il Forno degli Amici
È stata proprio questa esperienza a convincere Federico e Beatrice ad andare nella direzione opposta: «Abbiamo sentito la necessità di lavorare su un progetto più al dettaglio, volevamo fare il pane per la clientela e non per la grande distribuzione organizzata, volevamo levarci dal giro del lavoro meccanico. Capitò l'occasione del Forno degli Amici in via Firenze (a pochi passi da via Nazionale), il forno era già lì e i proprietari delle mura, panificatori anche loro, lo volevano dare solo a famiglie di panificatori». Era il 2018. Qui i fratelli hanno fatto un lavoro virtuoso sulle farine, sulla selezione degli altri ingredienti, sul lievito madre, arrivando a proporre uno dei pani più buoni di Roma. Poi il ritorno, momentaneo, alla gdo: «Durante il Covid, crolla il sistema di mio papà che si è trovato con una decina di furgoncini fermi, così decide, insieme al socio, di interrompere la produzione per i supermercati e di dismettere il panificio Lucarelli, nel frattempo al Forno degli Amici avevamo drasticamente ridotto gli incassi, dunque abbiamo sopperito parte della produzione di papà per rispettare gli accordi in vigore tra le parti ».
La chiamata da parte del Gruppo Gros
«Un giorno un supermercato, sempre del Gruppo Gros, rimane senza pane e chiedono una trentina di chili in emergenza, fatalità quel giorno al Forno degli Amici c'era parecchio invenduto e gliel'ho venduto sotto prezzo. La proprietà mi chiama l'indomani e mi dice che il pane era pazzesco, mi domanda di mandarglielo abitualmente. Io gli spiego che non è possibile perché è frutto di una lavorazione che permette solo piccoli numeri. “Se volete – gli ho detto scherzosamente – vi faccio vedere come si fa”. A gennaio 2022 mi comunicano che in un punto vendita, in viale dell'Oceano Atlantico, stanno progettando un micropanificio interno come “episodio pilota” per vedere se la produzione interna funziona». Così è partita la collaborazione, Federico gli ha fatto da consulente, stando con loro un anno e mezzo, seguendo la progettazione del laboratorio e la ricettazione del pane e della pizza.
L'aumento dei prezzi non ha causato una flessione delle vendite
«Il lievito madre l'ho portato io, era a prova di chiunque, ibrido, al 70% di idratazione che non necessita di bagnetti. Abbiamo anche predisposto delle celle a parte, esterne al laboratorio, solo per il mantenimento degli impasti». Tema farine? «Inizialmente usavano quelle di un mulino molto industriale, che abbiamo cambiato. Ho spiegato loro l'importanza di usare farine migliori e siamo convenuti con l'utilizzare altri mulini: mulino Merano per i cereali in purezza, tipo segale, farro e tipo uno e Martinucci per il grano duro. Per le altre farine utilizzano quelle di Macinazione Lendinara, abbiamo contrattato per una selezione di grani italiani riuscendo a dare una quadra più etica». Il cambiamento delle farine ha riguardato anche le pizzerie presenti in altri quindici punti vendita. E il prezzo è chiaramente aumentato di circa due euro al chilo, «ma le vendite non ne hanno risentito, anzi, sono aumentate. Ci sono stati giorni in cui siamo arrivati a toccare lo 0,28% di invenduto, parliamo di due panini rimasti nei cesti. Abbiamo dimostrato che ci può essere un pane buono anche in un supermercato e che i clienti, una volta che gliel'hai raccontato, lo apprezzano».
Il paradosso del supermercato
È stata un'esperienza formativa? «Mi sono reso conto di due cose: di quanto i supermercati siano cinici - io per la dirigenza ero solo una pedina alla quale avevano messo a disposizione 35 metri quadri e l'aiuto di due persone – e di quanto, al tempo stesso, siano attenti ai dettagli. Ho scoperto che ci lavorano gastronomi che selezionano i prodotti e che sono attentissimi a non sprecare, con il panificio non potevamo superare l'8% di invenduto. Ho anche capito che i clienti si possono “educare”, dopo i primi mesi si è istaurato con loro un rapporto di fiducia e più umano». In generale andrebbe educato pure il mondo della gdo: «Dovrebbero ridurre il ricarico (si aggira intorno al 45%) a favore di prodotti e produttori più etici, altrimenti i panificatori, fortunatamente un gruppo sempre più nutrito, non saranno più disposti a vendergli il pane». Portato a termine l'affiancamento con i fornai rimasti, Federico è tornato nel suo Forno degli Amici, ma si augura che questa sua esperienza faccia da volano per altri micropanifici, un po' più etici, all'interno dei supermercati.